Corte di Cassazione bis

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 8 aprile 2015, n. 14078

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Ciro – Presidente

Dott. CAMMINO Matilde – Consigliere

Dott. DAVIGO Piercamillo – Consigliere

Dott. LOMBARDO Luigi – rel. Consigliere

Dott. VERGA Giovanna – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1) (OMISSIS), n. il (OMISSIS);

2) (OMISSIS), n. il (OMISSIS);

3) (OMISSIS), n. il (OMISSIS);

4) (OMISSIS), n. il (OMISSIS);

5) (OMISSIS), n. l'(OMISSIS);

avverso la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro del 12.3.2014; Sentita la relazione del Consigliere Luigi Lombardo;

Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Mario Fraticelli, che ha concluso per l’annullamento con rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio per (OMISSIS) e (OMISSIS) e rigetto nel resto dei loro ricorsi; rigetto degli altri ricorsi;

Uditi i difensori Avv.ti (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1. Con sentenza del 3 aprile 2012, la Corte distrettuale di Catanzaro, definendo il giudizio di appello nei confronti di 29 imputati (tra i quali gli odierni ricorrenti) che avevano impugnato la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Crotone il 7.6.2011, confermo’ tutte le affermazioni di responsabilita’ pronunciate dal primo giudice e, per alcuni imputati, ridetermino’ il trattamento sanzionatorio; solo per l’imputato (OMISSIS), previa riqualificazione alla stregua del delitto di favoreggiamento della condotta originariamente qualificata come partecipazione ad associazione mafiosa, dichiaro’ la improcedibilita’ dell’azione penale per intervenuta prescrizione.

Le imputazioni (estese anche ad altri soggetti nei cui confronti si e’ proceduto separatamente) afferivano a: reati associativi di tipo mafioso (la cd. cosca crotonese, capo 1, dagli anni ‘90 “ad oggi”; la cd. cosca Megna, capo 1A, dal 2004 ad oggi); reato di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (capo 79); reati-fine in materia di stupefacenti; reati di estorsione, tentata rapina, danneggiamento aggravato e lesioni personali aggravate; reati in materia di armi; reati in materia elettorale.

2. Avverso tale sentenza proposero ricorso per cassazione gli imputati e la Sezione Sesta di questa Corte, con sentenza del 30.9.2013, annullo’ la pronunzia impugnata – per quanto qui rileva – nei confronti di (OMISSIS) e, limitatamente al mancato riconoscimento della invocata continuazione in relazione a precedenti condanne, nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), rigettando nel resto i ricorsi di questi ultimi e rinviando ad altra Sezione della Corte di Appello di Catanzaro per nuovo giudizio.

3. Con sentenza del 12.3.2014, la Corte di Appello di Catanzaro, pronunziando quale giudice di rinvio, in riforma della sentenza di primo grado, assolvette (OMISSIS) dal reato ascrittogli al capo 80) della rubrica, rideterminando nei suoi confronti la pena in relazione ai residui reati (capi 1A, 79 e 79CZ); rigetto’ la richiesta di riconoscimento della continuazione avanzata da (OMISSIS) in relazione a precedenti condanne, confermando la riduzione della pena gia’ operata dalla Corte di Appello di Catanzaro con sentenza del 3.4.2012; riconobbe invece, per (OMISSIS) e (OMISSIS), la continuazione tra i reati per cui si procede e quelli oggetto di precedenti sentenze di condanna, rideterminando la pena nei loro confronti; rigetto’, infine, la richiesta di riconoscimento della continuazione avanzata da (OMISSIS) in relazione a precedenti condanne, confermando la pena irrogata nei suoi confronti dal Tribunale di Crotone.

4. Avverso tale ultima sentenza, ricorrono per cassazione – ciascuno a mezzo dei suoi difensori – (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).

5. (OMISSIS), con i due ricorsi proposti (uno a firma dell’avv. (OMISSIS), l’altro dell’avv. (OMISSIS)), formula diverse censure, che possono essere unitariamente riassunte come segue.

5.1. Innanzitutto si deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge, nonche’ il vizio della motivazione della sentenza impugnata con riferimento alla ritenuta responsabilita’ dell’imputato in ordine ai reati di associazione mafiosa (capo 1A), associazione finalizzata al traffico di sostanza stupefacenti (capo 79) e detenzione illegale di sostanze stupefacenti (79CZ). Si lamenta, in particolare, che i giudici di merito non avrebbero osservato quanto disposto dalla Corte di cassazione con la sentenza del 30.9.2013, non provvedendo a rivalutare le dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia – (OMISSIS) e (OMISSIS) – alla luce delle incongruenze evidenziate dai difensori nell’atto di appello. Si deduce: l’assoluta genericita’ delle dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia, che sarebbero insufficienti per costituire prova dei fatti contestati; il travisamento dell’appello quanto alla doglianza relativa alla effettiva residenza del (OMISSIS) in Calabria; le discordanze tra le dichiarazioni dei due collaboratori circa il fatto che il (OMISSIS) avrebbe posto in essere condotte illecite unitamente al (OMISSIS), circa il soprannome di “bandito” riferito al (OMISSIS) e circa la presenza di (OMISSIS) all’interno di un magazzino laddove si tagliava e si confezionava la marijuana; l’errore del (OMISSIS) nell’indicare il (OMISSIS) della altezza di m. 1,80, essendo invece il (OMISSIS) alto solo m. 1,70. Alla stregua di quanto sopra, mancherebbe la convergenza del molteplice necessaria per ritenere il (OMISSIS) responsabile dei reati ascrittigli. Si lamenta ancora che la Corte di rinvio, una volta ritenuta la inutilizzabilita’ delle dichiarazioni rese dal teste (OMISSIS) (ispettore di polizia), non avrebbe potuto affermare la responsabilita’ del (OMISSIS) in ordine ai reati di cui ai capi 79) e 79CZ), che sarebbero rimasti del tutto sforniti di prova. In particolare, si deduce la incongruenza di aver affermato, nella sentenza impugnata, la responsabilita’ del (OMISSIS) anche in ordine al delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 (capo 79CZ) pur in assenza di qualsiasi prova di una delle condotte illecite ascritte all’imputato.

5.2. Sempre nell’interesse del (OMISSIS), si deduce poi l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge, nonche’ il vizio della motivazione della sentenza impugnata con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7.

5.3. Ancora nell’interesse del (OMISSIS) si deduce, infine, l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge, nonche’ il vizio della motivazione della sentenza impugnata con riferimento alla quantificazione della pena irrogata e al diniego delle circostanze attenuanti generiche.

5.4. I difensori del (OMISSIS) hanno presentato memoria, con la quale insistono per l’accoglimento del ricorso.

5.5. Le censure non sono fondate.

5.5.1. Va premesso che la Sezione Sesta di questa Corte, nell’annullare la sentenza di appello relativamente alla posizione di (OMISSIS), rilevo’ che la Corte territoriale non aveva fornito risposta alle censure contenute nell’atto di appello relativamente alle incongruenze interne alle specifiche dichiarazioni riguardanti il (OMISSIS); rilevo’ ancora che la Corte territoriale aveva omesso di dare risposta al problema della utilizzabilita’ delle dichiarazioni rese dal teste (OMISSIS) (Ispettore di polizia) e del verbale di perquisizione e sequestro del 26.3.2008, per la parte di esse che riferivano dell’attivita’ di indagine (svolta da altri ufficiali di P.G.) finalizzata ad individuare l’utilizzatore del garage nel quale fu effettuata una perquisizione domiciliare con relativo sequestro di sostanze stupefacenti e delle dichiarazioni in quel contesto rese da (OMISSIS), proprietario dell’immobile.

Orbene, cio’ posto, va rilevato che erroneamente il ricorrente si duole della violazione dell’articolo 627 c.p.p., comma 3, con riferimento al dovere del giudice di rinvio di uniformarsi al dictum della Corte di cassazione.

Tale norma, infatti, vincola il giudice di rinvio ad uniformarsi ai “principi di diritto” dettati dalla Corte suprema e ad ogni questione di diritto da essa decisa; essa attiene, percio’, alla quaestio iuris o alla metodologia prescritta dalla legge per la ricostruzione del fatto, giammai pero’ alla quaestio facti in se’.

In proposito, va ricordato che questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato che, “A seguito di annullamento per vizio di motivazione, il giudice di rinvio e’ vincolato dal divieto di fondare la nuova decisione sugli stessi argomenti ritenuti illogici o carenti dalla Corte di cassazione, ma resta libero di pervenire, sulla scorta di argomentazioni diverse da quelle censurate in sede di legittimita’ ovvero integrando e completando quelle gia’ svolte, allo stesso risultato decisorio della pronuncia annullata, poiche’ egli conserva gli stessi poteri che gli competevano originariamente quale giudice di merito relativamente all’individuazione ed alla valutazione dei dati processuali, nell’ambito del capo della sentenza colpito da annullamento” (Cass., Sez. 2, n. 47060 del 25/09/2013 Rv. 257490); e che “Il giudice di rinvio e’ investito di pieni poteri di cognizione e puo’ – salvi i limiti nascenti da eventuale giudicato interno – rivisitare il fatto con pieno apprezzamento ed autonomia di giudizio ed in esito alla compiuta rivisitazione addivenire a soluzioni diverse da quelle del precedente giudice di merito o condividerne le conclusioni purche’ motivi il proprio convincimento sulla base di argomentazioni diverse da quelle ritenute illogiche o carenti in sede di legittimita’. Ne deriva che eventuali elementi di fatto e valutazioni contenute nella pronuncia di annullamento non sono vincolanti per il giudice del rinvio, ma rilevano esclusivamente come punti di riferimento al fine della individuazione del vizio o dei vizi segnalati e non, quindi, come dati che si impongono per la decisione demandatagli” (Cass., sez. 5, n. 34016 del 22/06/2010 Rv. 248413; Sez. 1, n. 1397 del 10/12/1997 Rv. 209692).

Essendosi limitata la Corte territoriale a compiere una nuova valutazione delle prove acquisite, pervenendo alla conferma del giudizio di responsabilita’ emesso dal Tribunale di Crotone in ordine ai reati di cui ai capi 1A), 79) e 79CZ) sulla base di argomentazioni diverse da quelle contenute nella sentenza impugnata (infatti la Corte di rinvio ha espunto dal complesso motivazionale, ritenendole inutilizzabili, le dichiarazioni rese dal teste (OMISSIS) e le parti del verbale di perquisizione e sequestro relative all’attivita’ di indagine finalizzata ad individuare l’utilizzatore del garage nel quale fu effettuata la perquisizione domiciliare), nessuna violazione dell’articolo 627 cod. proc. pen. e’ configurabile.

5.5.2. La Corte di rinvio ha posto a fondamento della confermata affermazione di responsabilita’ del (OMISSIS) in ordine ai delitti di cui capi 1A), 79) e 79CZ) le dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia (OMISSIS) e (OMISSIS).

Sul punto, va osservato che la chiamata in correita’ non costituisce di per se’ una prova indiziaria o presuntiva, tanto e’ vero che essa e’ stata autonomamente considerata dal legislatore nell’articolo 192 c.p.p., commi 3 e 4. Essa costituisce una prova indiziaria (cd. prova indiretta) quando verte su fatti secondari (indizi) dai quali possono trarsi argomenti per desumere l’esistenza o l’inesistenza dei fatti principali; ma da luogo ad una prova diretta vera e propria quando verte sui fatti principali, sui fatti cioe’ che costituiscono il contenuto dell’accusa mossa all’imputato. Tuttavia, anche in quest’ultimo caso, la chiamata di correo, pur se intrinsecamente attendibile, non puo’ costituire “prova piena” a carico dell’imputato, essendo a tal fine necessario – in ragione delle prescrizioni contenute nell’articolo 192 cod. proc. pen., commi 3 e 4 – che essa sia accompagnata da altri elementi di prova, di qualsiasi tipo o natura, che valgano a confermarne l’attendibilita’.

Questa Corte di legittimita’ ha precisato che la chiamata in correita’ o in reita’ – diretta o “de relato” che sia – da parte di persone imputate di reato connesso, esige che il giudice affronti e risolva tre profili di indagine: 1) in primo luogo, il problema della credibilita’ del dichiarante in relazione, tra l’altro, alla sua personalita’, alle sue condizioni socio-economiche, al suo passato e ai suoi rapporti con il chiamato in correita’, nonche’ alla genesi e alle ragioni che lo hanno indotto alla confessione e all’accusa dei coautori e complici; 2) in secondo luogo, la verifica dell’intrinseca consistenza e delle caratteristiche delle dichiarazioni rese, alla luce di criteri quali, tra gli altri, quelli della spontaneita’ ed autonomia, precisione, completezza della narrazione dei fatti, coerenza e costanza; 3) in terzo luogo, infine, la verifica della sussistenza di riscontri esterni, i quali, per essere realmente rafforzativi della chiamata, devono essere individualizzanti e, quindi, inequivocabilmente idonei ad istituire un collegamento diretto con i fatti per cui si procede e con il soggetto contro il quale si procede (da ultimo, Sez. 6, n. 16939 del 20/12/2011 – dep. 07/05/2012 – Rv. 252630).

In ordine alla consistenza dei riscontri, questa Corte ha poi fissato le seguenti regole metodologiche:

1) i riscontri, in quanto esterni, debbono essere indipendenti dalla chiamata, e cioe’ devono provenire da fonti estranee alla chiamata stessa, in modo da evitare il cosiddetto fenomeno della “circolante”, evitare cioe’ che sia la stessa chiamata a convalidare se’ stessa (Sez. 1, n. 1263 del 20/10/2006 – dep. 18/01/2007 – Rv. 235800).

2) non occorre che il riscontro esterno abbia lo spessore di una prova autosufficiente, perche’, in caso contrario, la chiamata non avrebbe alcun rilievo, in quanto la prova si fonderebbe su tale elemento esterno e non sulla chiamata in correita’ (Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014 Rv. 260607).

3) il riscontro puo’ essere costituito da qualsiasi elemento o dato probatorio, non predeterminato nella specie e qualita’, e quindi avente qualsiasi natura, sicche’ puo’ consistere in elementi di prova sia rappresentativa che logica e puo’ consistere anche in un’altra chiamata in correita’, a condizione che la stessa sia totalmente autonoma ed avulsa rispetto alla prima, tanto da escludere il sospetto di reciproche influenze (Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014 Rv. 260607). Sul punto, e’ stato precisato che le dichiarazioni accusatorie rese da due collaboranti possono anche riscontrarsi reciprocamente, a condizione che si proceda comunque alla loro valutazione unitamente agli altri elementi di prova che ne confermino l’attendibilita’, in maniera tale che sia verificata la concordanza sul nucleo essenziale del narrato, rimanendo quindi indifferenti eventuali divergenze o discrasie che investano soltanto elementi circostanziali del fatto, a meno che tali discordanze non siano sintomatiche di una insufficiente attendibilita’ dei chiamanti stessi (Sez. 1, n. 46954 del 04/11/2004 Rv. 230592).

4) ai fini del giudizio di condanna, i riscontri devono comunque avere valenza individualizzante, devono cioe’ riguardare non soltanto il fatto costituente reato, ma anche la riferibilita’ dello stesso alla posizione soggettiva dell’imputato (Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014 Rv. 260607).

Infine, va ricordato che, in tema di riscontri, nella giurisprudenza di questa Corte si fa riferimento alla nota locuzione della “convergenza del molteplice”; e quando i riscontri alle dichiarazioni rese da persone imputate di reato connesso sono costituiti da altre dichiarazioni accusatorie, e’ stato precisato che queste ulteriori dichiarazioni devono caratterizzarsi: a) per la loro convergenza in ordine al fatto materiale oggetto della narrazione; b) per la loro indipendenza – intesa come mancanza di pregresse intese fraudolente – da suggestioni o condizionamenti che potrebbero inficiare il valore della concordanza; c) per la loro specificita’, nel senso che la cd. convergenza del molteplice deve essere sufficientemente individualizzante e riguardare sia la persona dell’incolpato sia le imputazioni a lui ascritte, fermo restando che non puo’ pretendersi una completa sovrapponibilita’ degli elementi d’accusa forniti dai dichiaranti, ma deve privilegiarsi l’aspetto sostanziale della loro concordanza sul nucleo centrale e significativo della questione fattuale da decidere (Sez. 2, n. 13473 del 04/03/2008 Rv. 239744; Sez. 2, n. 3616 del 17/12/1999 – dep. 20/03/2000 – Rv. 215558).

Orbene, premesse tali regole metodologiche elaborate dalla giurisprudenza di questa Corte relativamente alla valutazione delle dichiarazioni rese da persone imputate in procedimento connessi, va rilevato che la Corte di rinvio ha fatto corretta applicazione di esse, dimodoche’ non sussistono i denunziati vizi della sentenza, i quali in realta’ – anche se presentati come violazioni di legge – attengono alla logicita’ della motivazione in facto, ossia alla logicita’ della giustificazione della ricostruzione del fatto posto a base della decisione.

Secondo le Sezioni Unite di questa Corte, “L’indagine di legittimita’ sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volonta’ del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilita’ di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si e’ avvalso per sostanziare il suo convincimento o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L’illogicita’ della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioe’ di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato di legittimita’ al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche’ siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento” (Cass., sez. un., n. 24 del 24.11.1999 Rv. 214794; Sez. un., n. 47289 del 24/09/2003 Rv. 226074).

Nel caso di specie, i giudici di merito hanno chiarito, con dovizia di argomenti, le ragioni della loro decisione (sottolineando, tra l’altro, come la stessa sia fondata sulle convergenti dichiarazioni di due collaboratori di giustizia, i quali entrambi hanno parlato del (OMISSIS) come di un appartenente al clan Megna, che si occupava principalmente di sostanze stupefacenti; come i collaboratori abbiano riconosciuto il (OMISSIS) fotograficamente; e come i punti di non coincidenza tra le due dichiarazioni siano secondari e non rilevanti, tali comunque da non inficiarne l’attendibilita’ e la sussistenza del riscontro); non si ritiene, peraltro – per ovvi motivi – di riportare qui integralmente tutte le suddette argomentazioni, sembrando sufficiente al Collegio far rilevare che le stesse non sono manifestamente illogiche; e che, anzi, l’estensore della sentenza ha esposto in modo ordinato e coerente le ragioni che giustificano la decisione adottata, la quale percio’ resiste alle censure del ricorrente sul punto.

Come peraltro questa Corte ha piu’ volte sottolineato, compito della Corte di cassazione non e’ quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, ne’ quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito (cfr. Cass, sez. 1, n. 7113 del 06/06/1997 Rv. 208241; Sez. 2, n. 3438 del 11/6/1998 Rv. 210938), dovendo invece la Corte di legittimita’ limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; cio’ che, come dianzi detto, nel caso di specie e’ dato riscontrare.

5.5.3. Non sussiste, peraltro, alcuna contraddizione logica tra l’assoluzione del (OMISSIS) dal reato di cui al capo 80) della rubrica e la condanna per gli altri reati. Infatti, poiche’ l’affermazione di responsabilita’ per il reato di cui al capo 80) nel giudizio di primo grado era stata fondata soltanto su prove poi – nel giudizio di rinvio – dichiarate inutilizzabili, l’assoluzione del (OMISSIS) da tale reato e’ stata conseguente a tale dichiarazione di inutilizzabilita’. Ma cio’ non implica logicamente anche l’assoluzione del (OMISSIS) dagli altri reati, in ordine ai quali i giudici di rinvio hanno tratto la prova della responsabilita’ dell’imputato da autonomi elementi prova (le convergenti dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia).

5.5.4. Infondata e’ anche la censura con la quale si lamenta l’affermazione di responsabilita’ del (OMISSIS) per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 contestato al capo 79CZ).

Se e’ vero infatti che la inutilizzabilita’ delle prove ritenuta dal giudice di rinvio ha reso non piu’ provata la condotta attribuita al (OMISSIS) di avere detenuto sostanza stupefacente nel magazzino in (OMISSIS) (ove la Squadra Mobile di Crotone effettuo’ la perquisizione e il sequestro), legittimamente tuttavia la Corte di rinvio ha ritenuto provate – sulla base delle convergenti dichiarazioni dei suddetti collaboratori di giustizia – la condotta di avere stoccato, occultato e ceduto a terzi, per conto della cosca mafiosa, ingenti quantitativi di marijuana, contestata in seno al medesimo capo di imputazione 79CZ). Esente da vizi e’ percio’ l’affermazione di responsabilita’ del (OMISSIS) anche per tale reato.

5.5.5. In definitiva, i ricorsi proposti nell’interesse di (OMISSIS) vanno rigettati perche’ infondati.

6. (OMISSIS) propone un unico motivo di ricorso, col quale deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge, nonche’ il vizio della motivazione della sentenza impugnata con riferimento al denegato riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati oggetto del presente procedimento (associazione di stampo mafioso denominata “cosca crotonese” di cui al capo 1; estorsione aggravata dal Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 in danno di (OMISSIS) di cui al capo 20; delitti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articoli 73 e 74 aggravati dal Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 di cui ai capi 79 e 79F) e quelli oggetto della sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Crotone il 12.6.1993, divenuta irrevocabile.

Deduce il ricorrente che la Corte di rinvio avrebbe violato il principio di diritto dettato dalla Sesta Sezione di questa Corte con la sentenza di annullamento sul punto, incorrendo in un travisamento delle prove, laddove ha escluso il riconoscimento della continuazione sul presupposto che le associazioni oggetto del precedente giudizio e quella di cui al presente avevano diversi componenti (ad eccezione del solo (OMISSIS)), diverso oggetto sociale (la piu’ antica dedicandosi alle estorsioni, la piu’ recente al traffico di sostanze stupefacenti), diverso territorio su cui operavano (la prima il territorio della sola citta’ di (OMISSIS) e dintorni, la seconda quello dell’intera provincia di Reggio Calabria). A dire del ricorrente, la Corte di merito sarebbe incorsa in un palese errore di lettura degli atti, non avendo colto come ben piu’ numerosi fossero i componenti comuni dei due consessi associativi, come coincidenti fossero le attivita’ criminose dei due gruppi e come parzialmente coincidente fosse il tempo in cui il (OMISSIS) aveva fatto parte delle due associazioni. La sentenza impugnata, percio’, sarebbe affetta sul punto da manifesta illogicita’ della motivazione in ordine alla esclusione del medesimo disegno criminoso tra i reati oggetto della prima condanna e quelli oggetto della presente e meriterebbe di essere cassata.

6.1. Premesso quanto detto supra – a par. 5.5.1. – a proposito della pretesa violazione dell’articolo 627 cod. proc. pen. e osservato che le doglianze mosse dal ricorrente si riducono – nella sostanza – alla denuncia della manifesta illogicita’ della motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell’invocato vincolo della continuazione tra i reati oggetto del presente procedimento e quelli oggetto di precedente condanna, va rilevata la inammissibilita’ delle censure per difetto di specificita’, con particolare riferimento alla violazione del principio di “autosufficienza del ricorso”.

Il principio della cd. “autosufficienza del ricorso” – elaborato, in primo luogo, dalle Sezioni civili di questa Corte con riferimento alla abrogata formulazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 e ormai da tempo recepito nella giurisprudenza penale – costituisce il corollario del requisito di specificita’ dei motivi di impugnazione, richiesto in via generale dall’articolo 581 c.p.p., lettera e) e richiamato – quanto alle censure per i vizi della motivazione che emergono da atti del processo diversi dal provvedimento impugnato – dall’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), disposizione – quest’ultima – che (nel testo novellato ad opera dalla Legge n. 46 del 2006) pone a carico del ricorrente un peculiare onere di inequivoca “individuazione” e di specifica “rappresentazione” degli atti processuali ritenuti rilevanti in relazione alla doglianza dedotta.

La logica sottesa al principio in esame e’ quella per cui il ricorso deve contenere in se’ tutti i dati fattuali necessari perche’ la Corte suprema possa decidere sulla censura con esso proposta; cio’ in quanto – al di fuori dei casi in cui, essendo denunciato un error in procedendo, la Corte di cassazione e’ anche giudice del fatto – al Supremo Collegio e’ fatto divieto di compiere indagini integrative e, quindi, di visionare ed esaminare gli atti processuali precedenti ed i documenti prodotti nella fase di merito. In altri termini, la struttura del giudizio di legittimita’, quale giudizio meramente cassatorio che si distingue – sul piano della estensione della cognizione del giudice – dai giudizi di merito, esige che la Corte suprema possa trarre tutti gli elementi utili alla decisione unicamente dagli atti della fase del giudizio che si svolge dinanzi a se’.

Percio’, il ricorrente che denunci, in sede di legittimita’, il difetto di motivazione in ordine alla valutazione di un documento o a risultanze probatorie o processuali ovvero su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio, ha l’onere, in virtu’ del predetto principio, di indicare specificamente il contenuto del documento trascurato o erroneamente interpretato dal giudice di merito o le circostanze oggetto della prova non ammessa, provvedendo alla loro trascrizione o allegazione al ricorso.

In definitiva, allorquando sia dedotto un vizio della motivazione, il giudice di legittimita’ deve essere posto dal ricorrente nelle condizioni di poter valutare la fondatezza del ricorso sulla base del contenuto nell’atto di impugnazione, alle cui lacune non e’ consentito sopperire con indagini integrative.

Devono, percio’, condividersi le pronunce di questa Corte che hanno affermato che, in forza del principio di autosufficienza, il ricorrente, che lamenti la mancanza o la contraddittorieta’ o la manifesta illogicita’ della motivazione della sentenza impugnata (anche sub specie di travisamento della prova) con riferimento ad atti processuali specificamente indicati, ha l’onere di provvedere alla trascrizione nel ricorso dell’integrale contenuto degli atti medesimi, nei limiti di quanto gia’ dedotto, perche’ di essi e’ precluso al giudice di legittimita’ l’esame diretto (Sez. 1, n. 6112 del 22/01/2009 Rv. 243225; Sez. 5, n. 11910 del 22/01/2010 Rv. 246552; Sez. 6, n. 29263 del 08/07/2010 Rv. 248192); che anche il ricorso per errore materiale o di fatto, in virtu’ del principio di autosufficienza (desumibile dall’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e)), deve, a pena di inammissibilita’, indicare specificamente l’elemento materiale od il fatto erroneo ed allegare gli atti processuali da cui risulti l’errore (fattispecie nella quale il ricorrente non aveva allegato al ricorso il verbale contenente le dichiarazioni che lamentava essere state erroneamente apprezzate dalla Corte di cassazione) (Sez. 2, n. 11806 del 20/12/2011 Rv. 252794); e che, percio’, e’ inammissibile il ricorso per cassazione che deduca il vizio di manifesta illogicita’ della motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga la loro integrale trascrizione o allegazione, cosi’ da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze (fattispecie nella quale il ricorrente, pur lamentando l’esistenza di due verbali relativi alla medesima udienza con indicazioni tra loro incompatibili, non ne aveva allegato copia) (Cass., Sez. 2, n. 26725 del 01/03/2013 Rv. 256723; cfr. anche Sez. 1, n. 25834 del 04/05/2012 Rv. 253017, in una fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto osservato il principio di autosufficienza del ricorso per il fatto che il ricorrente, denunciando il vizio di travisamento di una prova testimoniale, dopo aver indicato la citazione saliente della prova operata dai giudici di merito, aveva riportato, inserendola nel corpo del ricorso, la riproduzione xerografica dello stralcio della trascrizione della testimonianza medesima, in modo da consentire l’effettivo apprezzamento del vizio dedotto).

Devesi tuttavia precisare che, a giudizio del Collegio, perche’ sia osservato il principio di autosufficienza del ricorso, e’ necessario che l’atto richiamato sia riprodotto in seno al ricorso o allegato ad esso nella sua integralita’, non potendo essere consentito al ricorrente frazionare l’atto e sottoporre alla Corte solo le parti di esso che egli ritiene a se’ favorevoli o coerenti col vizio dedotto. Non e’ dubbio, infatti, che la lettura solo di una parte dell’atto potrebbe mutarne il significato complessivo, quale evincibile dalla lettura unitaria di esso; in tal caso, la Corte non sarebbe posta nelle condizioni di valutare la sussistenza del denunciato vizio di legittimita’ e della sua dedotta decisivita’ ai fini della decisione sul punto.

Deve ritenersi, allora, che il ricorrente che deduca il vizio della motivazione della sentenza impugnata, rispetto ad uno specifico documento o risultanza probatoria o comunque processuale, ha l’onere di riprodurre in seno al ricorso o allegare ad esso l’atto nella sua integralita’.

Possono enunciarsi, pertanto, i seguenti principi di diritto:

– “Allorche’ – con il ricorso per cassazione – sia denunziato un vizio della sentenza impugnata col quale si deduca la mancanza o la manifesta illogicita’ della motivazione, per asserita omessa od erronea valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali ovvero per mancata ammissione di mezzi di prova, al fine di consentire al giudice di legittimita’ il controllo sulla decisivita degli elementi di giudizio asseritamente non valutati od erroneamente valutati o non consentiti, e’ necessario – a pena di inammissibilita’ del ricorso – che il ricorrente indichi puntualmente ciascuno dei documenti o risultanze probatorie o processuali ovvero richieste istruttorie alle quali fa riferimento e ne specifichi il contenuto mediante la loro integrale trascrizione nel ricorso o l’allegazione integrale in copia allo stesso, indicando contestualmente le pagine e/o le righe dell’atto prodotto alle quali intende riferirsi; non essendo idonei allo scopo meri richiami ai documenti prodotti, alle deduzioni formulate o agli atti della precedente fase del giudizio, inammissibili nel giudizio di cassazione, laddove il giudice di legittimita’ dev’essere posto in grado di compiere il controllo demandatogli sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non gli e’ consentito di sopperire con indagini integrative”;

– “L’imputato che, col ricorso per cassazione, denuncia la manifesta illogicita’ della motivazione della sentenza impugnata per il mancato riconoscimento della continuazione in riferimento a reati gia’ in precedenza giudicati con sentenza divenuta irrevocabile, in forza del principio di autosufficienza del ricorso, ha l’onere – a pena di inammissibilita’ del ricorso stesso – di allegare ad esso copia integrale della sentenza a tal fine rilevante e di indicare contestualmente le pagine e/o le righe di tale sentenza alle quali intende riferirsi, onde consentire alla Corte il controllo della fondatezza del dedotto vizio di legittimita’”.

Nella specie, il ricorrente, non solo si limita a svolgere argomentazioni in punto di fatto che – tra l’altro – in questa sede sono inconferenti, ma opera richiami al contenuto della sentenza del Tribunale di Crotone il 12.6.1993, della quale allega solo le fotocopie delle prime quattro pagine (peraltro non autenticate), non ponendo cosi’ la Corte nella condizioni di valutare la fondatezza delle doglianze mosse, ove si consideri che, sulla base degli atti prodotti, non e’ possibile evincere ne’ per quali dei reati contestati il (OMISSIS) e’ stato ritenuto responsabile in seno a quella pronuncia, ne’ quale sia stata la ricostruzione complessiva dei fatti cui e’ pervenuto il Tribunale in seno alla detta sentenza, anche con riferimento agli altri coimputati richiamati nel ricorso, la cui posizione – in ragione delle deduzioni del ricorrente – rileva ai fini della verifica del denunciato vizio di illogicita’ della motivazione in ordine al diniego del vincolo della continuazione tra i reati.

Il ricorso e’, pertanto, non specifico ed inammissibile.

7. (OMISSIS) propone un unico motivo di ricorso. Deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’articolo 81 cod. pen. in cui sarebbe incorsa la Corte di rinvio nel calcolare la pena da irrogare all’imputata a seguito del riconoscimento della continuazione tra i reati oggetto del presente procedimento e quelli di cui alla sentenza emessa dal G.I.P. del Tribunale di Crotone il 29.5.2008, divenuta irrevocabile. In particolare, deduce che i reati oggetto delle due sentenze sarebbero di pari gravita’, per cui la Corte di merito avrebbe dovuto individuare la pena base, ai fini del calcolo della pena, in quella meno grave irrogata con la sentenza del 2008; che la Corte territoriale non avrebbe poi tenuto conto della diminuente per le gia’ concesse attenuanti generiche; che, infine, la riduzione di pena per il rito e’ stata operata solo in relazione alla porzione di pena inflitta nella sentenza emessa per prima.

Tutte le censure sono infondate.

Infondata e’ la censura con la quale si critica il giudizio della Corte di rinvio circa la maggiore gravita’ del delitto contestato nel presente procedimento al capo 64) rispetto al reato oggetto della sentenza emessa dal G.I.P. del Tribunale di Crotone. Invero, risulta immune da vizi logici e giuridici la valutazione della gravita’ compiuta dal giudice di merito che congruamente ha ritenuto piu’ grave il reato contestato nel presente processo rispetto a quello rispetto al quale ebbe a pronunciarsi il G.I.P. del Tribunale di Crotone, relativo alla detenzione di un’unica arma.

Infondata e’ poi la doglianza circa la mancata riduzione della pena per la concessione delle attenuanti generiche. Tale doglianza, che sarebbe inammissibile per genericita’ ove si volesse riferire alla concessione delle generiche nell’ambito del presente procedimento (nulla in proposito specifica la ricorrente), e’ infondata con riferimento alle attenuanti generiche concesse dal G.I.P. del Tribunale di Crotone, avendo la Corte territoriale tenuto conto di tali attenuanti ai fini della determinazione della pena.

Infine, risulta non fondata anche la censura con la quale si lamenta che la riduzione di pena per il rito abbreviato sia stata apportata solo in relazione alla pena irrogata per il reato oggetto del giudizio abbreviato e non pure per gli altri reati.

Questa Corte ha stabilito che, allorche’ sia riconosciuta la continuazione tra piu’ reati, alcuni dei quali oggetto di condanna all’esito di giudizio abbreviato, e altri di condanna all’esito di giudizio ordinario, la riduzione ex articolo 442 cod. proc. pen. va applicata, ove reati piu’ gravi risultino quelli giudicati col rito ordinario, sull’aumento di pena per i reati satellite giudicati con il rito abbreviato (Sez. 3, n. 9038 del 20/11/2012 – dep. 25/02/2013 – Rv. 254977; Sez. 1, n. 49981 del 19/11/2009 Rv. (245966).

Avendo la Corte territoriale fatto esatta applicazione di tale principio di diritto, la censura sul punto risulta infondata.

8. (OMISSIS) propone un unico motivo di ricorso. Deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’articolo 81 cod. pen., nonche’ il vizio della motivazione della sentenza impugnata con riferimento al mancato riconoscimento della continuazione tra i reati oggetto del presente procedimento e quelli di cui alle sentenze del Tribunale di Crotone del 14.3.1994 e del Tribunale di Rimini del 27.6.2008, entrambe divenute irrevocabili. Deduce, in particolare, come l’esclusione della continuazione con riferimento al reato di cui alla citata sentenza del Tribunale di Crotone (detenzione e spaccio di sostanza stupefacente) sarebbe fondata solo sul dato temporale, insufficiente – a giudizio del ricorrente – per escludere l’identita’ del disegno criminoso; mentre l’esclusione della continuazione con riferimento ai reati di cui alla citata sentenza del Tribunale di Rimini sarebbe frutto di un travisamento delle prove, in quanto numerosi sarebbero gli associati del clan Vrenna che farebbero parte – col (OMISSIS) – anche della cosca emiliana (oltre al (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) ed eguali sarebbero le finalita’ delle due associazioni, le quali in realta’ sarebbero federate e in collegamento tra loro.

La censura e’ inammissibile per violazione del principio di “autosufficienza del ricorso”, alla stregua dei principi di diritto di cui supra al par. 6.1.

Invero, a parte le argomentazioni in fatto svolte col ricorso, in quanto tali inammissibili in sede di legittimita’, va rilevato come il ricorrente operi richiami al contenuto di precedenti pronunce divenute irrevocabili che omette di allegare al ricorso, non ponendo cosi’ la Corte nella condizioni di valutare la fondatezza delle doglianze mosse, con particolare riferimento ai reati per i quali l’imputato e’ stato ritenuto responsabile in seno a quelle pronunce nonche’ alle ricostruzioni dei fatti cui sono pervenuti i giudici di merito in quelle sentenze, anche con riferimento agli altri coimputati richiamati nel ricorso, la cui posizione – in ragione delle deduzioni del ricorrente – rileva ai fini della verifica del denunciato vizio di illogicita’ della motivazione.

9. (OMISSIS) propone due motivi di ricorso.

9.1. Col primo motivo di ricorso, deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge, nonche’ il vizio della motivazione della sentenza impugnata con riferimento al mancato riconoscimento della continuazione tra i reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 oggetto del presente procedimento (contestati ai capi 79 e 79BM) e quelli di cui agli articoli 73 e 74 stesso Decreto del Presidente della Repubblica e articolo 416 bis cod. pen. di cui alla sentenza di condanna emessa dal G.U.P. del Tribunale di Catanzaro il 2.3.2005, divenuta irrevocabile. Deduce, in particolare, la illogicita’ del ragionamento della Corte di rinvio, che, da un lato, ha riconosciuto che i fatti contestati al (OMISSIS) si collocano temporalmente nel periodo di attivita’ dell’associazione ex articolo 74 della quale lo stesso e’ stato riconosciuto colpevole in forza della sentenza passata in giudicato e, dall’altro, ha negato che tali fatti siano stati posti in essere nell’ambito del disegno criminoso di tale consesso associativo. Irrilevante sarebbe per il ricorrente la circostanza che l’episodio contestato al (OMISSIS) nel presente processo sarebbe avvenuto su commissione di soggetti estranei all’associazione ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) che si trovavano a (OMISSIS), in quanto essendo stata riconosciuta per tale episodio la sussistenza dell’aggravante di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 sarebbe stato anche implicitamente riconosciuto che i fatti contestati erano stati commessi per agevolare la cosca mafiosa Vrenna-Corigliano-Bonaventura, ossia la medesima per la quale il (OMISSIS) riporto’ condanna con la sentenza dianzi citata.

Anche questa censura e’ inammissibile per violazione del principio di “autosufficienza del ricorso”, alla stregua dei principi di diritto di cui supra al par. 6.1.

Invero, il ricorrente richiama il contenuto di una precedente sentenza divenuta irrevocabile, pronunciata nei suoi confronti, che omette di allegare al ricorso, non ponendo cosi’ la Corte nella condizioni di valutare la fondatezza delle doglianze mosse, con particolare riferimento ai reati per i quali l’imputato e’ stato ritenuto responsabile in seno a quella pronuncia nonche’ alla ricostruzione dei fatti ivi contenuta, anche con riferimento agli altri coimputati richiamati nel ricorso, la cui posizione – in ragione delle deduzioni del ricorrente – rileva ai fini della verifica del denunciato vizio di illogicita’ della motivazione.

9.2. Col secondo motivo di ricorso, deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge con riferimento alla ritenuta determinazione della pena, avendo la Corte di rinvio confermato la pena irrogata dal giudice di primo grado, nonostante lo ius superveniens costituito dalla declaratoria di illegittimita’ costituzionale della normativa sugli stupefacenti di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, che ha comportato la reviviscenza del testo del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 nella formulazione anteriore alle modifiche di cui al Decreto Legge 30 dicembre 2005, n. 272, con la reintroduzione – per le droghe cd. “leggere” – di un trattamento sanzionatorio piu’ favorevole per il reo. Deduce, in particolare, che la Corte di rinvio avrebbe dovuto fare applicazione della diversa normativa ora vigente con riferimento alle droghe cd. leggere e determinare la pena nella minore misura ora prevista.

Questa censura e’ fondata.

Va ricordato che, con sentenza 32 del 2014, la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimi – per contrasto con l’articolo 77 Cost., comma 2, – il Decreto Legge 30 dicembre 2005, n. 272, articoli 4-bis e 4-vicies ter (convertito, con modificazioni, dalla Legge 21 febbraio 2006, n. 49, articolo 1, comma 1), i quali unificano il trattamento sanzionatorio, in precedenza differenziato, previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 per i reati aventi ad oggetto le cd. “droghe leggere” e per quelli concernenti le cd. “droghe pesanti”. Ha ritenuto, infatti, il giudice delle leggi che le norme impugnate, introdotte in sede di conversione, violano l’indicato parametro costituzionale per difetto di omogeneita’ e, quindi, di nesso funzionale con le disposizioni del decreto-legge, cosi’ discostandosi dai principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale sui limiti di emendabilita’ del provvedimento d’urgenza da parte della legge di conversione.

A seguito della declaratoria di illegittimita’ costituzionale delle dette norme, tornano a ricevere applicazione – come riconosciuto dalla stessa Corte costituzionale – l’articolo 73 del medesimo Decreto del Presidente della Repubblica e le relative tabelle, in quanto mai validamente abrogati, nella formulazione precedente alle modifiche apportate con le disposizioni impugnate.

In ordine alla conseguenza della detta declaratoria di incostituzionalita’ sui procedimenti in corso, questa Corte ha affermato il principio – condiviso dal Collegio – secondo cui “In tema di stupefacenti, la reviviscenza del Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73 nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal Decreto Legge 30 dicembre 2005, n. 272, convertito con modificazioni dalla Legge 21 febbraio 2006, n. 49, successivamente dichiarate incostituzionali dalla sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, comporta la reintroduzione per le droghe cosiddette “leggere” di un trattamento sanzionatorio piu’ favorevole per il reo, di talche’ va annullata la sentenza di condanna che abbia infinto una pena utilizzando quale riferimento il minimo edittale previsto dalla disciplina incostituzionale, corrispondente all’attuale massimo edittale, con rinvio al giudice di merito per la rideterminazione del nuovo trattamento sanzionatorio” (Sez. 6, n. 39924 del 23/09/2014 Rv. 260711).

Nella specie, (OMISSIS) e’ stato condannato, in seno al presente procedimento, per i reati contestati ai capi 79) e 79BM) della rubrica, relativi alla illecita detenzione di sostanze stupefacenti del tipo hashish.

La pena, determinata in relazione a tale sostanza costituente droga cd. “leggera”, risulta ora illegale, in quanto e’ stata determinata dai giudici di merito avendo riguardo alla maggiore pena edittale introdotta dal Decreto Legge n. 272 del 2005, ora non piu’ vigente per la reviviscenza – a seguito della richiamata pronuncia di illegittimita’ costituzionale – della precedente piu’ favorevole pena edittale.

Non rimane, pertanto, che annullare la sentenza impugnata sul punto, con rinvio al giudice di merito per la rideterminazione della pena, nei confronti di (OMISSIS), alla luce del sopravvenuto piu’ favorevole trattamento sanzionatorio.

10. In definitiva, la sentenza impugnata va annullata nei confronti di (OMISSIS), limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Catanzaro per nuovo giudizio sul punto; con rigetto nel resto del ricorso del medesimo.

Vanno invece rigettati i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS), con conseguente condanna degli stessi al pagamento delle spese processuali.

Vanno, infine, dichiarati inammissibili i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS), con conseguente condanna degli stessi al pagamento delle spese processuali nonche’ ciascuno – considerati i profili di colpa – al versamento della sanzione pecuniaria determinata equitativamente come in dispositivo.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Catanzaro per nuovo giudizio sul punto. Rigetta nel resto il ricorso di (OMISSIS). Rigetta i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibili i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di euro mille alla cassa delle ammende

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