abbaino

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza n. 8775 del 10 aprile 2013

Svolgimento del processo

L.F. con atto di citazione del 18 giugno 2002 conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Rovereto M.I. e, premesso di esser proprietario della p. m. 3 della p. ed. 71/5, della p.m. 1 della p. ed. 71/1 e della p. ed. 71/3 CC. (omissis) e che I..M. era proprietario della p.m. 5 della p. ed. 71/5 e della p.m. 5 della p. ed. 71/1, chiedeva che venisse accertata: 1) la natura illegittima della realizzazione di un abbaino con arretramento della gronda; 2) la natura illegittima della modifica dell’ingresso del sottotetto con creazione di un nuovo tratto di soletta e dunque la condanna del convenuto alla riduzione in pristino, nonché di sigillare il foro creatosi nel soffitto della camera da letto.

Si costituiva I..M. chiedendo il rigetto della domanda attrice e affermando la piena legittimità della realizzazione dell’abbaino sia perché concordata tra le parti, sia perché non incideva sulla stabilità e sicurezza dell’edificio, sia perché non alterava il decoro architettonico dell’edificio;
anche il nuovo tratto di soletta era legittimo perché concordata tra le parti, sia perché non mutava la preesistente quota di solaio; quanto al foro, formatosi nel corso d’opera nel soffitto della stanza da letto dell’attore, il M. precisava di aver sempre dato la disponibilità alla sua sigillatura, ma il L. si era sempre opposto.
Il Tribunale di Rovereto, con sentenza n. 287 del 2004, condannava il convenuto a sistemare il soffitto della stanza a primo piano, a sigillare le fessure sulle pareti del bagno ed a chiudere il piccolo foro sul soffitto della parete di primo piano ad ovest con le modalità descritte dal CTU, respingeva nel resto le domande attoree e condannava l’attore al pagamento dei 4/5 delle spese di causa.
Avverso questa sentenza, proponeva appello, L.F.P. , eccependo che il giudice di primo grado non aveva considerato che l’abbaino realizzato da M. era orrendo e lasciava scoperta parte del cortile sottostante, che egli non aveva dato il consenso per tale realizzazione, che l’abbaino era illegittimo, anche per la creazione di una servitù di stillicidio.
Si costituiva M. chiedendo il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata.
La Corte di Appello di Trento rigettava l’appello e confermava la sentenza impugnata, condannava L. al pagamento del spese processuali.

Secondo la Corte di Trento la CTU aveva evidenziato che la costruzione dell’abbaino non aveva arrecato pregiudizio alla finestra dell’attore, che la modifica dell’andamento della falda del tetto non costituiva innovazione tale da arrecare pregiudizio alla stabilità e alla sicurezza del fabbricato, né vi erano alterazioni del decoro architettonico. Chiariva ancora la Corte di Trento che non era necessario alcun consenso del L. perché ai sensi dell’art. 1102 cod. civ., ciascun partecipante può apportare modifiche alla cosa comune a proprio esclusivo vantaggio. Tardiva, infine, era l’eccezione di un presunto stillicidio a seguito della realizzazione dell’abbaino.
La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da L.F. con ricorso affidato a tre motivi. M.I. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo del ricorso, L.F. , lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1102 cc. 183 cpc. 190 cpc. e 345 cpc. in relazione all’art. 360 cpc. n. 3.
Avrebbe errato la Corte di Trento, secondo il ricorrente, nell’aver ritenuto che la domanda relativa al lamentato stillicidio fosse stata proposta tardivamente, con la sola comparsa conclusionale, considerato che la domanda di cui si dice integrava gli estremi di una semplice emendatio libelli e non invece una mutatio libelli. A ben vedere, specifica il ricorrente, in sede di comparsa conclusionale di primo grado si evidenziava che l’arretramento dell’abbaino comportava un uso della cosa comune vietato, in quanto sconfinava nella creazione di una servitù di stillicidio. Sicché, appariva evidente che la constatazione secondo cui l’uso della cosa comune, cioè, che la realizzazione del tetto di cui si dice, avesse sconfinato nella creazione di una servitù di stillicidio, fosse una semplice emendatio libelli.
1.1.- Il motivo è infondato.
L’attore aveva chiesto l’accertamento di illegittima realizzazione dell’abbaino sul tetto comune da parte di I..M. perché: era orrendo, lasciava scoperto parte del cortile sottostante, non era previsto nella concessione edilizia del 1999 ma, soltanto, in quella del 2001, egli non aveva mai dato il consenso per la realizzazione dell’abbaino, comunque, quella creazione pregiudicava la funzione di copertura del tetto, creando una situazione di grave pericolo e disagio. Con la memoria conclusionale di primo grado.
L’attore prospettava altra e diversa ragione di illegittimità della realizzazione dell’abbaino di cui dice, specificata in quella che la realizzazione dell’abbaino determinava una servitù di stillicidio. A ben vedere, questa nuova e diversa ragione di illegittimità della costruzione di cui si dice non integrava gli estremi di un’emendatio libelli, come apparentemente poteva apparire, perché non modificava soltanto l’interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto, e, neppure, determinava un semplice ampliamento del “petitum” per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere. Piuttosto, la prospettazione della creazione di una servitù di stillicidio, spostava i termini della controversia, introduceva un nuovo tema di indagine e di decisione, allegava fatti fondativi di un diritto diverso. Pertanto, posto che quella nuova prospettazione avrebbe dovuto rispettare – e non le ha rispettate – le preclusioni di cui agli art. 183 e 345 cpc – è corretto che la Corte di Appello di Trento abbia dichiarato quell’eccezione, ovvero, quella nuova domanda inammissibile perché proposta tardivamente.

2- Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa
applicazione degli artt. 1120, 1350 cod. civ., 1421 cc. cc. 183 cpc. 190 cpc. E 345 cpc. in relazione all’art. 360 cpc. n. 3.
Secondo il ricorrente la Corte di Appello di Trento non avrebbe dovuto dichiarare nuova la domanda relativa alla supposta creazione della servitù di stillicidio, ma procedere a dichiarare l’inesistenza, in quanto non consentita da atto scritto. Specifica il ricorrente, che l’arretramento della falda del tetto, creando appunto una servitù di stillicidio, sarebbe un’innovazione per la quale sarebbe necessaria la forma scritta.
2.1.- Il motivo è inammissibile perché prospetta, o propone, una domanda nuova non presente nel giudizio di merito, considerato che il giudizio di merito non ha avuto ad oggetto la negazione dell’esistenza di un diritto di servitù. E di più, il motivo è inammissibile perché presuppone l’accoglimento del primo motivo di ricorso.
3.- Con il terzo motivo il ricorrente lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia ex art. 360 n. 5 cpc. Secondo il ricorrente la motivazione con la quale la Corte di Trento avrebbe escluso che l’abbaino realizzato da M. fosse orrendo e dunque in spregio dell’art. 1120 cod. civ., sarebbe non congrua. La Corte di Trento – chiarisce il ricorrente – avrebbe liquidato la questione sostenendo che la censura era “priva di fondamento visto che l’unico dato certo ed acquisto in atti è la CEC del Comune di (omissis) che ha rilasciato la licenza per la realizzazione dell’opera giudicata di conseguenza compatibile con il decoro architettonico del fabbricato” In altri termini, la Corte di Trento, secondo il ricorrente, non avrebbe in alcun modo valutato l’eventuale disdoro architettonico dell’abbaino e lo avrebbe dovuto fare anche tramite l’ausilio di un consulente.
3.1.- Questo motivo è infondato.
La Corte di Trento ha avuto modo di chiarire che era priva di fondamento la censura con la quale l’attuale ricorrente lamentava che l’abbaino era orrendo e ciò, per due ragioni: 1) sia perché l’unico dato certo ed acquisto in atti era la CEC del Comune di (omissis) che ha rilasciato la licenza per la realizzazione dell’opera giudicata di conseguenza compatibile con il decoro architettonico del fabbricato; 2) Sia perché la CTU svolta nel giudizio di primo grado aveva accertato che non vi era alterazione del decoro architettonico. Pertanto, la Corte di Trento non ha omesso di motivare ma ha fondato, la sua decisione, in particolare, sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio che ha fatto proprie. Né la motivazione di cui si dice appare insufficiente o contraddittoria perché la sentenza di merito, nella misura in cui recepisce le conclusioni cui è approdato il c.t.u. non richiede apposita motivazione atta a riprodurre l’iter tecnico – valutativo dell’ausiliario del giudice ed in particolare quando, come nel caso specifico, le parti e i loro consulenti non abbiano sviluppato argomentazioni atte ad infirmare quelle conclusioni.
In definitiva, il ricorso va rigettato e il ricorrente, in ragione del principio di soccombenza ex art. 191 cpc, condannato al pagamento delle spese del presente giudizio che verranno liquidate con il dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 3.200,00 di cui Euro. 200,00 per esborsi oltre accessori come per legge.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *