Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione V
sentenza 3 febbraio 2014, n. 5242

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BEVERE Antonio – Presidente
Dott. LAPALORCIA Grazia – Consigliere
Dott. BRUNO Paolo A – Consigliere
Dott. VESSICHELLI Maria – Consigliere
Dott. DEMARCHI ALBENGO P. – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 4498/2012 CORTE APPELLO di PALERMO, del 10/05/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/11/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. PAOLO GIOVANNI DEMARCHI ALBENGO;
Il Procuratore generale della Corte di Cassazione, Dr. Aurelio Galasso, ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Per il ricorrente e’ presente l’Avvocato (OMISSIS), il quale chiede l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. (OMISSIS) e’ imputato del reato di cui all’articolo 594 c.p. per avere ingiuriato (OMISSIS) dicendogli: “Lei e’ un malandrino”. Il tribunale di Agrigento, sezione distaccata di Licata, ha ritenuto l’imputato responsabile del reato ascritto e lo ha condannato alla pena di euro 500 di multa, oltre al risarcimento del danno ed al rimborso delle spese in favore della parte civile.
La Corte d’appello di Palermo ha confermato la sentenza di condanna, ritenendo insussistente la scriminante della provocazione, invocata nell’impugnazione.
2. (OMISSIS) propone ricorso per cassazione per i seguenti motivi:
a. mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione in ordine alla scriminante di cui all’articolo 599 c.p., comma 2, lamentando l’automatismo con il quale la Corte ha ritenuto l’assenza di immediatezza solo per il fatto che era passato parecchio tempo dopo l’asserito “fatto ingiusto”.
b. Violazione di legge con riferimento all’articolo 599 c.p., comma 2; sotto tale profilo si ritiene che nel caso in esame sussistesse sia il fatto ingiusto, rappresentato dalla violazione, da parte del (OMISSIS), di specifiche norme amministrative e di basilari regole di correttezza, sia la continuita’ temporale da valutare tenendo conto della persistenza dello stato d’ira.
Il 3 novembre 2013 e’ stata depositata una memoria difensiva che ha ribadito i due motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorrente censura, sia sotto il profilo del vizio di motivazione che per violazione di legge, le valutazioni condotte dalla Corte con riferimento alla particolare scriminante prevista dall’articolo 599 c.p., comma 2. Lamenta il ricorrente che la Corte, sul punto, abbia fatto riferimento alla esauriente motivazione della sentenza di primo grado, quando invece tale sentenza non svolge alcuna considerazione sulla esistenza della scriminante. La doglianza e’ fondata ma del tutto irrilevante ai fini della decisione, posto che, nonostante il rinvio alla decisione di primo grado, la Corte d’appello motiva in modo autonomo e piu’ che adeguatamente sul punto.
Non vi e’ pertanto alcun vizio, dotato di efficacia decisiva, nella motivazione di secondo grado, non essendovi ne’ carenza, ne’ illogicita’ manifesta della stessa; con particolare riferimento alla contiguita’ del fatto – elemento richiesto indefettibilmente dalla scriminante di cui all’articolo 599 c.p., che parla di “subito dopo” – la Corte ha ritenuto, con valutazione di merito insindacabile in sede di legittimita’, in quanto correttamente motivata, che il decorso di un considerevole lasso di tempo interrompesse, nel caso di specie, la predetta contiguita’ temporale.
2. Ne puo’ dirsi violata la legge; questa Corte ha affermato che il concetto di continuita’ temporale deve essere valutato anche con riferimento alla persistenza dello stato d’ira, manifestatosi in conseguenza del fatto ingiusto, per cui il semplice decorso del tempo, specie se non di rilevante entita’, potrebbe non essere ostativo al riconoscimento della scriminante. Pur tuttavia, quando il lasso di tempo diventa considerevole, come accertato in fatto nella sentenza impugnata, diventa difficile riconoscere la sussistenza della continuita’ temporale richiesta dalla norma ed in ogni caso tale elemento costituisce, come si e’ detto, oggetto di un apprezzamento che e’ riservato al giudice di merito che non e’ insindacabile in Cassazione, ove sia corredato di motivazione priva di vizi logici evidenti. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che il considerevole lasso di tempo trascorso assumesse rilevanza determinante al fine di escludere il rapporto causale e comportasse invece la possibilita’ di riferire la reazione ad un sentimento differente, quale l’odio od il rancore a lungo covato. Trattasi di considerazione non in contrasto con la norma, tanto meno nell’interpretazione datane da questa Corte, che ha piu’ volte affermato che in tema di provocazione, sebbene il dato temporale debba essere interpretato con elasticita’, non essendo necessaria una reazione istantanea, tuttavia l’immediatezza della reazione rispetto al fatto ingiusto altrui rende piu’ evidente la sussistenza dei presupposti di tale circostanza attenuante, mentre il passaggio di un lasso di tempo considerevole puo’ assumere rilevanza al fine di escludere il rapporto causale e di riferire la reazione ad un sentimento differente, quale l’odio o il rancore (Sez. 1, n. 16790 del 08/04/2008, D’Amico, Rv. 240283; conff. Sez. 5, n. 29384 del 06/06/2006, Pitti, Rv. 235005; Sez. 5, n. 6116 del 13/05/1996, Ridi, Rv. 205131).
3. In conclusione, il ricorso, pur denunciando formalmente violazione di legge, costituisce censura in punto di fatto della sentenza impugnata, inerendo esclusivamente alla valutazione degli elementi di prova ed alla scelta delle ragioni ritenute idonee a giustificare la decisione, cioe’ ad attivita’ che rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui apprezzamento e’ insindacabile in sede di legittimita’ se sorretto, come nel caso in esame, da adeguata e congrua motivazione esente da vizi logico-giuridici.
4.5. Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato; ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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