Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 14 ottobre 2015, n. 41354
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Antonio – Presidente
Dott. DAVIGO Piercamillo – Consigliere
Dott. CERVADORO Mirella – Consigliere
Dott. VERGA Giovann – rel. Consigliere
Dott. PELLEGRINO Andrea – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) S.P.A.;
avverso l’ordinanza n. 4/2015 TRIB. LIBERTA’ di CAGLIARI, del 30/01/2015;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. VERGA GIOVANNA;
sentite le conclusioni del PG Dott. FODARONI Maria G., per l’inammissibilita’ del ricorso.
Udito il difensore Avv. (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ricorre per Cassazione, a mezzo del difensore, la (OMISSIS) Spa in persona le legale rappresentante (OMISSIS) avverso l’ordinanza pronunciata dal tribunale del riesame di Cagliari che in data 30.1.2015 ha confermato il decreto di sequestro preventivo del GIP del locale tribunale finalizzato alla confisca per equivalente dei beni della (OMISSIS) S.p.A. fino alla concorrenza dell’importo di euro 437.075, 10 in relazione al reato di cui all’articolo 81 c.p., articolo 61 c.p., n. 9, articolo 640 c.p., comma 2 e articolo 356 c.p., comma 2.
Deduce il ricorrente:
1. erronea applicazione del Decreto Legislativo n. 23 del 2001 con riferimento agli articoli 5 e 6. Violazione dell’articolo 321 c.p.p.. Sostiene che la sussistenza dei gravi indizi di reato e’ stata sottovalutata dal Tribunale con conseguente carenza e vizio della motivazione sul punto.
2. violazione del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 47. Sostiene che non e’ stata seguita la procedura dettata dall’articolo 47. Sostiene che il GIP prima dell’emissione della misura avrebbe dovuto fissare il contraddittorio
3. violazione di legge con riferimento al Regio Decreto n. 260 del 1942, articolo 161, comma 6.
Rileva che la societa’ al momento dell’esecuzione del sequestro era in concordato in continuita’ e che la normativa fallimentare dispone il divieto di qualunque azione volta creare vincoli patrimoniali sulla societa’ in concordato essendo tutti i beni destinati alla migliore soddisfazione dei creditori. Appare pertanto in contrasto con la normativa speciale la possibilita’ che possa essere disposto il sequestro preventivo per equivalente sui beni che risultano in realta’ solo formalmente intestati alla (OMISSIS) essendo invece gia’ destinati ad altro soggetto.
Il ricorso e’ inammissibile alla stregua delle seguenti argomentazioni. In tema di riesame delle misura cautelari reali, nella nozione di “violazione di legge” per cui soltanto puo’ essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’articolo 325 c.p.p., comma 1, rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali; ne consegue che non possono essere dedotti con il predetto mezzo di impugnazione vizi della motivazione, atteso che nel predetto concetto di “violazione di legge”, come indicato nell’articolo 111 Cost. e articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e c), non rientrano anche la mancanza e la manifesta illogicita’ della motivazione, che sono invece separatamente previsti come motivo di ricorso (peraltro non applicabile al ricorso ex articolo 325 c.p.p.) dall’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), (Cass. SS.UU., 28.1.2004 n. 5876). Il sindacato demandato alla Corte di Cassazione in subiecta materia ha pertanto un orizzonte circoscritto, dovendo essere limitato, per espresso disposto normativo, alla assoluta mancanza di motivazione ovvero alla presenza di motivazione meramente apparente.
E la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo altresi’ di evidenziare (Cass. sez. 2 , 22.5.1997 n. 3513), con riferimento alla problematica del riesame delle misure cautelari, che il legislatore ha in tal modo inteso sanzionare l’elusione da parte del giudice del riesame del suo compito istituzionale di controllo “in concreto” del provvedimento impugnato, riconducibile alla prescrizione dell’obbligo di motivazione di cui all’articolo 125 c.p.p., comma 3, sanzionato a pena di nullita’, e dunque deducibile con ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c).
Deve aggiungersi che la verifica delle condizioni di legittimita’ della misura, da parte (prima) del Tribunale e (poi) della Corte di legittimita’, non puo’ tradursi in un’anticipata decisione della questione di merito, concernente la responsabilita’ del soggetto indagato, in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilita’ tra la fattispecie concreta e quella legale ipotizzata, mediante una valutazione prioritaria dell’antigiuridicita’ del fatto.
Non vi puo’ infatti essere alcun dubbio in ordine alla differenza dei presupposti necessari per l’applicazione delle misure cautelari personali e di quelle reali. In effetti, come e’ stato ribadito anche dalla Corte Costituzionale (vedi ordinanza n. 153 del 2007 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 324 c.p.p., in relazione all’articolo 111 Cost., comma 2, nella parte in cui limiterebbe i poteri del Tribunale del riesame alla verifica della sola astratta possibilita’ di sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato), per le misure cautelari reali non e’ richiesto il presupposto della gravita indiziaria, postulato, invece, in tema di cautele personali, in correlazione alla diversita’, pure di rango costituzionale, dei valori coinvolti.
Tale ratio si riflette anche sulla ampiezza del sindacato giurisdizionale relativo alla verifica della base fattuale richiesta per l’adozione delle misure cautelari, valendo il paradigma della qualificata probabilita’ di responsabilita’ nelle misure cautelari personali ed il diverso metro del fumus commissi delicti in tema di sequestri. Del resto una tale prospettiva interpretativa trova conforto anche nella interpretazione letterale delle norme che disciplinano l’applicazione delle misure cautelari perche’ l’articolo 321 c.p.p., non menziona gli indizi di colpevolezza fra le condizioni di applicabilita’ del sequestro, ne’ e’ possibile ritenere applicabile, come si e’ gia’ notato, alle misure cautelari reali l’articolo 273 c.p.p., dettato per le misure cautelari personali e non richiamato in materia di misure cautelari reali (vedi ex multis, oltre a SS.UU. penali 25 marzo 1993, Gifuni, gia’ citata, anche Cass. Sez. 6 penale, 9 luglio 1999 – 5 agosto 1999, n. 2672, CED 214185).
I principi enunciati non comportano, pero’, che il sindacato giurisdizionale operato dal Tribunale del riesame e dalla Corte di Cassazione sulla compatibilita’ tra la fattispecie concreta e quella legale debba essere meramente astratto e puramente cartolare, disancorato da ogni valutazione della effettiva situazione concreta.
La Corte costituzionale con la sentenza n. 48/1994 in tema di misure cautelari reali aveva gia’ affermato che “il controllo che il giudice e’ chiamato a operare e’ tutt’altro che burocratico, dovendosi invece incentrare sulla verifica della integrante dei presupposti che legittimano la misura”, precisando che “neppure e’ pero’ a dirsi che il controllo del giudice non possa in alcun modo spingersi all’esame del fatto per il quale si procede”. Sulla scia di queste importanti affermazioni, le Sezioni unite di questa Corte hanno meglio definito il potere del giudice in tema di sequestro probatorio o preventivo, affermando che il giudice, nel compiere il controllo di legalita’ che gli spetta, non deve limitarsi a “prendere atto” della tesi accusatoria, ma, senza spingersi sino a una verifica in concreto della sua fondatezza, deve valutare se gli elementi di fatto rappresentati consentono di sussumere l’ipotesi formulata in quella tipica, “tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull’esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando l’integralita’ dei presupposti che legittimano il sequestro” (Sez. Un. n. 23 del 20.11.1996, dep. 29.1.1997, Bassi, rv. 206657; Sez. Un. n. 7/2000).
E’ stato cosi’ affermato che l’unica differenza che corre tra giudice cautelare e giudice del merito e’ che il primo non ha poteri di istruzione e di valutazione probatoria, che sono incompatibili con la natura cautelare del giudizio, ma che tuttavia conserva in pieno il potere di valutare in punto di diritto se sulla base delle prospettazioni hic et inde dedotte ricorra il reato contestato. Si tratta di una valutazione provvisoria dettata dalla urgenza, che dovra’ essere approfondita dal giudice di merito dopo il compimento della istruzione probatoria, ma che deve essere reale, al fine di evitare che il controllo di garanzia del giudice sia vanificato, lasciando cosi’ al solo Pubblico Ministero il potere di espropriare unilateralmente, sia pure non a tempo indeterminato, diritti patrimoniali garantiti dalla Costituzione.
Nel caso di specie il giudice del riesame ha fatto corretta applicazione del principi espressi dando atto di avere esaminato e valutato gli elementi accusatori e quelli prospettati dalla difesa e all’esito di essere pervenuto alla affermazioni di sussistenza del fumus di cui ha dato conto nel provvedimento in questa sede censurato.
Cosi’ come correttamente richiamando la giurisprudenza di questa Corte (Cass. N. 20443 del 2007 Rv. 236846, N. 20216 del 2013 Rv. 256256 n. 25201 del 2014 Rv. 260352), condivisa da questo Collegio, che ritiene legittimo il mantenimento del sequestro preventivo finalizzato alla confisca di beni di una societa’ nei cui confronti pende un procedimento per responsabilita’ amministrativa nascente da reato anche quando sopravviene a carico dell’ente una procedura concorsuale, poiche’ tale vicenda giuridica non sottrae al giudice penale il potere di valutare, all’esito del procedimento, se disporre la confisca, e, in caso positivo, con quale estensione e limiti, il Tribunale, sul presupposto in fatto che il decreto impugnato e’ stato emesso prima dell’ammissione al concordato, ha respinto la censura che il ricorrente reitera in questa sede con il 3 motivo.
Il secondo motivo e’ inammissibile perche’ nuovo non essendo mai stato sollevato in fase di merito.
Il ricorso e’ pertanto inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 da versare alla cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 alla cassa delle ammende.
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