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Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 19 luglio 2013, n. 30990

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Cagliari, confermava la sentenza del Tribunale di Cagliari – Sezione di Carbonia del 25 giugno 2010 con la quale R..F. è stato condannato alla pena di un anno, un mese e 10 giorni di reclusione ed Euro 400.00 di multa, esclusa la recidiva contestata e con la diminuzione per il rito abbreviato, per il delitto di cui agli arti. 56 e 629 c.p. per aver compiuto atti idonei e diretti in modo non equivoco a procurarsi l’ingiusto profitto di Euro 8.000,00 in danno di O.D. , minacciando la stessa di non restituirle la sua autovettura ford Focus targata … qualora non gli avesse consegnato tale somma; non riuscendovi per cause indipendenti dalla sua volontà. In Carbonia il 12 giugno 2010. Con la recidiva ex art. 99, 4 comma cod. pen..
1.1 Con l’atto d’appello, la difesa di F. censurava la sussistenza dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato affermando che F. e la O. convivevano da circa un anno e che il fatto doveva inquadrarsi in un normale contrasto all’interno della coppia senza contenuto minaccioso perché il danaro era stato chiesto in restituzione di quanto elargito dal F. , grazie ad un prestito ottenuto dalla madre, per il mantenimento e sostentamento della O. . Chiedeva, pertanto, la riqualificazione del reato in quello previsto dall’art. 393 c.p.p. ed, in ogni caso, la riduzione della pena con il riconoscimento delle attenuanti generiche. La Corte di merito rigettava l’appello ritenendo più credibile l’originaria denuncia della O. , pretestuosa e comunque non credibile la tesi del credito vantato e della conseguente richiesta di restituzione del denaro alla madre di F. ed infondata la richiesta di qualificare i fatti in termini di ragion fattasi.
1.2 Avverso tale sentenza propone ricorso l’avvocato Gian Mario Sechi, difensore di fiducia del F. , chiedendo l’annullamento della sentenza e deducendo a motivo di gravame:
a) violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b ed e cod.proc.pen. per l’erronea applicazione dell’art. 629 cod.pen. non rivestendo la minaccia le caratteristiche necessarie ed idonee ad incutere timore;
b) violazione dell’art. 606 co. 1 lett. b) ed e) cod.proc.pen. per l’erronea applicazione dell’art. 43, 47, 629 c.p. La sentenza è priva di valida motivazione circa l’elemento soggettivo dell’estorsione: gli ottomila Euro erano stati richiesti in restituzione della somma che F. , grazie al prestito ricevuto dalla madre S.A. , aveva speso per il mantenimento del nucleo familiare della O. . La circostanza del prestito e dell’impegno alla restituzione era stata confermata dalla S. nel corso del giudizio di primo grado. L’imputato quindi riteneva ragionevolmente che anche la compagna fosse tenuta all’obbligo di restituzione e del tutto legittima la richiesta di corrispondere tale somma che, pertanto, non poteva inquadrarsi come profitto ingiusto.
c) violazione dell’art. 606 co 1 lett. b) ed e) cod.proc.pen. per l’erronea applicazione dell’art. art. 393 e 629 cod.pen..
La Corte ha omesso di valutare le peculiarità fattuali dell’episodio denunciato:il prestito e la destinazione dello stesso sono stati confermati dalla signora S. e tali circostanze di fatto emergono anche dalla denuncia sporta da O.D. in data 12.06.2010. Appare pertanto contraddittoria la motivazione della sentenza nella parte in cui afferma che il credito è frutto di “una linea difensiva costruita a posteriori e che il F. era perfettamente consapevole di non avere nulla da pretendere”.
d) violazione dell’art. 606 co 1 lett. b) ed e) cod.proc.pen. per l’erronea applicazione dell’art. 62 bis, 69, 133 c.p..
Lamenta il ricorrente il vizio di motivazione in punto di conferma del trattamento sanzionatorio, perché la Corte,per un verso, richiama il grave precedente per estorsione mentre il F. in realtà è stato assolto con sentenza definitiva dal reato di estorsione contestato nell’ambito di altro procedimento; per altro verso nega che siano stati prospettati elementi positivi per giustificare la richiesta di modifica del trattamento sanzionatorio mentre, in realtà, erano stati forniti nel corso del giudizio i documenti che provavano come non solo il F. avesse ripreso il rapporto di convivenza con la O. ma che avesse concepito con la stessa un figlio, e quindi un comportamento di piena riappacificazione con la parte lesa.

Considerato in diritto

2. Il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati.
2.1 La motivazione della sentenza appare viziata da contradditorietà ed illogicità manifesta perché,dopo aver dato atto che proprio nella prima denuncia D..O. aveva specificato che F. aveva preso la macchina a sua insaputa e che lei non aveva alcun debito nei confronti del suo ex fidanzato e neppure di sua madre, spiegando in proposito che durante il periodo di convivenza che era durato circa un anno, la S. , madre del F. , aveva consegnato al figlio dei soldi perché non lavorava, ma che lei si era sempre data da fare per mantenersi, ha poi negato l’esistenza dei presupposti per la riqualificazione del delitto in esercizio arbitrario delle proprie ragioni “perché tale reato presuppone quanto meno la convinzione da parte dell’agente della sussistenza di una pretesa creditoria nei confronti della persona offesa ma che nulla di tutto dò era stato provato”. È manifesta la contraddittorietà di tale ultima affermazione che non tiene conto che fu proprio la vittima, ed in sede di prima denuncia, a prospettare la richiesta del F. come la convinta affermazione che ella avesse beneficiato dei soldi prestati dalla madre al figlio e da quest’ultimo spesi per sostenere i pesi della convivenza.
2.2 È di tutta evidenza che, in perfetta buona fede e senza intenti agevolatoli del F. , la O. del tutto spontaneamente ha dato atto che il compagno era profondamente convinto ch’ella dovesse partecipare alla restituzione del prestito, perché aveva goduto del prestito fatto dalla madre al figlio e dallo stesso speso per le necessità della convivenza con D..O. e i figli di costei.
2.3 È, pertanto, contraddetto l’assunto che non rilevassero prove della “… convinzione da parte dell’agente della sussistenza di una pretesa creditoria nei confronti detta persona offesa…” e l’evidenza probatoria pure avvalorata dalla Corte pone obiettivamente problematicità significative in ordine all’elemento soggettivo del delitto di estorsione, non affrontate nel provvedimento impugnato, e che devono invece essere adeguatamente motivate.
2.3 Contraddittoria è inoltre la motivazione nel punto in cui attribuisce all’imputato una precedente condanna per estorsione che non viene individuata, affermazione che a fronte della documentata assoluzione del F. , rende dubbio l’assunto posto a base della mancata concessione delle generiche al pari dell’affermazione che non vi erano prove di un ravvedimento dell’imputato, smentito dalla riappacificazione con la vittima, rafforzata dalla nascita di un figlio.
La sentenza, atteso il vizio di motivazione, va annullata in punto di qualificazione del fatto e di commisurazione della pena, con rinvio alla Corte d’appello di Cagliari, come da dispositivo.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla sezione distaccata di Sassari della Corte d’appello di Cagliari, per nuovo giudizio.

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