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Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza  8 settembre 2014, n. 18889

Svolgimento del processo

Con atto notificato in data 20.5.1992 D.F.P. , proprietario di un fabbricato con annesso terreno in località (omissis) , citava a comparire innanzi al tribunale di Rieti T.B. , T.R. , T.G. e M.R. .
Esponeva che il tribunale di Rieti con sentenza n. 185/1986, confermata in sede di gravame, aveva su sua domanda condannato i coniugi T.G. e M.R. ad abbattere l’ampliamento che costoro avevano realizzato nell’immobile, insistente sul fondo limitrofo, di loro proprietà e poi – a seguito della donazione ai figli, B. e R. , dell’usufrutto – di loro nuda proprietà; che dall’obbligo di abbattimento fuoriusciva, giacché egli attore non ne aveva formulato richiesta, la sopraelevazione che i coniugi convenuti pur avevano operato; che in sede di esecuzione della demolizione si era riscontrato che i convenuti avevano costruito sulla facciata del fabbricato a distanza illegale dalla sua proprietà un balcone dapprima inesistente.
Chiedeva che i convenuti fossero condannati a demolire la sopraelevazione ed il balcone nonché a risarcire il danno cagionatogli in misura da determinarsi anche in via equitativa.
Si costituiva unicamente T.B. ; instava per il rigetto dell’avversa domanda ed in via riconvenzionale perché l’attore fosse condannato ad arretrare il pollaio che aveva realizzato sul suo terreno nondimeno a distanza illegale dal confine.
Nel corso della prima udienza l’attore invocava altresì la condanna dei convenuti alla chiusura delle finestre aperte a distanza illegale.
All’esito dell’istruttoria con sentenza n. 204/1998 il tribunale adito, disconosciuta la novità della domanda tesa a conseguire la chiusura delle finestre, in quanto mera specificazione della domanda originariamente esperita, condannava i convenuti all’arretramento immediato della sopraelevazione e del balcone comprensivo delle porte finestre, rigettava la domanda risarcitoria, rigettava la domanda riconvenzionale, condannava i convenuti alla rifusione delle spese.
Interponevano appello T.B. e R. ; vi aderivano T.G. e M.R. .
Resisteva D.F.P. ; spiegava inoltre appello incidentale, atteso che nel dispositivo della statuizione di primo grado “mancava il preciso riferimento all’eliminazione della finestra e della porta – finestra” (così ricorso principale, pag. 8).
Disposta ed espletata c.t.u., con sentenza n. 966 dei 18.6.2004/5.3.2008 la corte d’appello di Roma, in accoglimento dell’appello principale ed in riforma della gravata sentenza, così statuiva: “1) rigetta la domanda proposta da D.F.P. . 2) Condanna D.F.P. ad arretrare alla distanza di m. 5 dal confine T. il pollaio realizzato sulla particella 633. 3) Rigetta l’appello incidentale. 4) Condanna l’appellato D.F. a rifondere agli appellati T. le spese di entrambi i gradi di giudizio…” (così sentenza d’appello, pag. 5).
In particolare evidenziava la corte di merito che “la sopraelevazione… realizzata sulla particella 634, Fol. 20… è sicuramente legittima, atteso che il regolamento edilizio del Comune consente la edificazione in aderenza e, quindi, in applicazione del principio della prevenzione, assicura il diritto di sopraelevare sulla stessa linea di confine” (così sentenza d’appello, pag. 3); che “le finestre e la porta – finestra… rispettano, con tutta evidenza, la normativa di cui all’art. 905 c.c.” (così sentenza d’appello, pag. 3); che “il pollaio…, per quanto realizzato dal D.F. in materiali eterogenei, costituisce un manufatto edilizio, che si pone in contrasto con la normativa prescrittiva della distanza di m. 5 dal confine” (così sentenza d’appello, pag. 3); che “l’appello principale… deve, pertanto, essere accolto,… la reiezione dell’appello incidentale… ne scaturisce di conseguenza” (così sentenza d’appello, pag. 3).
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso D.F.M.I. e D.F.C. , entrambi quali eredi di D.F.P. ; ne chiedono, sulla scorta di due motivi, la cassazione con ogni conseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite; chiedono altresì che questa Corte “ordini ai resistenti di restituire, in solido, ai ricorrenti la somma di Euro 10.841,83 oltre interessi, versata con riserva di ripetizione, in esecuzione della sentenza della Corte di Appello di Roma” (così ricorso principale, pag. 17).
T.B. e T.R. hanno depositato controricorso contenente ricorso incidentale condizionato fondato su un unico motivo; chiedono in via principale dichiararsi inammissibile e comunque rigettarsi l’avverso ricorso; in via subordinata, in accoglimento del ricorso incidentale condizionato, che questa Corte “confermi la statuizione impugnata decidendola nel merito sostituendo la motivazione” (così controricorso, pag. 22).
Gli intimati T.G. e M.R. non hanno svolto difese.
I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Del pari hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c. i controricorrenti.

Motivi della decisione

Con il primo motivo i ricorrenti deducono ai sensi dell’art. 360, 1 co., n. 3), c.p.c. la violazione o falsa applicazione delle norme sulle distanze prescritte dallo strumento urbanistico del Comune di Castel S. Angelo in relazione all’art. 873 c.c..
Adducono che lo “strumento urbanistico comunale… consente di costruire sul confine, ma a condizione che vi sia una convenzione fra i privati confinanti che lo consenta” (così ricorso principale, pag. 11); che “l’assenza della convenzione, la quale tra l’altro doveva rivestire la forma scritta ad substantiam…, è stata trascurata dalla corte romana” (così ricorso principale, pag. 12); che “la sua mancanza, non valutata, doveva indurre al rigetto dell’appello, sulla considerazione che la sopraelevazione realizzata sul confine violava sia la norma regolamentare che imponeva la distanza di m. 5 dal confine, che quella che imponeva la distanza di m. 10 dal fabbricato di D.F. ” (così ricorso principale, pag. 12); che “il travisamento della Corte territoriale consiste nell’aver applicato la norma del regolamento comunale che concede la facoltà di costruire sul confine, in assenza (della prova) della convenzione fra i privati confinanti che – sola – lo consentiva; e nell’aver disapplicato le norme regolamentari sulle distanze che derogavano e rendevano inoperante il principio della prevenzione” (così ricorso principale, pag. 12).
Con il secondo motivo i ricorrenti deducono ai sensi dell’art. 360, 1 co., n. 3), c.p.c. la violazione o falsa applicazione delle norme sulle distanze prescritte dallo strumento urbanistico del Comune di Castel S. Angelo in relazione agli artt. 873 e 905 c.c.; ai sensi dell’art. 360, 1 co., n. 5), c.p.c. il vizio di omessa motivazione su fatto decisivo.
Adducono che “in ordine al balcone e alle finestre – vedute, la Corte territoriale ha preso in esame soltanto la distanza prescritta dall’art. 905 c.c.” (così ricorso principale, pag. 14);
che “ha però trascurato del tutto l’altra, diversa, decisiva violazione prospettata… nelle conclusioni dell’atto introduttivo e reiterata in appello: vale a dire la violazione, ad opera del balcone, della duplice distanza imposta dallo strumento urbanistico comunale di 10 m. dal suo fabbricato e di m. 5 dalla linea di confine; distanza da osservare in quanto il balcone era una costruzione da computare nelle distanze… anche se scoperto” (così ricorso principale, pag. 14).
Con l’unico motivo fondante il ricorso incidentale i controricorrenti deducono la “nullità della sentenza ex art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione dell’art. 183 c.p.c. nella misura in cui ha rigettato nel merito l’appello incidentale proposto dall’appellato D.F.P. avente ad oggetto l’ordine di chiusura della finestra e della porta finestra aggettanti sul nuovo balcone” (così controricorso, pag. 19).
Adducono che “la Corte territoriale accoglieva l’appello principale ritenendo così assorbita ogni altra questione e deduzione e rigettando l’appello incidentale” (così controricorso, pag. 21); che in tal guisa la corte territoriale ha “implicitamente rigettato la censura di inammissibilità ed improponibilità della domanda di riduzione in pristino delle finestre avanzata nell’appello principale” (così controricorso, pag. 21); che nondimeno è necessario che questa Corte di legittimità, subordinatamente all’accoglimento del ricorso principale, “valuti se legittimamente la Corte d’appello ha ritenuto tempestivamente avanzata la domanda di riduzione in pristino avanzata dal D.F. all’udienza dell’1/7/1992” (così controricorso, pag. 21).
Fondato e meritevole di accoglimento è il primo motivo del ricorso principale.
È bastevole reiterare l’insegnamento di questa Corte alla cui stregua, in materia di distanze legali fra edifici, la sopraelevazione di un edificio preesistente, determinando la modifica della volumetria del fabbricato con aumento della sagoma di ingombro, costituisce nuova costruzione, soggetta alla disciplina sulle distanze legali in vigore al momento della sua effettuazione; ne consegue che, qualora tale normativa sia diversa da quella prevista per la costruzione originaria, il preveniente non potrà sopraelevare in allineamento con l’originaria costruzione, non trovando applicazione il criterio della prevenzione, che – nel caso di costruzione sul confine – impone a colui che edifica per primo di costruire in corrispondenza della stessa linea di confine su cui ha innalzato il piano inferiore oppure a distanza non inferiore a quella legale, in modo da non costringere il prevenuto ad elevare a sua volta un immobile a linea spezzata (cfr. Cass. 12.1.2005, n. 400; cfr. altresì Cass. 3.1.2011, n. 74, secondo cui in tema di rispetto delle distanze legali tra costruzioni, la sopraelevazione di un edificio preesistente, determinando un incremento della volumetria del fabbricato, è qualificabile come nuova costruzione; ad essa, pertanto, è applicabile la normativa vigente al momento della modifica e non opera il criterio della prevenzione se riferito alle costruzioni originarie, in quanto sostituito dal principio della priorità temporale correlata al momento della sopraelevazione).
In questo quadro si da atto che i medesimi controricorrenti riferiscono e non disconoscono che il “regolamento edilizio del Comune di Castel S. Angelo, adottato dal Comune con delibera Consiliare n. 62 del 14/1076 e approvato dalla Regione Lazio con delibera n. 2452 del 6/6/78… per la zona C1 prevede una distanza di m. 5,00 dai confini interni e di 10 m. dagli altri fabbricati con possibilità di costruire in aderenza in presenza di una convenzione tra i privati” (così memoria ex art. 378 c.p.c. diparte controricorrente, pag. 5).
Ne discende, naturaliter, che del tutto infondato è l’assunto degli stessi T.B. e R. secondo cui “potevano senz’altro sopraelevare il proprio fabbricato… in aderenza in un lotto nel quale si è già costruito sulla linea di confine” (così memoria ex art. 378 c.p.c. di parte controricorrente, pag. 6).
Fondato e meritevole di accoglimento è parimenti il secondo motivo del ricorso principale.
Vero è, certo, che questa Corte spiega che la disposizione normativa di cui all’art. 873 c.c., dettata in tema di distanze tra fabbricati e diretta a tutelare interessi generali di igiene, decoro e sicurezza degli abitanti (tale, pertanto, da consentire anche una più rigorosa valutazione in sede locale), non ha alcuna correlazione con la norma di cui all’art. 905 c.c., relativa alla distanza delle vedute e volta, dal suo canto, a salvaguardare il fondo finitimo dalle indiscrezioni attuabili mediante la realizzazione e l’uso di un'”opera obbiettivamente destinata a tale scopo” (cfr. Cass. 26.2.2001, n. 2765).
Nondimeno questa Corte esplicita altresì che siffatto postulato esegetico opera a condizione che la maggior distanza tra costruzioni imposta dai regolamenti locali non sia riferita, specificamente, anche al confine, ma risulti sancita in via assoluta, indipendentemente dalla dislocazione delle costruzioni nei rispettivi fondi (cfr. Cass. 26.2.2001, n. 2765, ove si soggiunge che, al di fuori dell’ipotesi in cui la distanza sia riferita in modo specifico anche al confine, la distanza delle vedute dal confine stesso deve intendersi regolata, in via esclusiva, dalla norma di cui all’art. 905 c.c., non potendo una norma sulla distanza sui fabbricati incidere, ex se, su quelle relative alle vedute; cfr. anche Cass. 27.1.1988, n. 741).
Ebbene si è premesso – in sede di disamina del primo motivo del ricorso principale – che il regolamento edilizio del Comune di Castel S. Angelo consente di costruire sul confine esclusivamente in presenza di un accordo tra i privati confinanti, sicché, in assenza, impone l’osservanza della distanza di m. 5 dal confine.
In questi termini risulta del tutto ingiustificato l’assunto di parte controricorrente secondo cui nella fattispecie non è utilizzabile la diversa disciplina di cui all’art. 873 c.c. (cfr. memoria ex art. 378 c.p.c. di parte controricorrente, pag. 7).
Destituito di fondamento è il ricorso incidentale.
È fuor di dubbio che l’accoglimento dell’appello principale e, quindi, il rigetto in sede di gravame della domanda spiegata in prime cure da D.F.P. , non poteva che implicare ex se, quale naturale corollario, il rigetto dell’appello incidentale che il medesimo D.F.P. aveva esperito e finalizzato a conseguire la chiusura delle porte – finestre aperte a distanza illegale.
In ogni caso, al riguardo, non può che condividersi la prospettazione dei ricorrenti, a tenor della quale “l’eliminazione delle finestre altro non è che una mera specificazione, o tutt’al più una modificazione consentita, della domanda originariamente proposta, dato che l’uso del balcone è possibile solo attraverso la porta finestra, non essendo altrimenti raggiungibile e fruibile” (così memoria ex art. 378 c.p.c. diparte ricorrente, pag. 3).
Del resto questo giudice del diritto da tempo esplicita che si è al cospetto di una mera emendatio e non già di una mutatio libelli, qualora l’attore modifichi la domanda ampliando il petitum, senza variare il fatto giuridico posto a fondamento della pretesa (cfr. Cass. 23.6.1980, n. 3938).
In correlazione con il buon esito di ambedue i motivi fondanti il ricorso principale nulla osta a che questa Corte attenda, giusta la previsione dell’art. 384, 1 co., c.p.c., all’enunciazione dei principi di diritto, cui in sede di rinvio la corte territoriale dovrà senz’altro uniformarsi, per relationem, mercé il rinvio ai già menzionati insegnamenti n. 400/2005 e n. 2765/2001, rispettivamente per il primo ed il secondo motivo del ricorso principale.
La sentenza n. 966 dei 18.6.2004/5.3.2008 della corte d’appello di Roma, in accoglimento di ambedue i motivi del ricorso principale, va conseguentemente cassata.
Si dispone il rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Roma, che si uniformerà ai testé enunciati principi di diritto e provvedere inoltre alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso principale in relazione ad ambedue i motivi, rigetta il ricorso incidentale condizionato, cassa la sentenza impugnata in relazione ad ambedue i motivi del ricorso principale, rinvia ad altra sezione della corte di appello di Roma anche ai fini della regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

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