Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza del 14 gennaio 2013, n. 707
Svolgimento del processo
M.C. citò innanzi al Tribunale di Savona il Fallimento della srl Immobiliare L., chiedendo che venisse accertata l’autenticità della sottoscrizione (del legale rappresentante della società a quel tempo in bonis) apposta in calce ad un contratto di vendita in proprio favore di un appartamento sito in (…) , per il corrispettivo di lire 85 milioni, e quindi l’intervenuto effetto traslativo, offrendosi di corrispondere l’eventuale residuo prezzo. Il Fallimento si costituì chiedendo il rigetto della domanda sia perché il procedimento di verificazione non poteva applicarsi ad un soggetto terzo rispetto alla scrittura, quale si poneva il Fallimento, sia perché, trattandosi di contratto preliminare, la verificazione della scrittura non avrebbe sortito alcun effetto traslativo; chiese pertanto la condanna dell’attore al risarcimento dei danni per lite temeraria. La domanda fu respinta ed il C. propose appello che fu, del pari, rigettato dalla Corte di Appello di Genova che, pur dando atto che il Fallimento, rispetto alla domanda di verificazione, non si sarebbe potuto qualificare come terzo, quanto piuttosto come avente causa dalla società fallita – con la conseguenza che la pronunzia, eventualmente emessa in sede di verifica, gli sarebbe stata opponibile – osservò che la natura del contratto, da qualificarsi come preliminare di vendita, e la dichiarazione espressa da parte del Curatore di non voler subentrare nella posizione di promittente venditore – così esercitando la facoltà riconosciutagli dall’art. 72 l. fall. – non avrebbe consentito che il C. conseguisse la proprietà del bene, privandolo dell’interesse all’accertamento sopra indicato.
Il C. ha proposto ricorso per la cassazione di tale pronunzia, facendo valere due motivi; il Fallimento si è costituito resistendo all’impugnazione con controricorso, illustrato da memoria.
Motivi della decisione
I – Con il primo motivo parte ricorrente denunzia l’erronea applicazione delle norme sull’ermeneutica negoziale, con conseguente vizio di illogicità e contraddittorietà della motivazione, lamentando il rilievo eccessivo che la Corte del merito avrebbe attribuito all’elemento letterale, in cui veniva enfatizzata la circostanza della titolazione del contratto come contratto preliminare e la costante indicazione delle parti come promissario acquirente e promittente venditore; sostiene invece il ricorrente che vi sarebbero stati degli altri elementi sicuramente indicativi di una compravendita già conclusa (versamento di gran parte del prezzo pattuito; pagamento dei contratti di fornitura e partecipazione alle assemblee condominiali da parte di esso ricorrente, preteso promissario acquirente).
I. a – Sostiene altresì il ricorrente la violazione del canone di interpretazione di buona fede, atteso che il Commissario Giudiziale del Concordato Preventivo, poi trasformatosi in Fallimento, aveva ricevuto da esso deducente il pagamento delle rate di prezzo sino alla dichiarazione di fallimento; si duole inoltre della mancata considerazione delle particolari clausole presenti nel negozio che erano riassumibili nell’ambito di un contratto definitivo e non già in quello preliminare.
I. b – Il motivo deve dirsi inammissibile in quanto difetta di specificità non avendo riportato il contenuto del contratto al fine di far compiere la pur richiesta disamina interpretativa; in secondo luogo l’interpretazione del negozio è di esclusiva pertinenza del giudice del merito e non può essere sindacata se non con specifico e motivato riferimento al mancato rispetto dei canoni di interpretazione negoziale che, nella fattispecie, non sono stati affrontati in maniera critica; in terzo luogo la condotta tenuta dal Commissario liquidatore, non può essere in alcun modo imputata al Curatore ai fine di far emergere una scorrettezza che, semmai, riguarderebbe la scelta tra sciogliersi dal preliminare o darvi esecuzione ma non già a fini interpretativi degli effetti negoziali che da essa fossero originati.
I. c – Va infine posto l’accento sull’esistenza di una prassi negoziale – e sulla conseguente tipizzazione dottrinaria e giurisprudenziale – che ha dato vita ad una particolare conformazione che può assumere il preliminare, ferma restando la sua natura di contratto giuridicamente definitivo pur se economicamente inserito in una fattispecie in itinere – laddove ne sia prevista la esecuzione anticipata di alcuni degli effetti principali del contratto c.d. definitivo: in quest’ipotesi – che appare essersi realizzata nella fattispecie – il preliminare non diviene un aliquid novi rispetto allo schema delineato dall’art. 2932 cod. civ. ma la sua concreta disciplina risente dell’inizio di esecuzione che esso ha avuto.
I.d – Nuova infine appare la prospettazione in forza della quale si sindaca il potere stesso del Curatore di sciogliersi dal contratto – a’ sensi dell’art. 72 l. fall. -, non senza omettere di considerare che la condotta del Fallimento si pone al di fuori del thema decidendum perché, se pure fosse invalida l’espressione di disinteresse alla conclusione del definitivo manifestata dalla procedura concorsuale, non per questo si sarebbe in presenza di un contratto che avesse già prodotto i suoi effetti traslativi.
II – Con il secondo motivo si denunzia l’omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia costituito dalla opponibilità alla Curatela della scrittura privata – id est il preliminare – se pure non trascritta: il motivo – oltre ad essere inammissibile per difetto di specificità laddove non indica il locus processi ove la negletta difesa sarebbe stata svolta – è assorbito dalle conclusioni alle quali si è sopra pervenuti nel confermare la natura di preliminare del contratto in oggetto e nel dare pacificamente atto che il Curatore non aveva inteso subentrare nella posizione di promittente venditore, facendo venir meno ogni residuo interesse del promissario acquirente ad opporre al Fallimento il contratto, priva di rilevanza essendo, infatti, in tale contesto, la circostanza che il preliminare potesse avere data certa, non precludendo ciò l’esercizio da parte del Curatore della facoltà attribuitagli dall’art. 72 l. fall.
III – Le spese seguono la soccombenza secondo quanto indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 4.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre IVA e CAP.
Depositata in Cancelleria il 14.01.2013
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