marijuana

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II

Sentenza 3 aprile 2014, n. 15191

Svolgimento del processo

Con sentenza del 21 novembre 2003, il Gip del Tribunale di Vallo della Lucania dichiarò B.C. responsabile del reato previsto dall’art. 73 dpr 309/90 e lo condannò alla pena di mesi sei di reclusione ed € 4000,00 di multa.

Avverso tale pronunzia propose gravame l’imputato, e la Corte d’Appello di Salerno, in accoglimento dell’appello, assolveva il C. perché il fatto non è più preveduto dalla legge come reato. Proposto ricorso per cassazione da parte del Procuratore Generale, questa Corte, sezione VI, con sentenza in data 9.12.2009, annullava la sentenza della Corte d’Appello, rilevando un vizio di motivazione in ordine alla non effensività della condotta (coltivazione di 15 piante di marjuana).

La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza del 18.10.2012, pronunciando in sede di rinvio, assolveva il C. dal reato ascrittogli perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.
Ricorre per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Napoli, deducendo l’erronea applicazione dell’art. 73 d.p.r. 309/90 e la mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione ai sensi dell’art. 606, co. 1, lett. b) ed e) c.p.p. rilevando che ogni riferimento alla offensività della condotta, pur legittimo in via di principio, appare del tutto inconferente e che costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale.
Chiede pertanto l’annullamento della sentenza.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato, e varigettato.

E’ principio pacificamente affermato da questa Corte (v. Cass. Sez. VI, sent. n. 22110/2013 Rv. 255773; S.U. sent. n. 28605/2008 Rv. 239921) che, ai fini della punibilità della coltivazione, non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, spetta al giudice verificare in concreto l’offensività della condotta ovvero l’idoneità della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile.

Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha ritenuto non dimostrata l’offensività della condotta, né l’idoneità della stessa a porre in pericolo il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, in considerazione non solo del numero esiguo delle piantine di marijuana, ma anche del quantitativo minimo di sostanza dalle stesse estraibile. E pertanto, la sentenza non appare censurabile in quanto rispettosa dei principi di diritto in materia affermati da questa Corte e non illogicamente motivata.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

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