Corte di Cassazione, sezione III civile, ordinanza 12 maggio 2017, n. 11777

Nella quantificazione del danno patrimoniale non si può ripetere una somma maggiore in relazione a future e presunte minori capacità reddittuali. Infatti occorre la prova di tale incidenza decrementativa e l’appellante non si può limitare a sostenere perdite di chances in relazione a non precisate attività sportive agonistiche, carriere militari o di pubblica sicurezza o a lavori di manovalanza

Suprema Corte di Cassazione

sezione III civile

ordinanza 12 maggio 2017, n. 11777

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11547-2015 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) SPA, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 6600/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 28/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/02/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA.

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, basato su tre motivi, avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, depositata il 28 ottobre 2014, con cui – in parziale riforma della sentenza n. 142 del 2009 emessa dal Tribunale di Tivoli – sezione distaccata di Palestrina, che, dichiarata l’esclusiva responsabilita’ di (OMISSIS) nella causazione del sinistro stradale nel quale il (OMISSIS) aveva riportato danni, aveva condannato il (OMISSIS), (OMISSIS) e la (OMISSIS) S.p.a. (poi (OMISSIS) S.p.a.) al pagamento, in favore del (OMISSIS), della somma di Euro 48.859,78, oltre interessi, nonche’ alle spese di lite – quella Corte ha condannato (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) S.p.a. a pagare, in favore dell’attuale ricorrente, la complessiva somma di Euro 106.173,19, “da cui va detratto, previa omogeneizzazione, quanto gia’… corrisposto” sino alla data della sentenza di secondo grado, oltre a interessi, sulla differenza dalla predetta data al saldo effettivo nonche’ alle spese di quel grado di giudizio, in esse comprese quelle di c.t.u..

Gli intimati non hanno svolto attivita’ difensiva in questa sede.

Il ricorrente ha pure depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con motivazione semplificata.

2. Il primo motivo e’ cosi’ rubricato:

“1. Erronea insufficiente liquidazione del danno “non patrimoniale”, nella componente del cd danno biologico temporaneo (ITT e ITP) per effetto della violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c., articoli 1226, 2056 e 2059 c.c. e del principio di diritto dell’integrale risarcimento del danno (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3);

1.2. ovvero, mancata rivalutazione monetaria al tempo della decisione dell’importo riconosciuto per tale componente del danno (IT), in violazione e falsa applicazione degli articoli 1226, 2056 e 2059 c.c. e del principio di diritto dell’integrale risarcimento del danno, t(r)attandosi di cd. “obbligazione di valore” (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.

Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di merito ha ritenuto di riliquidare il danno alla persona (IP e IT) utilizzando le Tabelle del Tribunale di Roma e precisando, in relazione al danno da invalidita’ temporanea (totale e parziale), che tale danno, pur essendo “in tesi, tabellarmente superiore, d(oveva) essere riconosciuto nella misura di Euro 11.715,00 – cosi’ come ex professo richiesto nell’atto di appello – non potendo la Corte andare ultra petita”.

Ad avviso del ricorrente, in tal modo la Corte territoriale avrebbe “travisato” la domanda formulata con l’atto di appello, non avendo egli, contrariamente a quanto ritenuto dalla predetta Corte, quantificato espressamente la richiesta risarcitoria per la voce del danno non patrimoniale in parola, ed essendosi, invece, doluto, con il terzo motivo di appello, della insufficiente liquidazione della componente del danno non patrimoniale in parola, posto che le stesse tabelle del Tribunale di Roma, che il primo Giudice aveva affermato di voler utilizzare, prevedevano, nella versione del 2009, una “valorizzazione della IT” maggiore rispetto a quella riconosciuta dal Tribunale.

Lamenta, altresi’, il (OMISSIS) che erroneamente la Corte territoriale avrebbe applicato le tabelle del 2009 anziche’ quelle del 2014 ed avrebbe, comunque, violato gli articoli 1226, 2056 e 2059 c.c. nonche’ il principio dell’integrale risarcimento del danno, non avendo rivalutato l’importo riconosciuto a titolo di IT.

2.1. Il motivo va disatteso.

Ed invero va anzitutto evidenziato che alla luce degli stralci dell’atto di appello riportati in ricorso, con riferimento, in particolare, alle doglianze e alle istanze proposte in secondo grado con riferimento alla liquidazione della I.T., deve ritenersi non idoneamente censurata, in difetto di sufficiente specificita’, la decisione sul punto della Corte di merito, evidenziandosi che, peraltro, neppure e’ indicato se e quando le tabelle del Tribunale di Roma del 2009 e del 2014, che pure risultano allegate al ricorso in questa sede, siano state, con riferimento specifico alla parte relativa alla I.T., prodotte nei gradi del giudizio di merito.

Inoltre, neppure e’ stata riportata la domanda relativa alla voce di danno in parola cosi’ come formulata ed eventualmente precisata in primo grado, sicche’ non risultano in concreto offerti elementi onde poter verificare se e in che limiti il giudice dell’appello abbia omesso di procedere alla rivalutazione della somma pretesa a tale titolo (v. Cass. 11/05/2012).

3. Con il secondo motivo il ricorrente si duole del “mancato accoglimento della domanda di risarcimento del danno patrimoniale in violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1223, 1226, 2056 e 2967 c.c. (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.

Al riguardo il (OMISSIS) sostiene in ricorso di aver prospettato nell’atto introduttivo del giudizio e ribadito in appello la sussistenza anche del danno patrimoniale, “da valutarsi in via necessariamente in via equitativa, da porsi in relazione alla futuribile perdita di chances lavorative al momento dell’inserimento nel mondo del lavoro, stante la gravita’ e peculiarita’ delle lesioni (in particolare all’apparato cervicale)” da lui riportate quando era minore.

3.1. Il motivo non puo’ essere accolto.

La Corte di merito ha al riguardo affermato, in base ad accertamenti in fatto, non censurabili in questa sede, che le lesioni riportate dal (OMISSIS) – all’epoca di quella decisione ventitreenne – “non sembrano possedere alcuna attitudine a incidere negativamente sulla di lui capacita’ reddituale; la prova di tale incidenza decrementativa sul reddito avrebbe dovuto essere fornita dall’appellante che si e’ limitato a sostenere perdite di chances in relazione a non precisate attivita’ sportive agonistiche, carriere militari o di pubblica sicurezza o a lavori di manovalanza. Ne’ pare possa incidere sulla capacita’ reddituale il non rilevante danno estetico”.

Si osserva che sul punto questa Corte ha gia’ affermato il principio, che va ribadito in questa sede, secondo cui l’accertata esistenza di un danno alla salute patito da un minore studente, anche se di non lieve entita’, non e’ di per se’ sufficiente per ritenere necessariamente esistente un conseguente danno da riduzione della capacita’ di guadagno, a meno che il danneggiato non provi, sulla base di elementi concreti, o che a causa della lesione sia stato costretto a ritardare il compimento dei suoi studi e di conseguenza l’ingresso nel mondo del lavoro, ovvero una verosimile riduzione dei suoi redditi futuri (Cass. 28/09/2012, n. 16541; v. anche Cass. 24/02/2011, n. 4493, Cass. 15/07/2011, n. 15674 e Cass. 10/07/2015, n. 14517).

A tale principio si e’ attenuta la Corte di merito.

4. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta l'”erronea ed insufficiente liquidazione delle spese processuali del grado di appello in favore dell’appellante vittorioso, per errata determinazione del valore della controversia di appello; violazione del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articoli 4 e 5, ai fini della corretta individuazione dei compensi di cui nella allegata tabella A), n. 12, nonche’ dell’articolo 10 c.p.c., comma 2, e articolo 14 c.p.c. articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.

4.1. Il motivo e’ infondato.

Il ricorrente, nel censurare la liquidazione delle spese operata dalla Corte di merito, parte dall’assunto indimostrato che detta Corte abbia applicato i valori medi di cui alle richiamate tabelle relativi allo scaglione da Euro 5.201,00 a Euro 26.000,00, nulla avendo espresso al riguardo la Corte territoriale.

Va invece evidenziato che gli importi liquidati ben possono essere riferiti allo scaglione invocato dal ricorrente, superando la liquidazione operata dalla Corte di appello i minimi previsti dalle tabelle in parola in relazione allo scaglione appena richiamato.

Consegue da quanto sopra evidenziato che la censura all’esame, cosi’ come formulata, non puo’ essere accolta.

5. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

6. Non vi e’ luogo a provvedere per le spese del presente giudizio di legittimita’, non avendo gli intimati svolto attivita’ difensiva in questa sede.

7. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non e’ collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n. 10306).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13

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