Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 5 marzo 2015, n. 4508
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente
Dott. MATERA Lina – Consigliere
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere
Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 15177/2009 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
CONDOMINIO di (OMISSIS) c.f. (OMISSIS) in persona dell’Amministratore pro tempore, CONDOMINIO di VIA (OMISSIS) c.f. (OMISSIS) in persona dell’Amministratore pro tempore, elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 2008/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 14/05/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/12/2014 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;
udito l’Avvocato (OMISSIS), difensore dei resistenti, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Secondo l’attrice le delibere impugnate determinavano una grave lesione del proprio diritto di proprieta’ delimitata dalla limitazione all’esercizio del diritto e in quanto approvate in carenza del quorum deliberativo previsto dall’articolo 1136 c.c..
Si costituiva in giudizio il condominio di via (OMISSIS) deducendo l’incompetenza ratione materia del Tribunale, l’infondatezza della domanda attrice per inesistenza della lesione de qua e dell’asserita validita’ del quorum deliberativo.
Il Tribunale ordinava l’integrazione del contraddittorio nei confronti del Condominio di via (OMISSIS) il quale partecipava insieme al condominio di (OMISSIS) all’area verde interessata dalla recinzione in questione.
Espletata l’istruttoria il Tribunale di Roma con sentenza n. 48339/2002 accoglieva la domanda della (OMISSIS) e dichiarava nulle le delibere approvate dall’assemblea del complesso condominiale convenuto per la parte in cui hanno approvato la realizzazione della recinzione metallica dell’area condominale perche’ la recisione metallica del complesso condominiale comportava una ridotta visibilita’ della via pubblica dell’esercizio commerciale di parte attrice, condannava i convenuti in solido al pagamento delle spese giudiziali.
Avverso questa sentenza, interponeva appello il Condominio di via (OMISSIS) e il Condominio di via (OMISSIS), eccependo l’incompetenza del Tribunale di Roma e, chiedendo che venissero rimessi davanti al Giudice di Pace di Roma e nel merito chiedevano che venisse riformata la sentenza aimopugnat5a e venisse rigettata la domanda della (OMISSIS).
La Corte di appello di Roma con sentenza n. 2008 del 2008 accoglieva l’appello e per l’effetto riformava la sentenza impugnata e rigettava la domanda proposta da (OMISSIS). Secondo la Corte distrettuale, considerato che il locale commerciale della (OMISSIS) era dotato di tre porte di accesso, una delle quali si affacciava sulla via pubblica, mentre le altre due su uno spazio condominiale destinato a parcheggio, non appariva che la proprieta’ della stessa subisse delle limitazioni in conseguenza della recinzione delle zone condominiale. D’altra parte, a fronte del diritto del condominio di chiudere il fondo comune e di recintarlo fino ad altezza non comportante l’osservanza di distanze, le cc.dd. limitazioni lamentate dalla (OMISSIS) fossero giuridicamente.
La cassazione di questa sentenza e’ stata chiesta da (OMISSIS) con ricorso affidato a tre motivi. Il Condominio di (OMISSIS) e il Condominio di via (OMISSIS) hanno resistito con controricorso.
a) Con il primo motivo del ricorso, la violazione di legge e falsa applicazione dell’articolo 1120 c.c.. Avrebbe errato la corte distrettuale, secondo la ricorrente, nell’aver ritenuto che le delibere di cui si dice fossero valide perche’ i lavori deliberati costituivano una funzione di completamento e di protezione dell’edificio perche’, come era stato riconosciuto dal Tribunale la realizzazione delle opere de quibus incidevano sul diritto assoluto della sig.ra (OMISSIS) di godere in modo pieno del bene di sua proprieta’ esclusiva al punto di indi cedere sulla sua destinazione d’uso.
Pertanto conclude la ricorrente, dica la Corte di Cassazione se ai sensi dell’articolo 1120 c.c., comma 2, e’ possibile approvare con la maggioranza semplice una delibera condominiale che incida, limitandone l’uso sulla proprieta’ esclusiva di un condomino.
b) Con il secondo motivo, la violazione di legge e falsa applicazione dell’articolo 1136 c.c., comma 5, in relazione all’articolo 1120 c.c., comma 1.
– Secondo la ricorrente, la Corte distrettuale erroneamente avrebbe ritenute che – le opere di cui dice integrassero gli estremi di un’opera di ordinaria amministrazione e che nel caso concreto il quorum deliberativa era quello di cui all’articolo 1136 c.c.. Piuttosto, considerato che, come afferma pure questa Corte, ricorre un’innovazione qualora vi siano particolari modificazioni che rendono per cosi’ dire nuova la cosa, con trasformazioni, alterazioni, cambiamenti dell’originaria funzione e destinazione ovvero un’alterazione della sua entita’ sostanziale, le opere di cui si dice integrerebbero gli estremi di un’innovazione, perche’ inciderebbero sull’entita’ sostanziale del bene comune, comportando un pregiudizio per la proprieta’ della (OMISSIS). In questo senso, le delibere di cui si dice sarebbe annullabili perche’, prevedendo un’innovazione, avrebbero dovuto essere approvate con la maggioranza dei 2/3 del valore dell’edificio e non con la maggioranza semplice.
Pertanto, conclude la ricorrente, dica la Corte di Cassazione se, ai sensi dell’articolo 1120 c.c., comma 1, con riferimento all’articolo 1136 c.c., comma 5, e’ possibile approvare con la maggioranza semplice una delibera condominiale che disponga un’innovazione.
1.1.- La Corte rileva l’infondatezza di dette censure che, per evidenti ragioni di ordine logico e per economia di trattazione e di motivazione, possono essere esaminate congiuntamente per la loro stretta connessione ed interdipendenza riguardando tutte – o direttamente o indirettamente per gli effetti riflessi e conseguenti – la questione (sia pure sotto profili diversi) di accertare se, nell’ipotesi le recinzione dell’area condominiale fosse legittima e correttamente deliberata dall’assemblea condominiale, a maggioranza semplice.
E’ affermazione pacifica, in dottrina e nella giurisprudenza, anche di questa Corte, che la recinzione della zona verde comune per evitare un indiscriminato calpestio dell’area, deliberata dall’assemblea dei condomini a difesa della proprieta’ condominiale, non e’ suscettibile di inquadramento in un’ipotesi di innovazione diretta al miglioramento o all’uso piu’ comodo o al maggior rendimento della cosa comune e tanto meno puo’ essere assimilata ad una innovazione idonea ad arrecare pregiudizio alla cosa stessa, bensi’ configura un semplice mutamento della sistemazione od utilizzazione della cosa comune, rientrante negli atti di ordinaria amministrazione devoluti all’amministratore. E, al contrario, integrano gli estremi di innovazioni vietate, se non approvate nei modi di legge dai condomini, quelle opere che alterano sostanzialmente la destinazione e/o la funzionalita’ della cosa comune, tale da turbare l’equilibrio tra i concorrenti interessi dei partecipanti.
Ora, la Corte distrettuale ha osservato, correttamente, questi principi: ha escluso non solo che la recensione, di cui si dice, avesse alterato, di fatto, la destinazione o la funzionalita’ del bene comune ma, ha, anche, escluso che la proprieta’ esclusiva della (OMISSIS), non dotata di alcuna specifica servitu’ sugli spazi comuni, avesse subito limitazioni, giuridicamente rilevanti, cioe’, limitazioni opponibili al Condominio tali da escludere il diritto di questi, ai sensi dell’articolo 841 c.c., di recintare il bene comune, cioe’ lo spazio di verde condominiale. Come ha avuto modo di chiarire la Corte distrettuale (…) ed invero, come si desume agevolmente dalle fotografie in atti, senza necessita’ di particolari accertamenti tecnici, il locale della (OMISSIS) e’ dotato di tre porte di accesso una delle quali si affaccia sulla pubblica via mentre gli altri due (rectius le altre due) si affacciano su uno spazio condominiale destinato a parcheggio (………) e, considerata la posizione delle porte di accesso, la recinzione metallica di cui si dice non determinava limitazioni giuridicamente rilevanti all’uso o al godimento del bene esclusivo della (OMISSIS).
A fronte delle valutazioni della Corte distrettuale, la ricorrente contrappone le proprie, ma della maggiore o minore attendibilita’ di queste rispetto a quelle compiute dal giudice del merito non e’ certo consentito discutere in questa sede di legittimita’, ne’ puo’ la ricorrente pretendere il riesame del merito sol perche’ la valutazione delle accertate circostanze di fatto, come operata dal giudice di secondo grado, non collima con le sue aspettative e confutazioni.
1.1. a) A sua volta, posto che la realizzazione della recinzione metallica non ha mutato l’originaria destinazione del cortile condominiale ne’ ha alterato l’entita’ sostanziale dello stesso, quell’opera integrava gli estremi di una mera modificazione delle cosa comune, ovvero, di un semplice mutamento della sistemazione od utilizzazione della cosa comune, rientrante negli atti di ordinaria amministrazione devoluti all’amministratore. Con la conseguenza che, come correttamente ha chiarito la Corte di Roma, l’adozione delle delibere in questione non necessitavano della maggioranza di cui all’articolo 1136 c.c., comma 5, cioe’, di una maggioranza qualificata, ma di una maggioranza semplice.
3.- Con il terzo motivo la ricorrente lamenta l’omessa e/o insufficiente e contraddittoria motivazione ex articolo 360 c.p.c., n. 5, mancata e/o erronea valutazione di decisive risultanze istruttorie.
Secondo la ricorrente la Corte di appello di Roma avrebbe reso una motivazione contraddittoria per quanto da una parte negherebbe la sussistenza di una limitazione alla proprieta’ giuridicamente rilevante e dall’altra compenserebbe le spese del doppio grado, affermando che i lavori avrebbero comportato un fatto di non scarso rilievo aziendale.
3.1.- La censura non ha ragion d’essere ed essenzialmente perche’ la contraddizione della motivazione che e’ stata denunciata e’ il frutto di una lettura superficiale della sentenza. La Corte territoriale, pur ritenendo infondato il diritto che l’attuale ricorrente pretendeva fosse riconosciuto, riteneva egualmente di compensare le spese giudiziali perche’, comunque, rilevante e di significato era l’interesse che aveva determinato la (OMISSIS) ad agire. La Corte, in realta’ ha correttamente distinto l’esistenza e la fondatezza di un diritto dall’interesse di fatto sottostante la domanda giudiziale.
In definitiva, il ricorso va rigettato e la ricorrente condannata, in ragione del principio della soccombenza di cui all’articolo 91 c.p.c., al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che verranno liquidate con il dispositivo.
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