Cassazione 3

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 13 novembre 2014, n. 24214

Ritenuto in fatto

1. – Con atto di citazione del novembre 1984 P.G. conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Messina, P.M. , S. , M.T. e V. , nonché F.A. , G. e M.T. .
Esponeva l’attrice di avere ereditato dai genitori, unitamente ai fratelli, un appartamento in (omissis) , e di avere, sin dall’apertura della successione (risalente al marzo 1960), posseduto in via esclusiva ed uti domina l’immobile in questione.
Chiedeva pertanto che fosse dichiarata la sua proprietà esclusiva dell’appartamento a seguito dell’intervenuta usucapione.
Si costituivano i convenuti P. , che contestavano la domanda, deducendo che non solo l’attrice aveva abitato l’immobile per loro concessione, ma che anch’essi in determinati periodi lo avevano liberamente utilizzato.
Espletata prova testimoniale, si costituivano tardivamente i convenuti F. , i quali dichiaravano di aderire alle domande proposte dall’attrice.
Con sentenza in data 6 marzo 2003 il Tribunale rigettava la domanda.
2. – Con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 21 gennaio 2009, la Corte d’appello di Messina ha rigettato l’appello principale di P.G. e, in accoglimento dell’appello incidentale di P.F. , S. e M.T. , ha condannato P.G. al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio.
La Corte territoriale ha rilevato che la P. non risulta aver esercitato sull’appartamento alcun potere di fatto inconciliabile con l’altrui compossesso, dato che l’utilizzazione esclusiva dell’immobile da parte di uno dei compossessori di per sé non preclude agli altri di farne uso se e quando lo desiderino; e che la prova testimoniale ha permesso di accertare che, nel periodo in esame, gli altri possessori hanno, se pure saltuariamente ed episodicamente, utilizzato l’immobile liberamente e senza essere in alcun modo ostacolati.
3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello P.G. ha proposto ricorso, con atto notificato il 6 aprile 2009, sulla base di tre motivi.
P.M.T. , F. e S. hanno resistito con controricorso, mentre gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Considerato in diritto

1. – Con il primo mezzo (violazione e falsa applicazione dell’art. 1158 cod. civ.) ci si duole che la Corte d’appello abbia errato nel ritenere insussistente agli atti del giudizio la prova di un uso esclusivo del bene immobile in controversia in capo all’attrice. Il motivo è accompagnato dal seguente quesito di diritto: “Può escludersi un possesso idoneo all’usucapione in capo ad un soggetto che, detenendo in via esclusiva un immobile di quattro vani ed accessori per averne sempre avuto in via esclusiva il possesso delle chiavi, lo destini a propria abitazione e, possedendolo per oltre venti anni continuativamente ed indisturbatamente in danno dei propri coeredi (titolari indivisamente di altre sei quote di proprietà virtuale), ne impedisca a questi ultimi un concorrente uso: uso di fatto comunque impedito dalla obiettiva impossibilità di un continuo, stabile e contestuale godimento da parte degli stessi, avuto riguardo alla ridotta consistenza dell’immobile ed al tipo di utilizzazione imposto dal possessore esclusivo? Può escludersi un tale possesso del comportamento del soggetto che, nel periodo in contestazione, ha eseguito lavori di completa ristrutturazione dell’immobile, quali, oltre al rifacimento integrale del vano destinato a servizi igienici, la sostituzione di un solaio, elemento strutturale di primaria importanza che connota la stessa esistenza dell’immobile; e ciò con un notevolissimo impiego di risorse economiche che appare incompatibile con il compimento di un mero atto di gestione del bene?”.
Con il secondo mezzo (violazione e falsa applicazione dell’art. 1144 cod. civ.) si pone il quesito se possa “configurarsi come pretesa possessoria il godimento, di modesta portata, di un bene immobile (costituito da un appartamento di quattro vani ed accessori) che incida molto debolmente sull’esercizio del diritto da parte dell’effettivo possessore che utilizza quel bene quale propria abitazione e, pertanto, con residuale, minima o quasi inesistente capacità di concomitante, autonomo utilizzo per la medesima destinazione, da parte di un terzo, soprattutto quando quel godimento tragga origine da rapporti di familiarità o da rapporti di ospitalità, sanzionati dalla consuetudine”.
1.1. – I motivi – i quali, stante la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati.
In tema di compossesso, il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei compossessori non è, di per sé, idoneo a far ritenere lo stato di fatto cosi determinatosi funzionale all’esercizio del possesso ad usucapionem e non anche, invece, conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte dell’altro compossessore, risultando necessario, a fini della usucapione, la manifestazione del dominio esclusivo sulla res communis da parte dell’interessato attraverso un’attività durevole, apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l’onere della relativa prova su colui che invochi l’avvenuta usucapione del bene (Cass., Sez. II, 20 settembre 2007, n. 19478). In particolare, il coerede che dopo la morte del de cuius sia rimasto nel possesso del bene ereditario, può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri eredi, senza necessità di interversione del titolo del possesso; a tal fine, egli, che già possiede animo proprio ed a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, il che avviene quando il coerede goda del bene in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus, non essendo sufficiente che gli altri partecipanti si astengano dall’uso della cosa comune (Cass., Sez. II, 25 marzo 2009, n. 7221).
A tale principio si è attenuta la Corte d’appello.
Nel confermare il rigetto della domanda di usucapione avanzata da P.G. , i giudici del gravame hanno infatti rilevato, con congruo apprezzamento delle risultanze di causa, che costei non ha esercitato alcun potere di fatto inconciliabile con l’altrui compossesso, giacché, nel ventennio, anche gli altri possessori hanno, seppure saltuariamente ed episodicamente, utilizzato l’immobile liberamente e senza essere in alcun modo ostacolati.
In questo contesto, non ha valore decisivo la circostanza che P.G. si sia occupata della ristrutturazione dell’immobile in cui ella viveva, provvedendo al pagamento dei relativi lavori, giacché allorché un coerede utilizzi ed amministri un bene ereditario provvedendo, tra l’altro, ad eseguirvi lavori od opere, sussiste la presunzione iuris tantum che egli agisca in tale qualità e che anticipi le spese anche relativamente alla quota degli altri coeredi: il coerede che invochi l’usucapione ha l’onere di provare che il rapporto materiale con il bene si è verificato in modo da escludere gli altri coeredi dalla possibilità di instaurare un analogo rapporto con il bene ereditario (Cass., Sez. II, 12 aprile 2002, n. 5226).
Quanto, poi, alla deduzione che il possesso degli altri coeredi sarebbe stato esercitato per spirito di tolleranza, si tratta di un richiamo non pertinente agli atti di tolleranza di cui all’art. 1144 cod. civ.: posto che nella specie i fratelli erano compossessori del bene e che l’utilizzo del bene da parte degli stessi costituiva esercizio di un compossesso di cui essi già godevano in forza della successione al comune dante causa.
La complessiva censura si risolve nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto si come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, cosi mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dal giudice di appello non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consone ai propri desiderata, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa potessero ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità.
2. – Con il terzo motivo (omessa motivazione circa un fatto controverso, decisivo per il giudizio) la ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia respinto anche la declaratoria della maturata usucapione spiegata in relazione alla quota di immobile per la quale i diretti interessati F. avevano dichiarato giudizialmente l’adesione alla domanda dell’attrice.
2.1. – Il motivo è infondato.
In nessuna parte del ricorso la ricorrente precisa di avere proposto domanda, in via subordinata, diretta ad ottenere la dichiarazione di acquisto di usucapione relativamente solo alla quota degli altri comproprietari rimasti contumaci nel giudizio. La considerazione, di per sé giuridicamente corretta, secondo cui è ammissibile l’usucapione della proprietà soltanto di una quota di un bene indiviso, lasciando impregiudicata la quota di altro comproprietario, non elimina infatti la necessità che una tale pretesa venga esplicitata mediante la formulazione di un’apposita e specifica domanda in giudizio. Né in contrario può argomentarsi che tale richiesta sia compresa nella domanda di usucapione di tutte le altre quote, comportando una mera riduzione del petitum originario, una volta considerato che essa comporta anche una modifica del fatto costitutivo, che da una situazione di possesso esclusivo viene trasformato in quella di compossesso. A ciò si aggiunga che il ricorso nemmeno precisa quale sarebbe la quota o le quote degli altri comproprietari nei cui confronti dovrebbe essere dichiarata l’usucapione, sicché la domanda appare indeterminata anche con riguardo al petitum immediato (Cass., Sez. II, 6 dicembre 2011, n. 26241).
3. – Il ricorso è rigettato; e la sua infondatezza assorbe l’esame dell’eccezione preliminare di inammissibilità sollevata dai controricorrenti per la mancata notifica del ricorso a P.M. e V. .
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna, la ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, che liquida in complessivi Euro 2.700, di cui Euro 2.500 per compensi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

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