Corte di cassazione – Sezione II – sentenza del 14.7.2011, n. 15502. Anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento

 

Le massime

In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 cod. civ. (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poichè il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione). Anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento.

Nell’ipotesi di contrapposte domande di risoluzione per inadempimento, ciascuna parte per paralizzare la domanda dell’altra deve dimostrare il proprio adempimento, fermo restando che nel caso in cui nessuna abbia assolto tale onere, il giudice è chiamato a valutare i rispettivi inadempimenti comparativamente, per poi stabilire quale condotta sia stata causa efficiente della crisi del rapporto.

Il testo integrale sentenza n.15502 del 14 luglio 2011

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE II

Svolgimento del processo

L.A. e T.L., promissari acquirenti di un appartamento facente parte di un edificio in costruzione posto in (OMISSIS), loro promesso in vendita dal costruttore, D. P., titolare dell’omonima ditta, per il prezzo di L. 465.000.000, adivano il Tribunale di Trani per ottenere, previa risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del promittente venditore, la restituzione degli acconti versati, pari a L. 230.000.000, e il pagamento della penale pattuita.

A sostegno della domanda deducevano il ritardo del promittente, che non aveva ultimato la costruzione entro il termine del 30.8.1996 concordato per la stipula del definitivo; nonchè, quale ulteriore fattispecie di grave inadempimento, la nullità della clausola del contratto preliminare con la quale il P. si era riservata la proprietà dei piani interrati dell’edificio erigendo, per destinarli a posti auto. Chiedevano, altresì, che fosse dichiarata nulla la clausola del preliminare che subordinava la consegna del bene all’ottenimento del certificato di abitabilità.

Nel resistere in giudizio P.D. deduceva che la mancata stipula del contratto definitivo era imputabile ai promissari, che avevano dapprima preteso di rinviare la stipula del definitivo al fine di reperire la provvista necessaria al saldo prezzo, e poi chiesto di recedere dal rapporto avendo necessità di recuperare il denaro versato in acconto. Chiedeva, pertanto, il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, la risoluzione del contratto preliminare di vendita per inadempimento dei promissari acquirenti, e la loro condanna alla corresponsione della somma di L. 38.834.430, oltre IVA, per lavori extracapitolato, nonchè al pagamento della penale di L. 50 milioni e al risarcimento dei danni, in misura pari agli acconti già pagati sul prezzo complessivo.

Il Tribunale rigettava la domanda principale, accoglieva in parte quella riconvenzionale e dichiarava la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento degli attori, che condannava al pagamento della ridetta penale e della somma di L. 38.834.430.

Rigettata la domanda riconvenzionale di risarcimento del danno ulteriore, condannava, infine, il convenuto a restituire agli attori gli acconti sul prezzo di vendita.

Detta sentenza, impugnata in via principale dai L.- T. e in via incidentale dal P., era confermata dalla Corte d’appello di Bari.

Quest’ultima riteneva, in particolare, che fosse da condividere la valutazione operata dal giudice di prime cure circa le prove testimoniali assunte in merito alla responsabilità della mancata stipula del definitivo di vendita, da imputarsi ai promissari e alla loro volontà di recedere dal contratto, non essendo in condizioni di reperire la provvista necessaria al saldo prezzo. Quanto alla censura riguardante la condanna al pagamento della somma di L. 38.834.430, disposta ad avviso degli appellanti in violazione dell’art. 1382 c.c., la Corte territoriale osservava che non risultava che la nota per le opere extra contratto fosse mai stata contestata; che la relativa esecuzione era stata provata dai testi escussi; e che la pretesa concernente i lavori extracapitolato aveva natura di domanda di pagamento, mentre il diritto alla penale ineriva alla domanda di risarcimento del danno da inadempimento.

In ordine all’appello incidentale sul mancato riconoscimento di una somma a titolo di risarcimento del danno, consistente nel differenziale tra il prezzo promesso tra le parti e quello spuntato dal P. rivendendo a terzi l’immobile, la Corte barese osservava che nel contratto la penale era stata prevista a transazione e definizione di ogni danno derivante dall’inadempimento, il che escludeva la risarcibilità del danno ulteriore. Rilevava, infine, che i documenti diretti a provare tale pregiudizio aggiuntivo erano stati prodotti quando era decorso il termine perentorio appositamente fissato ai sensi dell’art. 184 c.p.c. e che non vi erano le condizioni per un’eventuale rimessione in termini.

Per la cassazione di detta sentenza ricorrono L.A. e T.L., con tre motivi articolati in più punti e illustrati da memoria.

P.D. resiste con controricorso e propone, a sua volta, ricorso incidentale affidato a due motivi.

I ricorrenti hanno presentato, a loro volta, controricorso

Motivi della decisione

I ricorsi vanno riuniti ex art. 335 c.p.c. siccome proposti avverso la medesima sentenza.

1. – Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 100 e 116 c.p.c., nonchè degli artt. 1453, 1456, 1477 e 2697 c.c. e per omessa valutazione di fatti decisivi e delle prove vertenti su di essi.

1.1. – In particolare, circa l’errata e contraddittoria valutazione delle prove fornite dalla parte promittente venditrice, i ricorrenti, premesso che era onere del P. provare le condizioni della propria domanda di risoluzione, e dunque dimostrare di essere pronto ad adempiere, sostengono che la Corte abbia ritenuto di trarre tale prova dalla nota dell’ufficio tecnico comunale circa la dichiarazione di ultimazione dei lavori, dichiarazione che proviene dallo stesso costruttore e che non è frutto di accertamento della pubblica amministrazione destinataria.

1.2. – La Corte territoriale, inoltre, non ha considerato che l’appartamento era privo della licenza di abitabilità, che secondo il contratto preliminare condizionava l’immissione dei promissari nel possesso del bene.

1.3. – Entrambi i giudici di merito, inoltre, hanno affermato che gli attori non avevano più interesse al contratto, conclusione, questa, che però si scontra con la circostanza, pure recepita dal giudice a quo, che i ricorrenti al mese di luglio del 1996 avevano corrisposto la rata di prezzo maturata a tale data e scelto il box auto per la propria abitazione.

1.4. – Se la Corte di merito avesse rilevato che non vi era prova, per le ragioni anzi dette, dell’adempimento del costruttore, non avrebbe mai potuto addebitare ai L.- T. la risoluzione del contratto, avendo essi sempre adempiuto le loro obbligazioni.

1.5. – Il giudice d’appello si è vistosamente contraddetto nel valutare la prova orale fornita dal costruttore, limitandosi a rilevarne il profilo strettamente formale senza collegarla ai fatti innanzi indicati e all’intero contesto probatorio.

1.6. – La sentenza impugnata non ha esaminato il fatto che il P. “non aveva nemmeno considerato in loro favore il diritto reale d’uso del posto auto”, circostanza, questa, che (ritenuta assorbita dal giudice di primo grado) è qualificabile come inadempimento idoneo a legittimare la risoluzione del contratto.

1.7. – La Corte territoriale, infine, non ha proceduto ad una valutazione comparativa delle rispettive condotte dei contraenti al fine di accertare, in rapporto alla relazione logica e cronologica, il nesso causale che, nei limiti dell’adeguatezza e della proporzionalità, possa giustificare l’inadempimento di una parte nei confronti dell’altra.

2. – Il motivo è fondato nei termini che seguono.

E’ ormai consolidato l’orientamento di questa Corte, a partire da S.U. n. 1353/01, per cui in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 cod. civ. (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poichè il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione). Anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento (cfr. tra le più recenti, Cass. nn. 3373/10, 13674/06, 8615/06 e 2387/04).

Tale indirizzo comporta che nell’ipotesi di contrapposte domande di risoluzione per inadempimento, ciascuna parte per paralizzare la domanda dell’altra deve dimostrare il proprio adempimento, fermo restando che nel caso in cui nessuna abbia assolto tale onere, il giudice è chiamato a valutare i rispettivi inadempimenti comparativamente, per poi stabilire quale condotta sia stata causa efficiente della crisi del rapporto.

2.1. – Nello specifico, P.D., quale promittente venditore, avrebbe dovuto provare (non gli elementi costitutivi della propria domanda di risoluzione, essendo pacifica tra le parti l’esistenza del contratto preliminare e il suo contenuto, bensì) l’esecuzione dell’obbligazione il cui inadempimento è posto a base della domanda degli attori, id est aver ultimato la costruzione del fabbricato entro il termine del 30.8.1996, ottenendo il rilascio del certificato di abitabilità (l’altro preteso inadempimento, quello relativo all’inserzione di una clausola nulla nel contratto preliminare, non forma oggetto di questione nel presente giudizio di legittimità).

Analogamente, i L.- T. avrebbero dovuto provare il pagamento del prezzo, o meglio della parte del prezzo (l’ultimo rateo essendo previsto all’atto del definitivo di vendita, pacificamente non concluso) nei termini previsti nel preliminare.

In merito, la sentenza della Corte barese non individua esattamente i rispettivi oneri probatori, nè fornisce una motivazione del tutto congrua ed esente da contraddizioni nel valutare le emergenze probatorie che richiama.

In particolare, la decisione impugnata è erronea, perchè contraria al criterio di riparto dell’onere di cui all’art. 2697 c.c. nei sensi sopra illustrati, nella parte in cui afferma che i L.- T. non hanno dimostrato di aver dato risposta alla lettera raccomandata 31.10.1996 con cui il P. comunicava di mettere a loro disposizione l’immobile ultimato, trattandosi di mera dichiarazione di parte che come non prova l’effettiva ultimazione dell’opera e il rilascio del certificato di abitabilità, così non vale a riferire al creditore l’onere probatorio gravante sul soggetto oblato.

E’, invece, da ritenere affetta da vizio di logicità l’ulteriore affermazione che la Corte territoriale opera nel ritenere genuina l’affermazione contenuta nella precitata lettera, lì dove osserva che lo stesso ufficio tecnico del comune di Bisceglie aveva con propria nota dichiarato che alla data del 31.10.1996 l’appellato aveva comunicato l’ultimazione dei lavori. Anche in tal caso, deve rimarcarsi non solo che la mera dichiarazione proveniente dal soggetto interessato a renderla (potenzialmente per almeno due motivi, ossia evitare le contestazioni da parte dei promissari e la scadenza della concessione edilizia) non può essere volta a vantaggio dello stesso dichiarante, ma anche che l’ultimazione dei lavori, quand’anche provata, non equivale ad ottenimento della licenza di abitabilità, senza la quale l’immobile promesso non assolve la funzione che le è propria.

La motivazione appare, invece, insufficiente lì dove nel valutare la condotta dei promissari, esamina le deposizioni dei testi che hanno riferito della volontà di questi ultimi di ritirarsi dall’affare, senza tuttavia porre tale dato in comparazione con altro, pacifico nell’an e di segno opposto, consistente nel versamento da parte dei L.- T. di varie somme in acconto sul prezzo di vendita.

L’esatta ricostruzione in senso sia quantitativo, sia temporale, dei pagamenti effettuati avrebbe consentito di completare il complessivo quadro delle emergenze istruttorie rilevanti ai fini della valutazione della condotta degli odierni ricorrenti, per poi esaminare criticamente se e a quali elementi attribuire (maggior senso e) motivata prevalenza. Tale approfondimento non è stato operato dalla Corte barese, che si è limitata a valutare la sola prova testimoniale.

3. – Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 1382, 1453, comma 2 e art. 2697 c.c., nonchè degli artt. 189 e 209 c.p.c..

Si sostiene, con riferimento al capo di condanna dei L.- T. al pagamento dei lavori extra capitolato, in aggiunta alla penale, che il giudice d’appello ha violato il disposto dell’art. 1453 c.c., comma 2, in quanto, una volta richiesta la risoluzione, non poteva più essere domandato l’adempimento, e una volta prevista una penale non vi può essere risarcimento per il maggior danno.

3.1.- Anche tale censura è fondata.

La Corte territoriale incorre in errore lì dove mostra di condividere la qualificazione della domanda proposta dal P. come “risarcimento al pagamento dei lavori extra capitolato” (v. pag. 13).

Orbene, il pagamento di lavori ulteriori rispetto a quelli previamente concordati in un apposito capitolato non può logicamente costituire oggetto di un’obbligazione di risarcimento del danno derivante da inadempimento contrattuale, per il semplice fatto che quest’ultima obbligazione per sua stessa natura è succedanea ad altra, di diverso contenuto, non eseguita.

Nel caso di specie, l’obbligo primigenio di pagare il corrispettivo dei lavori extra capitolato coincide perfettamente con quello asseritamente risarcitorio, il quale ne costituisce null’altro che un’erronea variante verbale, illusoriamente escogitata dalla parte convenuta per sottrarre la propria pretesa all’effetto caducatorio proprio della risoluzione del contratto.

Escluso, dunque, che di obbligazione risarcitoria possa tecnicamente trattarsi, va da sè che ai sensi dell’art. 1453 c.c., comma 2, non può essere chiesta la risoluzione in una con l’adempimento di un’obbligazione che, come quella relativa al pagamento delle opere extra capitolato, trae la propria fonte dal medesimo contratto che si intende sciogliere.

4. – Le considerazioni svolte assorbono l’esame sia del terzo motivo del ricorso principale, con il quale si deduce la violazione degli artt. 1224, comma1 e 2, e art. 2697 c.c., relativamente alla condanna dei L.- T. al pagamento della penale e dei lavori cd. extracontrattuali; sia del ricorso incidentale, con il quale si denuncia la violazione a) degli artt. 2043 e 1218 c.c., in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5 (nel controricorso questi ultimi due numeri sono invertiti) e dell’art. 184 bis c.p.c.; e b) degli artt.1218, 1223, 1225, 1226 c.c., nonchè dell’art. 184 bis c.p.c.. L’una e l’altra censura, infatti, presuppongono il mantenimento della pronuncia di risoluzione a carico dei L.- T., travolta, invece, dall’accoglimento del ricorso principale.

5. – Sulla base delle considerazioni svolte, va accolto il ricorso principale per quanto in motivazione, assorbito quello incidentale, e la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Bari, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie per quanto in motivazione il ricorso principale, assorbito quello incidentale, cassa in relazione al ricorso accolto la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Bari, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

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