Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 19 maggio 2015, n. 20606
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIANDANESE Franco – Presidente
Dott. PRESTIPINO Antonio – Consigliere
Dott. DAVIGO P. – rel. Consigliere
Dott. PELLEGRINO Andrea – Consigliere
Dott. RECCHIONE Sandra – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 27/01/2015 del Tribunale di Siena;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Piercamillo Davigo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. ANGELILLIS Ciro, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato.
RITENUTO IN FATTO
1. Con decreto del 9.1.2015 il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Siena dispose il sequestro probatorio della somma di euro 10.538,00 presso la (OMISSIS), nei confronti di (OMISSIS) indagato per il reato di cui all’articolo 646 c.p., commesso in danno del proprio difensore Avv. (OMISSIS), trattenendo somme parte di una transazione e destinate agli onorari del suo difensore.
2. L’indagato propose istanza di riesame ma il Tribunale di Siena, con ordinanza del 27.1.2015 confermo’ oil provvedimento impugnato.
3. Ricorre per cassazione l’indagato personalmente deducendo:
1. violazione di legge in quanto non commette il reato di appropriazione indebita la parte vincitrice di una causa civile – a cui favore il giudice abbia liquidato una somma a titolo di spese legali – che si rifiuti di consegnarla al proprio avvocato che reclami come propria la suddetta somma (citando Cass. Sez. 2 sent. n. 25344/2011); peraltro la societa’ assicuratrice aveva inviato il complessivo assegno all’indagato, difetta quindi l’altruita’ della cosa;
2. violazione di legge in relazione all’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato; l’indagato non avrebbe posseduto la provvista fino al momento dell’accredito sul conto corrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso e’ fondato.
Il Tribunale ha argomentato che, nella specie, la somma sarebbe di proprieta’ del difensore ai sensi della Legge 31 dicembre 2012, n. 247, articolo 13, comma 8, recante la nuova disciplina della professione forense, che prevede l’obbligazione solidale delle parti in ipotesi di conclusione della controversia con accordi di qualunque specie.
La norma testualmente stabilisce:
“8. Quando una controversia oggetto di procedimento giudiziale o arbitrale viene definita mediante accordi presi in qualsiasi forma, le parti sono solidalmente tenute al pagamento dei compensi e dei rimborsi delle spese a tutti gli avvocati costituiti che hanno prestato la loro attivita’ professionale negli ultimi tre anni e che risultino ancora creditori, salvo espressa rinuncia al beneficio della solidarieta’”.
Non si e’ avveduto il Tribunale che la citata disposizione, affermando che le parti sono solidalmente tenute al pagamento, fa pur sempre riferimento ad una obbligazione e non ad un diritto reale.
Non vi e’ percio’ ragione di ritenere diversa la situazione rispetto a quella affrontata da questa Corte, secondo la quale non integra il delitto di appropriazione indebita la condotta della parte vincitrice di una causa civile che trattenga la somma liquidata in proprio favore dal giudice civile a titolo di refusione delle spese legali, rifiutando di consegnarla al proprio avvocato che la reclami come propria (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 25344 del 25/05/2011 dep. 24/06/2011 Rv. 250767).
La sentenza sopra richiamata ha cosi’ argomentato:
“In punto di diritto, e’ appena il caso di rammentare che i requisiti giuridici perche’ possa ritenersi configurabile il reato di cui all’articolo 646 c.p., sono i seguenti: a) l’appartenenza dei beni oggetto di appropriazione, ad un terzo in virtu’ di un titolo giuridico; b) il possesso legittimo dei suddetti beni da parte del terzo; c) la volonta’ di interversione del possesso, la qual cosa si verifica quando il possessore effettua e rende esplicito al proprietario del bene, l’interversione del possesso ossia la sua volonta’ di non restituire piu’ il bene del quale ha il possesso; d) l’ingiusto profitto.
Infatti, la ratio dell’articolo 646 c.p., deve essere individuata nella volonta’ del legislatore di sanzionare penalmente il fatto di chi, avendo l’autonoma disponibilita’ della res, dia alla stessa una destinazione incompatibile con il titolo e le ragioni che giustificano il possesso della stessa: Cass. 11628/1989 riv 182001. Tanto premesso in diritto, occorre quindi verificare: a) se la somma liquidata dal giudice a favore del (OMISSIS) fosse o meno di proprieta’ dell’avv.to (OMISSIS); b) se il (OMISSIS) la possedeva in virtu’ di un qualche legittimo titolo di possesso e, quindi, se effettuo’ l’interversione.
La risposta ai suddetti quesiti discende dalla disamina del rapporto che lega il cliente all’avvocato.
In proposito e’ indiscusso che il suddetto rapporto ha alla base un rapporto di mandato professionale a seguito del quale il professionista ha il diritto di pretendere il pagamento della prestazione.
Il pagamento della suddetta prestazione costituisce, quindi, a carico del cliente, un obbligo che discende dall’interno rapporto di mandato essendo regolamentato dalle pattuizioni che le parti hanno stabilito in ordine al quantum ed alle modalita’.
Nell’ipotesi, poi, di una causa civile, le modalita’ con le quali il professionista puo’ farsi pagare sono due: 1) direttamente dal cliente ed indipendentemente dalla liquidazione che il giudice effettua in sentenza; 2) direttamente dalla parte soccombente: e’ l’ipotesi espressamente prevista dall’articolo 93 c.p.c., che disciplina la fattispecie, appunto, della distrazione delle spese. Nel caso in esame, e’ pacifico che la somma in questione venne liquidata a favore non dell’avv. (OMISSIS) ma direttamente a favore del (OMISSIS) in quanto parte vincitrice a titolo di spese. E’ chiaro, pertanto, che quella somma era di sua esclusiva proprieta’ ed alla stessa il (OMISSIS) era libero di dare la destinazione che piu’ gli aggradava pur essendo tenuto al pagamento della parcella dell’avv.to (OMISSIS).
Costui, quindi, non poteva su di essa accampare alcun diritto potendo solo richiedere la somma ritenuta congrua a titolo di parcella per l’opera professionale svolta, direttamente nei confronti del suo cliente, somma che avrebbe potuto essere, in ipotesi, sia minore che superiore a quella liquidata dal giudice.
Erra, quindi, il P.G. ricorrente quando sostiene che la somma liquidata aveva un vincolo di destinazione a favore dell’avvocato. In realta’, la somma era di proprieta’ esclusiva del (OMISSIS) essendo stata liquidata a suo favore, sicche’ nessuna appropriazione indebita e’ ipotizzarle proprio perche’ manca il principale presupposto giuridico ossia che la somma fosse di proprieta’ dell’avvocato e che il (OMISSIS), possedendola per un legittimo titolo, effettuo’ l’interversione del possesso rifiutandosi di consegnarla all’avvocato.
Nel respingere pertanto il ricorso puo’ enunciarsi il seguente principio di diritto: non commette il reato di appropriazione indebita la parte vincitrice di una causa civile – a cui favore il giudice abbia liquidato una somma a titolo di spese legali – che si rifiuti di consegnarla al proprio avvocato che reclami come propria la suddetta somma”.
Anche nel caso di specie non vi era il presupposto giuridico ossia che la somma fosse di proprieta’ del’avvocato, il quale vantava invece un diritto di credito.
2. L’ordinanza impugnata ed il decreto di sequestro probatorio devono pertanto essere annullati senza rinvio.
3. La decisione assunta rende superfluo l’esame del secondo motivo di ricorso.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e il decreto di sequestro probatorio disponendo la restituzione delle somme sequestrate all’avente diritto.
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