cassazione 7

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 13 novembre 2015, n. 45298

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENTILE Mario – Presidente

Dott. TADDEI Margherita – Consigliere

Dott. DIOTALLEVI Giovanni – Consigliere

Dott. VERGA Giovanna – Consigliere

Dott. PELLEGRINO Andrea – est. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso proposto nell’interesse di:

(OMISSIS), n. a (OMISSIS), rappresentato e assistito dall’avv. (OMISSIS), di fiducia, avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna, prima sezione penale, n. 1475/2008, in data 28.06.2013;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; preso atto della ritualita’ delle notifiche e degli avvisi;

sentita la relazione della causa fatta dal consigliere Dott. Pellegrino Andrea;

udita la requisitoria del Sostituto procuratore generale Dott. Galli Massimo che ha concluso chiedendo di dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 28.06.2013, la Corte d’appello di Bologna confermava la pronuncia di primo grado resa dal Tribunale di Fori), in composizione monocratica, in data 14.01.2008, con la quale (OMISSIS) veniva dichiarato responsabile dei reati di cui all’articolo 648 c.p., (capi A e C), articolo 61 c.p., n. 2, articolo 576 c.p., n. 1, articolo 582 c.p., articolo 585 c.p., (capo B) e, ritenuta la contestata recidiva nonche’ il vincolo della continuazione, condannato alla pena di anni uno, mesi sei di reclusione ed euro 1.000,00 di multa.

2. Avverso detta sentenza, nell’interesse di (OMISSIS), viene proposto ricorso per cassazione, per i seguenti motivi: – inosservanza e/o erronea applicazione dell’articolo 648 c.p., (primo motivo);

– inosservanza e/o erronea applicazione dell’articolo 582 c.p., in relazione agli articoli 42 e 43 c.p., (secondo motivo);

– inosservanza e/o erronea applicazione dell’articolo 582 cod. pen. in relazione all’articolo 52 c.p., (terzo motivo);

– inosservanza degli articoli 517, 518, 521 e 177 c.p.p., articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera b), e articolo 179 c.p.p., (quarto motivo);

– inosservanza e/o erronea applicazione dell’articolo 62 bis c.p., (quinto motivo);

– inosservanza e/o erronea applicazione dell’articolo 133 c.p., sesto motivo);

– mancanza e/o contraddittorieta’ e/o manifesta illogicita’ della motivazione con riferimento al reato di ricettazione (settimo motivo).

2.1. In relazione al primo motivo, si censura la sentenza che ha condannato lo (OMISSIS) in relazione al capo A) pur in assenza di prova certa e non equivoca.

2.2. In relazione al secondo motivo, si censura la sentenza che ha condannato lo (OMISSIS) in relazione al capo B) pur in assenza di prova certa e non equivoca.

2.3. In relazione al terzo motivo, si censura la sentenza che ha ritenuto, in relazione al reato di cui al capo B) la ricorrenza della contestata aggravante, la cui verificata mancata ricorrenza, avrebbe dovuto indurre ad una pronuncia di non doversi procedere per mancanza della condizione di procedibilita’.

2.4. In relazione al quarto motivo, si evidenzia come non ricorressero elementi per consentire (come, invece, avvenuto) la contestazione in udienza del reato di cui al capo C), e questo principalmente per inesistenza del rapporto di connessione ex articolo 12 c.p.p., comma 1, lettera b). Assume il ricorrente come il reato concorrente suscettibile di contestazione da parte del pubblico ministero a norma dell’articolo 517 c.p.p., deve emergere per la prima volta dall’istruttoria dibattimentale perche’, se era gia’ a conoscenza del pubblico ministero nella fase delle indagini preliminari, la relativa contestazione suppletiva in giudizio costituisce una violazione della par condicio delle parti processuali; il pubblico ministero, nella fattispecie, avrebbe dovuto, ex articolo518 c.p.p., procedere alla contestazione del reato emerso in udienza nelle forme ordinarie, ossia richiedendo la trasmissione dei relativi atti al proprio ufficio.

2.5. In relazione al quinto motivo, si censura la sentenza che, del tutto inopinatamente, ha omesso di riconoscere allo (OMISSIS) le circostanze attenuanti generiche.

2.6. In relazione al sesto motivo, si censura la sentenza che ha quantificato la pena in concreto in termini di eccessiva onerosita’.

2.7. In relazione al settimo motivo, si censura la sentenza per manifesta contraddittorieta’ ed illogicita’ degli assunti non avendo i giudici di merito esplicitato le ragioni oggettive circa la presunta, ma in realta’ insussistente, inattendibilita’ della versione dei fatti riferita dall’imputato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, in larga parte contenente censure in fatto non consentite in sede di legittimita’ e di pure asserzioni, e’, in parte generico e, in parte manifestamente infondato e, in ogni caso, risulta inammissibile.

2. Va premesso che, secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte (cfr., per tutte, Sez. U, sent. n. 6402 del 30/04/1997, dep. 02/07/1997, Dessimone e altri, Rv. 207944), l’indagine di legittimita’ sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, perche’ il sindacato demandato alla Suprema Corte e’ limitato a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilita’ di verificare l’intrinseca adeguatezza e congruita’ delle argomentazioni di cui il giudice di merito si e’ avvalso per sostanziare il suo convincimento.

2.1. Dai poteri della Suprema Corte esula ogni “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, la cui valutazione e’, in via esclusiva, riservata al giudice di merito. In particolare, non puo’ integrare il vizio di legittimita’ la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu’ adeguata, valutazione delle risultanze processuali perche’, appunto, la Suprema Corte non puo’ sovrapporre una propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma invece puo’, e deve, saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione. Cio’, in quanto nel momento del controllo della motivazione, la Suprema Corte non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, ne’ deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se la giustificazione contenuta nella sentenza impugnata sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilita’ di apprezzamento (Sez. 4, sent. n. 4842 del 02/12/2003, dep. 06/02/2004, Elia ed altri).

2.2. Ne’ la novella codicistica introdotta con la I. n. 46 del 2006, ammettendo l’indagine extratestuale per la rilevazione dell’illogicita’ manifesta e della contraddittorieta’ della motivazione, ha modificato la natura del sindacato della Suprema Corte, il cui controllo rimane limitato alla struttura del discorso giustificativo del provvedimento impugnato e non puo’ comportare una diversa lettura del materiale probatorio, anche se astrattamente plausibile, sicche’ anche dopo la Legge n. 46 del 2006 occorre invece che gli elementi probatori indicati in ricorso (ignorati, inesistenti o travisati, non solo diversamente valutati) siano per se’ decisivi in quanto dotati di una intrinseca forza esplicativa tale da vanificare l’intero ragionamento del giudice del merito (Sez. 3, sent. n. 37006 del 27/09/1996, dep. 09/11/2006, Piras, Rv. 235508). Decisivita’ che deve essere oggetto di specifica e non assertiva deduzione della parte, in esito al confronto con tutta la motivazione della decisione impugnata, pena l’immediata “contaminazione” del rilievo in termini di preclusa censura di merito.

2.3. Il controllo di logicita’ della motivazione che sorregge la decisione di merito puo’, in secondo luogo, essere eseguito solo, come prima accennato, in riferimento ai tassativi vizi che esclusivamente rilevano in questo giudizio: la assenza di motivazione (anche nella forma della mera apparenza grafica), la “manifesta” illogicita’ e la contraddittorieta’, cosi’ come previsto dall’articolo606 c.p.p., comma 1, lettera e). Questo significa, ad esempio, che la mera ‘illogicita” della motivazione e’ irrilevante, perche’ strutturalmente diversa dalla “manifesta illogicita’”, vizio distinto dal precedente e unico rilevante. Infatti, l’illogicita’ della motivazione censurabile a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), e’ solo quella evidente, cioe’ di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi” (Sez. U, sent. 47289 del 24/09/2003, dep. 10/12/2003, Petrella).

2.4. Altrettanto irrilevanti, perche’ diverse da quelle tassativamente e solo previste dalla lettera e) sono, a titolo esemplificativo, le censure che attribuiscono alla motivazione di essere incongrua, non plausibile, non persuasiva, non esaustiva, insufficiente o insoddisfacente. Si tratta infatti di “difetti” e vizi che, ancorche’ in ipotesi effettivamente presenti nella motivazione del provvedimento impugnato, sono irrilevanti nel giudizio di legittimita’, che non possono pertanto efficacemente introdurre, perche’ propri dell’apprezzamento di stretto merito.

In sintesi conclusiva, va rilevato come il controllo di legittimita’ da parte di questa Corte non avviene verificando se quanto affermato dal giudice di merito corrisponda al contenuto degli atti, la cui conoscenza e’ di regola preclusa in questa sede, ma accertando se la motivazione del provvedimento impugnato risponda ai canoni fondamentali della logica; il che avviene se nel discorso non si rilevino contraddizioni e se lo stesso si sviluppi attraverso passaggi consequenziali, compatibili con il senso comune e nei limiti di una plausibile opinabilita’ di apprezzamento.

3. Assertivo e manifestamente infondato e’ il primo motivo di doglianza.

A fronte di una motivazione fondata su una coerente analisi critica degli elementi di prova e sulla loro coordinazione in un organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di adeguata plausibilita’ logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della sufficienza, rispetto al tema di indagine concernente la responsabilita’ del ricorrente in ordine ai delitti al medesimo contestati, quest’ultimo propone una rilettura dei fatti introducendo, in modo non consentito, temi del tutto diversi da quelli emergenti dalla ricostruzione – vincolante perche’ esente da vuoti logici – resa nel doppio giudizio di conformita’ operato dai giudici del merito. La censura finisce cosi’ per assumere i toni tipici, ed altrettanto inammissibili, delle valutazioni alternative rispetto a quelle segnalate in sentenza non adeguatamente supportate dall’indicazione dei profili di manifesta illogicita’ del motivare della Corte destinati ad inficiarne il portato.

4. Manifestamente infondato e’ il secondo motivo di doglianza. Anche in questo caso il ricorrente propone una non consentita rilettura dei fatti del tutto ignorando come, anche sul punto, la motivazione della sentenza impugnata superi ampiamente il vaglio di legittimita’ demandato a questa Corte, alla quale non e’ – per le ragioni dinanzi esposte – consentito di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti finalizzata ad una ricostruzione dei medesimi in termini diversi da quelli fatti propri dal giudice del merito.

5. Del tutto assertivo e, come tale, inammissibile e’ il terzo motivo di doglianza.

Utilizzando un metodo del tutto apodittico, il ricorrente non spiega le ragioni per le quali dovrebbe escludersi l’aggravante contestata con riferimento al reato di cui al capo B): la circostanza non consente di fatto l’esame del motivo e finisce per non superare lo scrutinio di ammissibilita’.

6. Manifestamente infondato e’ il quarto motivo di doglianza. Secondo il prevalente ed ormai consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Suprema Corte, in tema di nuove contestazioni, la modifica dell’imputazione di cui all’articolo 516 c.p.p., e la contestazione di un reato concorrente o di una circostanza aggravante di cui all’articolo 517 c.p.p., possono essere effettuate all’esito dell’istruttoria dibattimentale anche nel caso in cui nel corso della medesima non siano emersi elementi di prova diversi da quelli di cui il pubblico ministero disponeva al momento dell’esercizio dell’azione penale (cfr., tra le tante, Sez. 6, sent. n. 44501 del 29/10/2009, dep. 19/11/2009, Cardella, Rv. 245006; Sez. 5, sent. n. 16989 del 02/04/2014, dep. 16/04/2014, Costa, Rv. 259857).

6.1. Peraltro, se e’ doveroso riconoscere che nella giurisprudenza di questa Corte, esiste anche un orientamento (minoritario) secondo cui sarebbe preclusa al pubblico ministero la possibilita’ di procedere a contestazioni suppletive fondate su elementi gia’ acquisiti nelle indagini preliminari e non gia’ emersi per la prima volta nel corso dell’istruttoria dibattimentale, ritiene il Collegio di dover aderire all’opposto e maggioritario indirizzo interpretativo – avallato anche dall’autorevole opinione delle Sezioni Unite – per cui la contestazione di un reato concorrente o di una circostanza aggravante di cui all’articolo 517 c.p.p., possono essere effettuate dopo l’avvenuta apertura del dibattimento e prima dell’espletamento dell’istruzione dibattimentale, e dunque anche sulla sola base degli atti gia’ acquisiti dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari (Sez. U, sent. n. 4/99 del 28/10/1998, Barbagallo, Rv. 212757). In tal senso, come ribadito da questa Corte, va infatti osservato che la contestazione di un reato concorrente o di una circostanza aggravante e’ consentita sulla base anche dei soli elementi gia’ acquisiti in fase di indagini preliminari, non soltanto perche’ non vi e’ alcun limite temporale all’esercizio del potere di modificare l’imputazione in dibattimento, ma anche perche’, da un lato, nel caso di reato concorrente, il procedimento dovrebbe retrocedere alla fase delle indagini preliminari e, dall’altro, nel caso di circostanza aggravante, la mancata contestazione nell’imputazione originaria risulterebbe irreparabile, essendo la medesima insuscettibile di formare oggetto di un autonomo giudizio penale (Sez. 2, sent. n. 3192 del 08/01/2009, Caltabiano, Rv. 242672). 6.2. Ne’ l’iniziativa del pubblico ministero poteva ritenersi inammissibile perche’ assunta all’esito dell’istruttoria dibattimentale e non prima dell’inizio di questa, come sostenuto nel ricorso. In ogni caso, le pronunzie in senso contrario, nell’affermare la legittimita’ della contestazione suppletiva svolta prima dell’inizio dell’istruttoria dibattimentale, non hanno inteso circoscrivere tassativamente a tale fase l’ambito in cui potrebbe essere esercitato il relativo potere quando la contestazione si basi su elementi gia’ acquisiti, ma piu’ semplicemente smentire l’obiezione fondata sul testo dell’articolo 517 c.p.p., per cui il pubblico ministero potrebbe procedere a contestazione suppletiva solo qualora l’istruzione dibattimentale sia stata gia’ avviata.

6.3. Del resto, una volta che l’esercizio del diritto di difesa sulla nuova contestazione risulta comunque adeguatamente garantito nelle forme stabilite dall’articolo 519 c.p.p., sarebbe del tutto illogico limitare l’intervento correttivo o integrativo dell’imputazione alla fase degli atti preliminari del dibattimento dopo aver riconosciuto la sua ammissibilita’ sulla base delle ragioni sopra ricordate.

6.4. Quanto alla potenziale lesione del diritto dell’imputato di accedere ai riti alternativi che in tal modo si determinerebbe, l’argomento e’ manifestamente infondato. Anche volendo condividere l’indirizzo che nega l’ammissibilita’ di richieste “parziali” di abbreviato nei procedimenti oggettivamente cumulativi, non v’e’ chi non veda come la contestazione ab initio dell’aggravante non avrebbe mutato la situazione dell’imputato, che in ogni caso avrebbe dovuto chiedere di accedere al rito in relazione a tutti i reati oggetto di contestazione. Peraltro, deve rilevarsi come nella fattispecie nemmeno puo’ ritenersi che quella svolta dal pubblico ministero fosse una effettiva contestazione suppletiva. Infatti, la seconda ricettazione – come riconosciuto dalla Corte territoriale – risulta palesemente connessa ex articolo 12 c.p.p., lettera b), agli altri reati, anche per la contiguita’ temporale, essendo gia’ state dal primo giudice correttamente poste tutte le condotte in continuazione tra loro.

7. Manifestamente infondato e’ il quinto motivo di doglianza.

In merito al diniego delle circostanze attenuanti generiche (nemmeno richieste in appello), la Corte territoriale rende adeguata motivazione riconoscendo come lo (OMISSIS) sia gravato da numerosi precedenti per violenza privata, armi, truffa, favoreggiamento della prostituzione, furto in appartamento, altro furto aggravato (cfr., Sez. 2, sent. n. 13226 del 20/02/2014, dep. 21/03/2014, Nobilini, in fattispecie nella quale si e’ ritenuta congruamente motivato il diniego delle circostanze attenuanti generiche sulla base della ricorrenza di soli precedenti penali).

8. Manifestamente infondato e’ il sesto motivo di doglianza. Trattasi, anche in questo caso, di censura del tutto assertiva non avendo il ricorrente spiegato per quali ragioni la pena inflitta debba considerarsi eccessivamente onerosa.

A fronte di cio’, la sentenza di primo grado riconosce la correttezza del procedimento di dosimetria effettuato dal giudice di prime cure richiamando i criteri di cui all’articolo 133 c.p., (cfr., Sez. 6, sent. n. 9120 del 02/07/1998, dep. 04/08/1998, Urrata S. e altri, Rv. 211582, secondo cui deve ritenersi adempiuto l’obbligo di motivazione del giudice di merito sulla determinazione in concreto della misura della pena allorche’ siano indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell’ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all’articolo 133 c.p.).

9. Generico e manifestamente infondato e’ il settimo motivo di doglianza.

Ferme le considerazioni precedentemente esposte nei paragrafi 3 e 4 del considerato in diritto, rileva il Collegio come, anche alla luce della nuova formulazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), dettata dallaLegge 20 febbraio 2006, n. 46, il sindacato del giudice di legittimita’ sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la relativa motivazione sia: a) “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non “manifestamente illogica”, ovvero sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilita’ logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non logicamente “incompatibile” con altri atti del processo, dotati di una autonoma forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilita’ cosi’ da vanificare o radicalmente inficiare sotto il profilo logico la motivazione (Sez. 6, sent. n. 10951 del 15/03/2006, dep. 29/03/2006, Casula, Rv. 233708).

9.1. Nell’affermare tale principio, la Corte ha precisato che il ricorrente, che intende dedurre la sussistenza di tale incompatibilita’, non puo’ limitarsi ad addurre l’esistenza di “atti del processo” non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione o non correttamente interpretati dal giudicante, ma deve invece identificare, con l’atto processuale cui intende far riferimento, l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione adottata dal provvedimento impugnato, dare la prova della verita’ di tali elementi o dati invocati, nonche’ dell’esistenza effettiva dell’atto processuale in questione, indicare le ragioni per cui quest’ultimo inficia o compromette in modo decisivo la tenuta logica e l’interna coerenza della motivazione). 9.2. Non e’ dunque sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente “contrastanti” con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante e con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilita’ ne’ che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione piu’ persuasiva di quella fatta propria dal giudicante. Ogni giudizio, infatti, implica l’analisi di un complesso di elementi di segno non univoco e l’individuazione, nel loro ambito, di quei dati che – per essere obiettivamente piu’ significativi, coerenti tra loro e convergenti verso un’unica spiegazione – sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento. E’, invece, necessario che gli atti del processo richiamati dal ricorrente per sostenere l’esistenza di un vizio della motivazione siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilita’, cosi’ da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione: dimostrazione che il ricorrente non e’ stato in alcun modo in grado di offrire finendo anche in questo caso per non superare lo scrutinio di ammissibilita’ della censura.

10. Ne consegue l’inammissibilita’ del ricorso e, per il disposto dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche’ al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.

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