Suprema Corte di Cassazione
sezione II
Sentenza 5 dicembre 2013, n. 27302
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente
Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere
Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere
Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 2664/08) proposto da:
(OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)), (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)), nella qualita’ di eredi di (OMISSIS) e la prima anche in proprio, rappresentate e difese, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS) ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo, in (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)); (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)); (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)); (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)); (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)); (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)) e (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)), tutti rappresentati e difesi, in forza di procura speciale in calce al controricorso, dagli Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS) ed elettivamente domiciliati presso lo studio del secondo, in (OMISSIS);
– controricorrenti –
e
(OMISSIS); (OMISSIS), nonche’ gli eredi di (OMISSIS), nelle persone dei sigg. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (come da atto di integrazione del contraddittorio successivamente notificato dai ricorrenti);
– intimati –
Avverso la sentenza n. 1014/07 della Corte di appello di Genova, depositata il 3 ottobre 2007 e notificata il 19 novembre 2007;
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 13 novembre 2013 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
uditi gli Avv.ti (OMISSIS), per le ricorrenti, e (OMISSIS) (per delega) nell’interesse dei controricorrenti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto dei primi tre motivi del ricorso e per l’accoglimento del quarto.
Con atto di citazione, notificato tra i mesi di luglio ed agosto 1995, i sigg. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di La Spezia, i sigg. (OMISSIS) in (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) esponendo che: – erano proprietari, per acquisti rispettivamente “mortis causa” (i (OMISSIS) – (OMISSIS)) nel 1960 e per atti “inter vivos” (i (OMISSIS) – (OMISSIS)) nel 1972 e 1973, di cinque unita’ abitative costituenti, con altre sette unita’, il condominio “(OMISSIS)” sito in (OMISSIS); – che i proprietari delle suddette ulteriori sette unita’ abitative si identificavano con i sigg. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); – che l’edificio era circondato su tre lati da area pertinenziale, adibita a giardino nella parte piu’ ampia, antistante l’edificio stesso; – che, nei richiamati titoli di acquisto, tale area era indicata come “giardino condominiale” o “area condominiale” con riferimento alla parte posta sul davanti dell’edificio e come “passaggio comune” o “passaggio condominiale” in ordine alla porzione posta sul retro dell’edificio stesso (e tali risultanze erano ricavabili anche dal titolo di proprieta’ del 1961 di (OMISSIS) oltre che dalla mappa catastale); – che le aree in questione erano state, da sempre, utilizzate da tutti i condomini, i quali corrispondevano per quota le relative spese di manutenzione; – che nel 1986 l’allora condomina (OMISSIS), dante causa di (OMISSIS), aveva recintato con un muretto il giardino condominiale senza l’autorizzazione degli altri condomini giustificando l’iniziativa intrapresa con l’esigenza di garantire sicurezza ai bambini che vi giocavano, installando, successivamente, anche un cancelletto nel retrostante passaggio condominiale; – che l’avente causa (OMISSIS), succeduta nel 1992 alla (OMISSIS) (che non aveva messo in contestazione la condominialita’ delle aree), aveva sostenuto di essere proprietaria esclusiva di dette aree. Tanto premesso, i predetti attori evocavano in giudizio i suddetti convenuti affinche’ venisse dichiarato che essi avevano usucapito – ai sensi dell’articolo 1159 c.c. ovvero in virtu’ dell’articolo 1160 c.c., – le corrispondenti quote rimaste indivise di proprieta’ delle aree esterne dell’edificio, chiedendo, nel contempo, anche la condanna degli aventi causa di (OMISSIS) al ripristino dello stato dei luoghi ed al libero accesso dell’area retrostante l’edificio. Si costituivano in giudizio tutti i convenuti (ad eccezione di (OMISSIS), nei cui confronti era stata disposta l’integrazione del contraddittorio, e di (OMISSIS)), i quali resistevano, a vario titolo, alla pretesa attorea, contestando, in ogni caso, che si fossero venute a configurare le condizioni per dichiarare il dedotto acquisto delle aree controverse per usucapione.
All’udienza di precisazione delle conclusioni, gli attori limitavano la domanda, cosi’ come originariamente proposta, qualificandola come accertamento della proprieta’ comune e chiedevano che il giudice adito dichiarasse il diritto dei condomini ad accedere al retrostante cortile ai sensi dell’articolo 843 c.c..
Con sentenza n. 804 del 2002, il Tribunale di La Spezia respingeva le domande degli attori e, per l’effetto, dichiarava che le aree dedotte in controversia erano di proprieta’ di (OMISSIS) e (OMISSIS), con le conseguenti statuizioni relative alla regolazione delle spese processuali.
Interposto appello da parte di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (quale coerede di (OMISSIS)), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (sul presupposto che, alla stregua delle risultanze dei titoli dei vari passaggi dominicali, alle aree in questione si sarebbe dovuto applicare l’articolo 1117 c.c., in tema di presunzione di condominialita’), nella resistenza dei soli appellati (OMISSIS) (che formulava, a sua volta, anche appello incidentale), (OMISSIS) e (OMISSIS), la Corte di appello di Genova, con sentenza n. 1014 del 2007 (depositata il 3 ottobre 2007), respingeva l’appello incidentale, accoglieva – per quanto di ragione – quello principale e, di conseguenza, in parziale riforma della decisione impugnata, dichiarava di proprieta’ comune dei condomini di (OMISSIS) (sita in (OMISSIS), in catasto al foglio 11 mappale 572) l’area antistante l’edificio condominiale quale indicata nella planimetria catastale acquisita e condannava la (OMISSIS) a rimettere detta area a disposizione di tutti i condomini, eliminando ogni ostacolo al godimento comune dell’area stessa; condannava, altresi’, la medesima (OMISSIS) a rifondere, in favore degli appellanti principali, la meta’ delle spese del doppio grado di giudizio, dichiarando compensate le spese stesse con riferimento ad ogni altro rapporto intercorso tra le rimanenti parti in causa.
A sostegno dell’adotta pronuncia la Corte ligure rilevava che, sulla scorta delle prove testimoniali e della documentazione acquisita, era emerso – al di la’ della qualificazione come condominiali delle aree controverse – l’utilizzazione comune delle stesse (donde l’illegittimita’ delle opere sulle stesse eseguite nell’interesse di (OMISSIS)), con particolare riguardo al giardino cosi’ come era stata accertata l’avvenuta ripartizione per plurimi anni tra tutti i condomini delle spese di manutenzione delle medesime aree, senza che, in proposito, potesse avere influenza contraria la circostanza che negli atti traslativi non fosse stata specificata la vendita “pro quota” delle suddette aree, dal momento che, essendone stata affermata la natura condominiale, la vendita “pro quota” si sarebbe dovuta considerare come conseguente di diritto. Inoltre, la Corte territoriale osservava che pur dovendosi riconoscere il carattere condominiale anche al cortile retrostante, la relativa domanda era stata rinunciata dagli originari attori in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado, onde non poteva qualificarsi come ammissibile nel giudizio di appello, ne’ la stessa si sarebbe potuta ricondurre al richiamo operato, in sede di gravame, all’articolo 843 c.c. (della fondatezza della cui azione, in ogni caso, non ricorrevano i presupposti).
Avverso la suddetta sentenza di secondo grado hanno proposto ricorso per cassazione le signore (OMISSIS) e (OMISSIS), quali eredi di (OMISSIS) (e la prima anche in proprio), articolato in quattro motivi.
Hanno resistito con controricorso gli intimati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), mentre le altre parti (ivi comprese quelle nei cui riguardi e’ stato successivamente esteso il contraddittorio con atto del 22 maggio 2008) non hanno svolto attivita’ difensiva in questa sede di legittimita’. Entrambi i difensori delle parti costituite hanno depositato memoria difensiva ex articolo 378 c.p.c..
1. Con il primo motivo le ricorrenti hanno denunciato – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, – la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1542 c.c. e segg., nonche’ il vizio di omessa, insufficiente e contraddittorieta’ della motivazione sul fatto controverso e decisivo della controversia relativo alla natura (di vendita di eredita’ o di quota di eredita’) degli atti di cessione di diritti ereditari del 15 febbraio e del 6 marzo 1961 e al loro oggetto (quote di eredita’ e non porzioni di singoli cespiti immobiliari).
Ai sensi dell’articolo 366 bis c.p.c. (ratione temporis applicabile alla fattispecie, risultando la sentenza impugnata pubblicata il 3 ottobre 2007), e’ stato formulato – quanto alla dedotta violazione di legge – il seguente quesito di diritto: “dica la Suprema Corte se nella vendita di eredita’ o di quota ereditaria siano compresi – salvo specifico patto contrario – tutti i cespiti, o la quota di tutti i cespiti, ereditari appartenuti al de cuius, e se la elencazione di tali cespiti assolva, di regola, a funzioni di garanzia e pubblicita’ immobiliare e non di limitazione dell’oggetto della vendita”.
1.1. Rileva il collegio che tale motivo e’ da qualificarsi inammissibile poiche’ con esso le ricorrenti hanno, in effetti, dedotto una questione del tutto nuova, in quanto esulante dal “thema decidendum” oggetto della instaurata controversia.
Infatti, per quanto e’ dato evincere dalla stessa sentenza impugnata, la Corte territoriale non era stata affatto investita del compito di individuare la natura giuridica del titolo della intervenuta cessione dei beni in favore delle parti in causa (e se, quindi, potesse discorrersi di “vendita di eredita’” o di quote ereditarie), essendo stato incentrato l’oggetto della causa – per quanto desumibile anche dalla riportata narrativa del giudizio – soltanto sull’accertamento della natura condominiale o meno di alcune parti ricomprese nel complessivo edificio in questione, i cui singoli appartamenti erano stati venduti, nel corso del tempo, a terze persone.
Deve, percio’, trovare conferma il principio per cui non sono prospettabili, per la prima volta, in sede di legittimita’ le questioni non appartenenti al tema del decidere dei precedenti gradi del giudizio di merito, ne’ rilevabili di ufficio (cfr, ad es., Cass. n. 7981 del 2007 e, da ultimo, Cass. n. 17041 del 2013, ord.).
2. Con il secondo motivo le ricorrenti hanno prospettato la violazione e falsa applicazione degli articoli 1117, 922, 1350 e 817 c.c., nonche’ il vizio di omessa, contraddittoria ed incongrua motivazione sul fatto controverso e decisivo della causa relativo all’esistenza di soggetti ( (OMISSIS) ed i suoi successori) titolari di quota di proprieta’ indivisa dei cortiletti oggetto del giudizio, ma non proprietari di unita’ immobiliari nella (OMISSIS), alla loro partecipazione alla decisione ed accordo di imprimere ai cortiletti stessi il controverso vincolo pertinenziale, in favore di immobili appartenenti a terzi soggetti. Con riferimento alla denunciata violazione di legge risulta posto il seguente quesito di diritto: “dica la Suprema Corte se l’accordo – e i vincoli che ne promanano – con il quale il proprietario di una quota indivisa di bene immobile assoggetti il predetto immobile a vincolo pertinenziale in favore di unita’ immobiliari di terzi non debba rivestire la forma scritta, e se, a seguito di tale accordo, lo stesso diritto di proprieta’, per la quota indivisa, sia “eo ipso” trasferita in quota millesimale ai soggetti terzi proprietari dei beni principali, in favore dei quali e’ stabilito il vincolo pertinenziale”.
2.1. Questa censura – supportata da un idoneo assolvimento del requisito di ammissibilita’ ex articolo 366 bis c.p.c. (“ratione temporis” applicabile nella specie, risultando la sentenza impugnata pubblicata il 3 ottobre 2007) – e’ infondata e deve, pertanto, essere rigettata.
In sostanza, con tale doglianza, le ricorrenti assumono che la Corte genovese sarebbe incorsa nella dedotta violazione di legge e nel prospettato vizio motivazionale nella parte in cui, rilevata la omessa menzione dei “cortiletti” nell’elenco dei beni oggetto di cessione dei diritti di (OMISSIS) in favore di (OMISSIS), aveva ritenuto che gli eredi di (OMISSIS) avessero deciso di destinare le due aree, oggetto di controversia, a “pertinenze condominiali” e, sulla scorta di tale ricostruzione, aveva considerato che l’area antistante “(OMISSIS)” fosse di proprieta’ comune ed avesse, quindi, natura condominiale.
Diversamente dalla rappresentata ricostruzione delle ricorrenti, occorre evidenziare che, con motivazione congrua e logica, la Corte di secondo grado, ripercorrendo i vari passaggi di trasferimento delle proprieta’, ha rilevato come fosse stata univocamente significativa della comune volonta’ dei proprietari degli appartamenti la circostanza che in tutti i contratti di provenienza (ivi compreso quello in cui la (OMISSIS) ricopriva la qualita’ di venditrice) le aree controverse erano state definite come condominiali e che tale circostanza era rimasta confermata anche dalle risultanze della complessiva prova orale espletata e dall’ulteriore produzione documentale, oltre che dall’accertato riscontro dell’effettuata ripartizione, per plurimi anni, tra tutti i condomini di varie spese riguardante la manutenzione delle aree ritenute comuni.
In tal senso risulta logicamente giustificata la consequenziale affermazione della Corte ligure in virtu’ della quale l’univoco e concorde comportamento dei condomini di “(OMISSIS)” ed, in particolare, degli eredi di (OMISSIS), compatibile con le risultanze dei numerosi contratti stipulati e per come emergente dalla destinazione in concreto impressa alle aree in discorso, stava a dimostrare che queste ultime, gia’ dal 1961, avevano assunto, per “facta concludentia” (non essendo necessaria, in proposito, l’adozione di un forma solenne: cfr., ad es., Cass. n. 3574 del 1999 e Cass. n. 6230 del 2000), la natura giuridica di parti comuni pertinenziali del complesso condominiale. Cosi’ argomentando, al di la’ delle oggettive risultanze documentali verificate negli atti di alienazione degli immobili, il giudice di appello si e’ conformato al condivisibile principio gia’ espresso dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 14528 del 2000), alla stregua del quale deve considerarsi ammissibile una pertinenza in comunione al servizio di piu’ immobili appartenenti in proprieta’ esclusiva ai condomini della pertinenza stessa, dal momento che l’asservimento reciproco del bene comune (accessorio) consente di ritenere implicitamente sussistente la volonta’ dei comproprietari di vincolare i beni accessori comuni a favore delle rispettive proprieta’ esclusive (beni principali).
3. Con il terzo motivo le ricorrenti hanno dedotto un ulteriore vizio di omessa, insufficiente ed incongrua motivazione della sentenza impugnata circa il fatto controverso e decisivo ai fini del giudizio relativo alla situazione possessoria e all’utilizzazione dell’area antistante la (OMISSIS).
3.1. Anche questa censura non e’ meritevole di pregio e va disattesa. In primo luogo deve evidenziarsi che manca l’indicazione di una congrua ed autonoma sintesi delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renderebbe inidonea a giustificare la decisione, onde, per questo verso, la doglianza si profila – ai sensi dell’articolo 366 bis c.p.c. – propriamente inammissibile.
Il motivo si prospetta, invece, infondato con riferimento all’assunta omissione o contraddittorieta’ della motivazione, poiche’ – per quanto gia’ esplicitato in ordine alla seconda censura – la Corte territoriale ha idoneamente e logicamente giustificato il proprio percorso argomentativo sulla scorta delle illustrate risultanze documentali e degli esiti complessivi delle prove orali, dai quali ha tratto ulteriore conforto circa la condominialita’ delle aree controverse in virtu’ dell’esercizio di fatto realizzato da parte dei condomini stessi. Del resto e’ risaputo che il vizio di omessa o errata motivazione deducibile in sede di legittimita’ sussiste solo se nel ragionamento del giudice del merito, quale risulti dalla sentenza, sia riscontrabile il deficiente esame di punti decisivi della controversia e non puo’, invece, consistere in un apprezzamento in senso difforme da quello preteso dalla parte perche’ l’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non conferisce alla Corte di legittimita’ il potere di riesaminare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’analisi e la valutazione fatte dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento e, in proposito, valutare le risultanze processuali, controllarne l’attendibilita’ e la concludenza, scegliendo, tra le stesse, quelle ritenute piu’ idonee per la decisione.
4. Con il quarto ed ultimo motivo le ricorrenti hanno denunciato la supposta violazione e falsa applicazione degli articoli 112 e 346 c.p.c., congiuntamente al vizio di omesso esame del fatto controverso e decisivo della causa riguardante la pluriventennale situazione possessoria delle aree in questione, in capo a (OMISSIS) e, poi, a (OMISSIS), e alla conseguente intervenuta usucapione delle aree medesime. Quanto alla dedotta violazione di legge risulta formulando il seguente quesito di diritto: “dica la Suprema Corte se il mancato esame da parte della Corte di appello di Genova della domanda (di usucapione) formulata dalla parte in primo grado, e richiamata nella comparsa di risposta di appello, viola le disposizioni di cui agli articoli 112 e 346 c.p.c.”.
4.1. Anche quest’ultima censura e’ priva di fondamento e deve essere rigettata.
Invero, la Corte territoriale ha correttamente ritenuto che la (OMISSIS) non aveva ritualmente riproposto in appello la domanda (o, comunque, l’eccezione) di usucapione, essendosi la stessa limitata – con la comparsa di risposta e di costituzione depositata in secondo grado (esaminabile anche in questa sede in virtu’ della natura processuale del vizio denunciato) – a richiedere il rigetto dell’appello, con vittoria di spese, diritti e d onorari del giudizio (senza, peraltro, formulate propriamente alcun appello incidentale).
A tal proposito bisogna sottolineare (cfr., ad es., Cass. n. 10796 del 2009 e Cass. n. 5735 del 2011) che, in materia di procedimento civile, in mancanza di una norma specifica sulla forma nella quale l’appellante che voglia evitare la presunzione di rinuncia ex articolo 346 c.p.c., deve reiterare le domande e le eccezioni non accolte in primo grado (cosi’ come la parte vittoriosa in primo grado con riferimento alle domande od eccezione respinte, anche implicitamente, con la sentenza impugnata), se e’ pur vero che queste possono essere riproposte in qualsiasi forma idonea ad evidenziare la volonta’ di riaprire la discussione e sollecitare la decisione su di esse, e’ altrettanto vero che, ancorche’ libera da forme, la riproposizione deve essere fatta in modo specifico, non essendo al riguardo sufficiente un generico richiamo alle difese svolte ed alle conclusioni precisate davanti al primo giudice (come verificatosi nel caso di specie laddove, nel corpo dell’atto costitutivo della (OMISSIS), si legge “richiamate tutte le difese esposte in primo grado…” e, al termine dello stesso, si conclude nel seguente modo; “voglia la Corte respingere l’appello proposto con vittoria di spese, diritti ed onorari”).
5. In definitiva, alla stregua delle complessive ragioni esposte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna delle soccombenti ricorrenti (con vincolo solidale) al pagamento – in favore delle parti controricorrenti, in via fra loro solidale – delle spese della presente fase di legittimita’, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo sulla scorta dei nuovi parametri previsti per il giudizio di legittimita’ dal Decreto Ministeriale Giustizia 20 luglio 2012, n. 140 (applicabile nel caso di specie in virtu’ dell’articolo 41 dello stesso Decreto Ministeriale: cfr. Cass., S.U., n. 17405 del 2012).
La Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti, con vincolo solidale, al pagamento – in favore della parti controricorrenti, in via fra loro solidale – delle spese del presente giudizio di legittimita’, liquidate in complessivi euro 3.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori nella misura e sulle voci come per legge.
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