LionelHutz.

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 25 febbraio 2014, n. 4488

Svolgimento del processo

L’Avv. M.F. propone ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. avverso decreto del 6/13 novembre 2007, del Tribunale di Roma – Sezione Fallimentare, in composizione collegiale, di rigetto del reclamo da lui promosso contro il provvedimento del giudice fallimentare di liquidazione degli onorari in favore dello stesso ricorrente quale difensore del Fallimento Devil’s Point Italia s.r.l., che gli aveva liquidato, riducendone la pretesa esposta nella nota spese, l’onorario per l’opera professionale prestata nell’ambito di giudizio civile in grado di appello promosso dalla Investire Partecipazioni s.p.a. avverso la sentenza del Tribunale di Roma, richiamata per relationem la liquidazione della Corte distrettuale pari ad Euro. 4.450,00, oltre accessori.
A sostegno della decisione il Collegio del reclamo rilevava l’erroneità della notula quanto allo scaglione di riferimento dovendo ritenersi la controversia rientrare nella voce “valore indeterminabile” qualificata la condanna dal giudice dell’opposizione a precetto come “generica”, qualificata come giudiziale anche la liquidazione del giudice delegato.
Ha instaurato contraddittorio nei confronti della curatela del Fallimento, che si è costituita con controricorso.
Il ricorso è affidato a due motivi.

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 6 D.M. 8 aprile 2004 n. 127 in relazione all’art. 57 R.D.L. 27.11.1933 n. 1578 per non avere il giudice del reclamo determinato il valore della controversia facendo applicazione delle norme del codice di procedura civile, giacché nella specie il valore doveva essere determinato sull’intera somma in contestazione, ancorché una porzione di essa, ancora da definire, fosse stata ritenuta a carico di altre parti.
A conclusione del motivo viene formulato il seguente quesito: “Se nella liquidazione degli onorari dovuti all’avvocato a carico del cliente per prestazioni giudiziali il valore della controversia debba essere determinato a norma del codice di procedura civile e se l’illiquidità della condanna a carico del soccombente possa trasformare il valore della causa da determinato ad indeterminato”.
Il motivo è infondato.
Il Tribunale ha considerato la causa del giudizio presupposto di valore indeterminabile perché la condanna pronunciata dalla Corte di appello, relativa ad opposizione a precetto, era stata considerata come “generica”, avendo statuito la validità del precetto limitatamente alla somma di Euro 5.814,00, ancora illiquido il credito vantato dal Fallimento Devil’s, non risultando determinata la somma da ripartire a carico del Fallimento Pantrem s.p.a..
Tale soluzione è in armonia con quanto precisato in merito da questa Corte, secondo la quale in tema di liquidazione degli onorari professionali a favore dell’avvocato, il principio generale secondo cui il valore della causa si determina in base alle norme del codice di procedura civile avendo riguardo all’oggetto della domanda considerato al momento iniziale della lite, trova un limite alla sua applicabilità nei casi in cui, al momento dell’instaurazione del giudizio, non sia possibile indicare il quantum, rendendosi in tale ipotesi indispensabile, ai fini de quibus, il riferimento al valore definito e quindi, al quantum stabilito in altro modo, eventualmente, come nella specie, con la pronuncia di condanna (Cass. n. 2188 del 2011; Cass. n. 10416 del 2.07.2003; Cass. n. 17354 del 2002; v. anche Cass. n. 3804 del 1991; Cass. n. 348 del 3.02.1973).
Del resto deve considerarsi in proposito che, secondo la regola stabilita dal D.M. n. 127 del 2004, art. 6, comma 1, espressamente enunciata per gli onorari a carico del soccombente, ma espressione di un principio generale valido anche per la liquidazione a carico del cliente, di regola la determinazione del valore della causa va rapportata ai criteri stabiliti dal codice di procedura civile, con la particolarità che, per la liquidazione degli onorari a carico del cliente, deve farsi riferimento anche alla statuizione dell’art. 6, comma 2, a norma del quale “può aversi riguardo al valore effettivo della controversia, quando risulti manifestamente diverso”, nonché dell’art. 6, comma 4, a norma del quale “per la determinazione del valore effettivo della controversia deve farsi riferimento al valore dei diversi interessi perseguiti dalle parti”. Ciò comporta l’esercizio da parte del giudice di un potere non già arbitrario bensì discrezionale, essendo il medesimo tenuto a dare motivazione sia pure succinta delle relative ragioni (cfr. Cass. 11 luglio 2006 n. 15685; Cass. 10 febbraio 1981 n. 844).
Orbene, nel caso di specie, il giudice del reclamo non si è discostato da tali principi e ha espresso al riguardo ampia, corretta e congrua motivazione, affermando di ritenere che non poteva essere condiviso l’assunto del ricorrente, in quanto le somme indicate nella notula con riferimento all’importo portato in precetto erano superate dall’intervenuta pronuncia di condanna qualificata come “generica”, per cui, ad avviso del Tribunale, non potevano costituire in alcun modo parametro di riferimento circa la determinazione del valore del giudizio dovendosi, viceversa, ritenere più razionale e congruo tenere conto del diverso accertamento operato nel giudizio presupposto, valido parametro di riferimento essendo stata accettata la illiquidità del credito preteso per la somma superiore ad Euro 5.814,00.
L’ordinanza impugnata, pertanto, resiste alle censure del ricorrente, avendo fatto corretta applicazione dei principi sopra illustrati ai fini della determinazione dello scaglione per la liquidazione degli onorari di avvocato.
Il secondo motivo, con il quale il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c. per falsa applicazione dell’art. 5 D.M. 8.4.2004 n. 127 in relazione all’art. 57 R.D.L. 27.11.1933 n. 1578, a corollario pone il seguente quesito di diritto: “Se nella liquidazione degli onorari dovuti all’avvocato a carico del cliente per prestazioni giudiziali possa derogarsi ai criteri determinati dall’art. 57 R.D.L. 27.11.1933 n. 1578 e dai decreti ministeriali attuativi di tale disposizione legislativa in caso di assistenza dell’avvocato a curatela fallimentare”.
Il Collegio ritiene il motivo assorbito dal rigetto del primo mezzo di censura avverso la decisione impugnata.
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.600,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

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