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Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 5 giugno, n. 12672

Svolgimento del processo

Con decisione in data 12 gennaio 2012, la Commissione amministrativa regionale di disciplina della Toscana, su richiesta del Presidente del Consiglio notarile di Arezzo, ha comminato al notaio M.F. la sanzione disciplinare della sospensione della durata di nove mesi per violazione prevista dall’art. 147 comma 1 lett. A) e lett. B) della legge n. 89 del 1913 per avere in modo non occasionale provveduto con grave ritardo all’esecuzione delle formalità di trascrizione, anche ben oltre il termine di trenta giorni previsto ai fini fiscali, e di iscrizione di un rilevantissimo numero di atti da lui ricevuti e ciò anche nel periodo immediatamente successivo alla scadenza del sofferto periodo di sospensione cautelare irrogato con provvedimento della Co.Re.Di. Toscana in data 18.10.2010, nonché per avere violato in modo non occasionale l’art. 14 del vigente codice deontologico mediante irregolare documentazione della prestazione e violazioni di carattere fiscale in genere.
La Corte d’appello di Firenze, con decisione depositata l’11 gennaio 2013, in parziale accoglimento del reclamo, e, per l’effetto, in parziale riforma della decisione impugnata, ha ridotto la durata della sospensione inflitta a cinque mesi.
La Corte territoriale, premesso che i fatti erano sostanzialmente ammessi, affermava appropriata la scelta di infliggere la sanzione intermedia (fra la censura e la destituzione), avuto riguardo al numero delle infrazioni contestate ed al fatto che le condotte de quibus seguivano fatti già reiteratamente sanzionati in sede disciplinare, per cui pur non essendo gli illeciti fondati sulla volontà di venire meno ai propri doveri professionali, emergeva comunque la verosimile incapacità di cambiare il modus operandi ed in tale contesto la scelta della più lieve sanzione della censura non sarebbe stato conforme alla gradualità delle sanzioni prevista dall’art. 147 L.N..
Quanto alla richiesta di riduzione della sanzione, non potevano nella specie trovare applicazione le circostanze attenuanti, essendo impeditivi i precedenti specifici, né l’attivazione per eliminare le conseguenze dannose, non costituendo l’adempimento tardivo degli adempimenti che facevano carico al professionista dimostrazione di un ravvedimento operoso, ritardo nell’adempimento che rappresentava proprio una delle modalità delle violazioni contestate, per cui occorreva una condotta ulteriore rispetto a quella dovuta per manifestare la volontà di eliminare tutte le conseguenze dannose, anche con sacrificio patrimoniale personale, non ricorrente nella specie.
Concludeva che la condotta del notaio Dott. M. , pur disciplinarmente rilevante nei termini sopra esposti, presentava connotati di anomali, se non altro per la reiterazione e natura dei fatti, che apparivano verosimilmente riconducibili più che a voluta mancanza di diligenza, a difficoltà di natura personale di adattarsi, con appropriata organizzazione dello studio, alla complessità degli adempimenti propri della professione e ciò pur non giustificando la concessione dei benefici di cui all’art. 144 L.N., consigliava però una riduzione del periodo di sospensione, in adesione alla domanda in tal senso avanzata dal ricorrente, in estremo subordine.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello il notaio M. ha proposto ricorso, con atto notificato il 9/10 maggio 2013, sulla base di un unico motivo.
Ha resistito, con controricorso, il Consiglio notarile distrettuale di Arezzo.

Motivi della decisione

Va preliminarmente esaminata la questione della ammissibilità del ricorso per averne il controricorrente dedotto la tardività ai sensi degli artt. 26 D.Lgs.vo n. 150 del 2011 e 325 c.p.c..
Il controricorrente basa la sua eccezione di inammissibilità del ricorso sul principio enunciato dalla sentenza n. 4903 del 2002 di questa Corte, resa a sezioni unite, che risolvendo un contrasto giurisprudenziale, ha affermato il principio secondo cui in tema di procedimento disciplinare a carico di notai, a norma della legge 16 febbraio 1913 n. 89, artt. 155 e 156, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello deve essere proposto, a pena di inammissibilità, mediante notifica all’altra parte e deposito dell’originale con la prova della rituale notifica, unitamente agli atti elencati nell’art. 369 c.p.c., presso la cancelleria della Corte di Cassazione entro trenta giorni dalla notifica della sentenza medesima.
Rileva il collegio che non può essere mantenuta detta interpretazione – che trovava fondamento nella originaria formulazione inequivoca dell’art. 156, comma 1, in combinato disposto con l’art. 155, comma 2, legge notarile (art.156, secondo comma: “il ricorso deve essere fatto nei modi e termini prescritti dall’articolo precedente”, il quale – art. 155, secondo comma – affermava “è proposto entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza, con ricorso alla Corte, depositato nella cancelleria, e notificato all’altra parte”; l’art. 156 continuava disponendo che le regole dettate per l’appello dell’art. 155 si osservano anche “quanto al procedimento” del giudizio di cassazione) – in quanto nella fattispecie trova applicazione “ratione temporis” l’art. 158 ter, comma 2, della legge n. 89 del 1913, come introdotto dal D.Lgs. n. 249 del 2006, art. 46, il quale prevede che, in difetto della notificazione della sentenza impugnata, il ricorso per cassazione deve essere proposto nel termine di un anno dal deposito della predetta sentenza (ovvero in quello di sessanta giorni decorrenti dalla notificazione della decisione), senza fissare alcun termine sul deposito. Nel silenzio del legislatore, è da ritenere che per detto adempimento occorra fare riferimento alla ordinaria disciplina codicistica (art. 369 c.p.c).
La riprova della correttezza di siffatta impostazione ermeneutica si desume dal fatto che – contemplando pacificamente la normativa in questione la specialità della regolamentazione processuale in materia di procedimenti disciplinari notarili – il legislatore, anche successivamente, con il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 26, comma 5 (ed applicabile ai sensi dell’ari 36 dello stesso D.Lgs. ai procedimenti instaurati successivamente alla data della sua entrata in vigore, ossia il 6.10.2011), che ha abrogato tale disposizione, nulla ha cambiato sul punto, riferendo genericamente di proponibilità del ricorso cassazione, senza alcuna specificazione quanto al termine per il deposito del ricorso ed anzi allineando i termini per la sua proposizione anche in materia disciplinare notarile a quelli ordinari (fissando quello breve in sessanta giorni dalla notifica della sentenza e quello c.d. lungo in sei mesi dalla pubblicazione della sentenza medesima).
Il ricorso deve essere, pertanto, ritenuto ammissibile.
Passando all’esame del ricorso, con unico motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 144 L.N. per avere egli richiesto in sede di reclamo che, ritenute applicabili le circostanze attenuanti di cui all’art. 144 comma 1 L.N., la sanzione della sospensione irrogata dalla Co.Re.Di. Toscana venisse convenuta con la sanzione pecuniaria nella misura di cui all’art. 138 bis comma 1 L.N., a cui la corte di merito non avrebbe adeguatamente dato risposta. In particolare, non avrebbe tenuto conto – al riguardo – del recente intervento normativo, di cui all’art. 26 D.L.svo 1.8.2006 n. 249, che nel sancire la obbligatorietà delle diminuzione di pena in presenza di circostanze attenuanti, ha introdotto l’attenuante specifica costituita dall’essersi adoperato per eliminare le conseguenze dannose della violazione ed aver riparato integralmente il danno prodotto. Assume il ricorrente che l’essersi adoperato per eliminare le conseguenze dannose della violazione ovvero l’avere riparato interamente il danno prodotto costituirebbero circostanze di natura oggettiva, non collegate necessariamente alla resipiscenza del reo, come invece ritenuto dalla corte distrettuale. Del resto il notaio aveva sempre posto in essere un comportamento ulteriore versando e/o integrando le imposte liquidate in misura errata o insufficiente subito dopo la richiesta da parte degli uffici competenti e corrispondendo le dovute sanzioni anche con sacrificio patrimoniale personale; aveva provveduto prontamente a rinnovare i pagamenti respinti dalla banca prima della scadenza del termine assegnato dall’Amministrazione; aveva provveduto ad effettuare tutte le formalità senza danno per i terzi sostenendo personalmente i costi delle relative sanzioni; aveva prontamente integrato l’imposta di bollo corrisposta in misura insufficiente, prontamente aderendo ai rilievi dell’Agenzia delle Entrate.
Osserva il Collegio che l’art. 144, comma 1, della legge notarile (n. 89 del 1913) prevede che se nel fatto addebitato al notaio ricorrono circostanze attenuanti ovvero quando il notaio, dopo aver commesso l’infrazione, si è adoperato per eliminare le conseguenze dannose della violazione o ha riparato interamente il danno prodotto, la sanzione pecuniaria è diminuita di un sesto e sostituisce l’avvertimento alla censura, la sanzione pecuniaria, applicata nella misura prevista dall’articolo 138-bis, comma 1, alla sospensione e la sospensione alla destituzione.
In un precedente (Cass. n. 14238 del 1999) questa Corte ha avuto modo di affermare che l’annotazione tardiva di atti che il notaio abbia ricevuto anteriormente alla numerazione e vidimazione del repertorio, determina (soltanto) la cessazione della condotta vietata e costituisce comportamento suscettivo di valutazione per la concessione delle attenuanti, ai sensi dell’art. 144 della legge notarile. Dal che si ricava che la doverosità dell’atto ritardato non è ragione per escludere che il successivo compimento di esso, siccome ad ogni modo dovuto, rilevi in funzione attenuante.
Tale conclusione (in realtà solo accennata nella sentenza anzidetta, ma confermata e fatta propria da Cass. n. 3203 del 2014) deve condividersi e confermarsi.
Mentre la seconda delle due attenuanti specifiche, previste dalla norma appena citata, presuppone la commissione di un illecito che abbia cagionato un danno di natura patrimoniale (come si desume dal sintagma avverbiale “riparato interamente”), la prima (l’essersi il notaio adoperato per eliminare le conseguenze dannose della violazione) è da ritenersi tendenzialmente applicabile ad ogni tipo di illecito disciplinare che non abbia prodotto in concreto un danno patrimoniale, e segnatamente agli illeciti di tipo permanente, soltanto rispetto ai quali si può configurare una condotta di “eliminazione” e non già di riparazione. Se ne trae conferma dal fatto che, altrimenti, si rileverebbero all’interno della medesima norma due prescrizioni contraddittorie. Parificate dalla qualificazione patrimoniale del danno, per integrare la prima attenuante basterebbe “adoperarsi per”, mentre per la seconda sarebbe necessario “riparare interamente” il pregiudizio; con la conseguenza che quest’ultima previsione sarebbe posta invano, producendosi il medesimo effetto normativo con una condotta di minor spessore.
La conferma che l’attenuante relativa all’eliminazione delle conseguenze dannose dell’illecito si riferisce ai pregiudizi di natura non patrimoniale, si trae — indirettamente — dalla prevalente dottrina penalistica e dalla giurisprudenza penale di questa Corte sull’omologa attenuante prevista dall’art. 62, n. 6 c.p., secondo cui l’elisione o l’attenuazione delle conseguenze del reato si riferiscono al danno in senso penalistico, inerente alla lesione del bene giuridico tutelato, e non riguarda, quindi, i reati contro il patrimonio o che comunque offendano il patrimonio (cfr. Cass. penale n. 5996 del 1989).
Se dunque le conseguenze dannose di cui all’art. 144, comma 1, legge notarile sono quelle non patrimoniali e si riferiscono all’oggetto giuridico dell’illecito, va da sé che la loro eliminazione si realizza mediante ogni condotta idonea a rimediare alla lesione del bene protetto dall’ordinamento notarile, non essendo di ostacolo l’eventuale carattere omissivo di questa (ed anzi tenendo in conto il fatto che la gran parte degli illeciti disciplinari previsti dalla legge notarile ha, appunto, natura omissiva).
Negli illeciti commissivi la rimozione delle conseguenze dannose consiste nel compimento di un’attività uguale e contraria a quella integrante la violazione, sicché essa non può esaurirsi nella condotta doverosa mancata, ma richiede un comportamento diverso e ulteriore, volto a modificare la situazione di fatto e di diritto prodottasi in contrasto con quella che, rispettando la prescrizione deontologica e professionale, si sarebbe verificata.
La prospettiva è, invece, diversa nel caso delle violazioni di tipo omissivo proprio, come quelle in oggetto, che in quanto tali non cagionano un evento in senso naturalistico. In tal caso le conseguenze dannose o pericolose patrimoniali, dipendenti dal vulnus arrecato al bene protetto dalla norma, possono essere eliminate solo attraverso il compimento della condotta omessa. La doverosità di questa non è, pertanto, argomento valido ad escludere l’attenuante in parola, poiché non vi può essere altro comportamento resipiscente idoneo a porre rimedio alla violazione. Per le considerazioni svolte, in accoglimento del ricorso l’ordinanza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze, che nel valutare la sanzione applicabile si atterrà ai principi anzi detti, e provvederà, altresì, a regolare le spese del presente giudizio di cassazione, ai sensi dell’art. 385, comma 3, c.p.c..

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso, cassa ordinanza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Firenze, che provvederà anche sulle spese del giudizio di Cassazione.

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