Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 17 marzo 2016, n. 5325
Svolgimento del processo
Con ricorso ex art. 170 d.p.r. n. 115/2002 depositato l’8 aprile 2010, Assistedil-Ancona ha chiesto l’annullamento del decreto di pagamento emesso il 25 marzo 2010, nell’ambito di una procedura esecutiva immobiliare, in favore del consulente tecnico d’ufficio ing. O.M. , con il quale era stato liquidato ex art. 13 d.m. 30 maggio 2002 un compenso di Euro 5.564,97 per onorario, oltre accessori, così ridotto ex art. 52 d.p.r. n. 115/02, oltre Euro 181,27 per spese.
Il ricorrente, in quella sede, ha contestato la congruità della somma liquidata a titolo di onorario, deducendo che in una procedura di esecuzione forzata per la stima di un compendio immobiliare diviso in lotti l’unicità dell’incarico comporterebbe che il compenso a percentuale da liquidarsi al consulente debba essere stabilito con riferimento al valore complessivo degli immobili, e non a quello dei singoli lotti; ha dedotto, inoltre, che le spese relative al processo esecutivo avente ad oggetto crediti di lavoro, dovrebbero essere anticipate dagli uffici giudiziari e poste a carico dell’Erario.
Il consulente, costituitosi, ha contestato quanto dedotto in ricorso ed ha chiesto riconoscersi in misura integrale il compenso richiesto a titolo di onorario, con conferma dell’opposto decreto.
Con l’ordinanza nella presente sede impugnata, il Tribunale di Foggia ha rigettato l’opposizione. Il tribunale pugliese ha ritenuto, in particolare: che avendo l’ausiliario effettuato una consulenza tecnica in materia di estimo nell’ambito di una procedura esecutiva immobiliare, trovava applicazione la tariffa prevista dall’art. 13 delle tabelle approvate con d.m. 30 maggio 2002; che l’onorario per tale consulenza andava, quindi, liquidato a percentuale; che, in presenza di un contrasto giurisprudenziale, anche a voler optare per la tesi secondo cui, con riferimento alle operazioni di estimo di immobili, la pluralità delle operazioni di valutazione affidate al consulente non escluda l’unicità dell’incarico e del compenso, doveva tenersi conto che, per le particolari caratteristiche degli immobili o per la loro diversità tipologica, si era reso necessario porre in essere operazioni peritali diversificate; che nella fattispecie gli immobili pignorati oggetto di stima risultavano tipologicamente diversi tra loro (locali terranei e appartamenti) e le operazioni peritali poste in essere dal C.T.U. non potevano affermarsi ripetitive (atteso che alcuni immobili avevano diverse destinazioni d’uso, che per altri si erano dovute effettuare stime con il metodo del valore di trasformazione e che lo stato manutentivo dei detti immobili non era identico per tutti); che pertanto, facendo applicazione dei criteri di liquidazione sopra richiamati, la somma liquidata appariva congrua; che le spese di consulenza nella procedura esecutiva immobiliare in oggetto non rientravano nella previsione di cui all’art. 10 l. n. 533/73, atteso che la norma in questione escludeva da tassazione i soli atti e documenti relativi a cause per controversie individuali di lavoro, e non le attività di consulenza tecnica d’ufficio rese nell’ambito di una procedura esecutiva volta al recupero di crediti di lavoro.
Per la cassazione dell’ordinanza ha proposto ricorso la Assistedil – Ancona, sulla base di quattro motivi. Ha depositato controricorso O.M.. La ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 13 d.m. 30 maggio 2002, per avere il Tribunale di Foggia confermato la liquidazione del compenso al C.T.U. operata dal giudice dell’esecuzione con riferimento al valore di ogni singolo lotto, anziché con riguardo al valore complessivo stimato, così superando lo scaglione massimo di 1.000.000.000 previsto dalla norma. Sostiene che il frazionamento in lotti dei beni sottoposti ad esecuzione non può comportare deroga al principio della unicità dell’incarico in relazione all’unitarietà del complesso immobiliare assoggettato a stima.
Il motivo è infondato.
Il giudice di prime cure, dopo aver rappresentato la sussistenza di un contrasto giurisprudenziale sul punto, ha di fatto aderito all’orientamento più restrittivo (favorevole all’unicità dell’incarico ed alla conseguente unitarietà del compenso), pur evidenziando che, in presenza di una pluralità di immobili diversi tra loro, l’importo stimato non è quello che attiene alla stima cumulativa dell’insieme, bensì quello corrispondente ad ogni singola stima di immobile che abbia autonome caratteristiche valutative.
Tale criterio è conforme alla disciplina in tema di liquidazione dei compensi al consulente tecnico d’ufficio: vero è infatti che la pluralità delle valutazioni affidate al consulente non esclude l’unicità dell’incarico e la conseguente unitarietà del compenso, rilevando soltanto ai fini della determinazione giudiziale del compenso medesimo, fissato dalla legge tra una misura minima ed una massima; ciò non esclude, però, che possa farsi luogo a unificazione degli onorari relativi alla stima di immobili, suddivisi per gruppi aventi analoghe caratteristiche, relativamente ai quali la valutazione presenta elementi di ripetitività (Cass. 23 settembre 1994, n. 7837): in altri termini, qualora la consulenza tecnica in materia di estimo abbia ad oggetto una pluralità di immobili, il compenso del consulente viene legittimamente determinato raggruppando le unità immobiliari aventi analoghe caratteristiche e applicando, sul valore dei singoli gruppi, la percentuale reputata congrua entro i limiti, minimo a massimo, stabiliti dal d.m. 30 maggio 2002.
Quindi, nell’ipotesi in cui l’incarico conferito al consulente tecnico d’ufficio in materia di estimo abbia ad oggetto la determinazione di una serie di beni immobili, la liquidazione del compenso deve essere condotto secondo il metodo seguente: ove vengano in questione immobili aventi caratteristiche uguali o analoghe, per definire le quali il consulente debba effettuare operazioni ripetitive, l’importo stimato è quello che attiene alla stima cumulativa di detto insieme; in presenza, invece, di una pluralità di immobili diversi tra loro, l’importo stimato è quello corrispondente ad ogni singola stima di immobile che abbia autonome caratteristiche valutative. Ogni importo stimato deve essere sempre contenuto nel limite del massimo scaglione di e 516.456,90 – 1.000.000.000, secondo l’art. 13 d.p.r. n. 352/1988 – salvo che, per i valori ad esso superiore, ove ne sussistano le condizioni, possa farsi ricorso all’applicazione dell’art. 5 della legge n. 319 del 1980 (Cass. 31 marzo 2006, n. 7632, Cass. 20 marzo 2009, n. 6892; in senso sostanzialmente conforme Cass. 17 aprile 2001, n. 5608).
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 1, seconda parte, d.m. 30 maggio 2002, per non avere il provvedimento impugnato tenuto conto, per la liquidazione, del riferimento al valore della controversia al fine della determinazione degli onorari a percentuale per la consulenza tecnica. Evidenzia che nel caso di specie il suo credito ammontava ad Euro 2.784,55, mentre la quota immobiliare di spettanza del debitore risultava essere pari a 1/20 dell’intera proprietà ed era stata stimata appena Euro 53.000,00.
Anche tale motivo è privo di fondamento.
L’art. 13 d.m. 30 maggio 2002 prevede che per la perizia e consulenza tecnica in materia di estimo spetti al perito o al consulente “un onorario a percentuale calcolato per scaglioni sull’importo stimato”. Per la determinazione del compenso al consulente tecnico d’ufficio, cui sia stato conferito l’incarico di valutare beni agli effetti dell’espropriazione forzata, si deve quindi ricorrere al sistema di liquidazione degli onorari a percentuale indicato dal d.m. 30 maggio 2002, tenendo conto del valore obiettivo dei beni, determinato in base al combinato disposto degli artt. 1 e 13 dello stesso (sul punto, con riferimento alla disciplina del d.p.r. n. 352/1988, recante la medesima previsione, cfr. Cass. 3 agosto 2001, n. 10670). Questa Corte ha del resto chiarito che, in tema di determinazione del compenso al consulente tecnico d’ufficio, la regola generale, secondo cui per la determinazione degli onorari a percentuale “si ha riguardo al valore della controversia”, non trova applicazione nei casi previsti dalle disposizioni, contenute nelle stesse tabelle, le quali, per le indagini svolte in alcuni particolari settori, prescrivono criteri di calcolo diversi (Cass. 27 ottobre 2005, n. 20874).
Con il terzo motivo il ricorrente si duole della violazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. per omessa, insufficiente, contraddittoria o, comunque, solo apparente o perplessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio. Sostiene, in particolare, che il tribunale avrebbe con motivazione lacunosa ritenuto giustificabile la liquidazione di distinti onorari per ciascuno degli immobili stimati, laddove in realtà si trattava di sette unità immobiliari ubicate in soli due edifici e che presentavano solo due classificazioni catastali.
Il motivo è infondato.
La decisione, sul punto, è sufficientemente argomentata (sotto i profili della coerenza logico-formale e della correttezza giuridica), avendo il giudice dell’opposizione inteso valorizzare tre aspetti differenziali: alcuni immobili avevano diverse destinazioni d’uso; per alcuni di essi si erano dovute effettuare stime con il metodo del valore di trasformazione; lo stato manutentivo degli stessi immobili non era identico per tutti.
Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione dell’articolo 10 l. n. 533/1973, ritenendo che erroneamente il tribunale avrebbe interpretato la predetta norma nel senso che essa escluda l’esenzione da ogni spesa per l’esecuzione forzata volta al recupero di crediti di lavoro.
Neppure detta censura coglie nel segno.
Già in passato, nella vigenza dell’art. 14 l. n. 533/1973, questa Corte aveva avuto modo di rilevare che le spese e gli onorari della consulenza tecnica di ufficio disposta nelle controversie individuali di lavoro non potessero ritenersi gravanti sullo Stato per effetto della sola previsione dell’art. 10 della legge 11 agosto 1979 n. 533, secondo il quale “le spese relative ai giudizi sono anticipate dagli uffici giudiziari e poste a carico dell’erario”: ciò in quanto il successivo art. 14 ricollegava siffatta anticipazione e l’annotazione a debito degli onorari all’ammissione al patrocinio a spese dello Stato della quale, appunto, esse, costituivano un effetto (Cass. 4 settembre 1981, n. 5044). La proposizione mantiene oggi la sua validità, tenuto conto della disciplina introdotta dall’art. 8, 2 co. d.p.r. n. 115/2002, che configura una analoga esenzione delle dette spese, nelle forme dell’anticipazione dall’erario e dalla prenotazione a debito, nel caso di ammissione al gratuito patrocinio.
Proprio prendendo in esame l’art. 10 l. n. 533/1973 e valorizzando la disposizione di cui all’art. 8 d.p.r. n. 115/2012 si è rilevato, di recente, che l’esenzione da singole imposte (come quelle di bollo e di registro) e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie prevista per processi di particolare natura, che coinvolgono certe categorie di soggetti o che afferiscono a particolari rapporti, è disciplina di carattere eccezionale con cui lo Stato rinuncia alla riscossione di alcune imposte al fine di agevolare l’accesso alla tutela giurisdizionale; come tale, quindi, non è suscettibile d’interpretazione analogica od estensiva, cosicché i benefici previsti non possono essere applicati ad ogni spesa processuale inerente all’istruttoria, in relazione allo svolgimento di attività da parte di ausiliari del giudice od a quella difensiva svolta dalla parte; pertanto, l’esenzione dall’imposta di bollo, o di registro, prevista da alcune norme specifiche per alcuni processi riguarda esclusivamente gli aspetti tributari ivi regolamentati, mentre per quanto concerne il pagamento delle spese degli atti processuali compiuti dalla parte o disposti dal magistrato, questo è disciplinato dall’art. 8 d.p.r. n. 115 del 2002, che prevede l’esenzione da dette spese solo in caso di ammissione al gratuito patrocinio (cfr. Cass. 22 marzo 2013, n. 7294).
Non conferente appare, infine, il richiamo alla pronuncia di C. cost. 6 luglio 2001 n. 227, che si è occupata dell’estensione dell’esenzione prevista dall’art. 10 L. n. 533 cit. all’azione revocatoria proposta dal creditore di lavoro, per assicurare la garanzia patrimoniale del proprio credito: quel che rileva, nella presente sede, è, infatti, la delimitazione dell’oggetto di tale esenzione, che, come si è detto, non ricomprende le spese processuali che devono essere rimborsate agli ausiliari del giudice.
In definitiva, il ricorso non merita accoglimento. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in 2.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.
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