cassazione 8

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 13 marzo 2015, n. 10746

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMMINO Matilde – Presidente
Dott. GALLO Domenico – Consigliere
Dott. CERVADORO Mirella – rel. Consigliere
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere
Dott. RECCHIONE Sandra – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 921/2010 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del 04/02/2014;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/11/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. MIRELLA CERVADORO;
Udita la requisitoria del sostituto procuratore generale, nella persona del Dott. Baldi Fulvio, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
Udito il difensore avv. (OMISSIS) che ha concluso chiedendo, in primo luogo, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata sulla scorta degli atti depositati con la memoria del 13.11.14; in subordine, chiede l’accoglimento del ricorso.
 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 
Con sentenza del 29.10.2009, il Gup presso il Tribunale di Forli’ dichiaro’, a seguito di rito abbreviato, (OMISSIS) responsabile del reato di riciclaggio di cui all’articolo 648 bis c.p. per aver compiuto operazioni tali da ostacolare l’identificazione della provenienza e trasferito (e subito dopo prelevato) somme di danaro (pari a lire 1.303.404.000) provenienti dal delitto di dichiarazione infedele, di omessa dichiarazione, di occultamento e distruzione di documenti contabili Decreto Legislativo n. 74 del 2000, ex articoli 4, 5, e 10 e di appropriazione indebita aggravata, su conti riferibili a lui e ai figli, provenienti da una societa’ inesistente che fungeva da societa’ cartiera, poiche’ priva di contabilita’, operativita’, sede e reale rapporto legale, e – concesse le attenuanti generiche, diminuita la pena per la scelta del rito – lo condanno’ alla pena di anni quattro di reclusione ed euro 4000,00 di multa.
Avverso tale pronunzia propose gravame l’imputato, e la Corte d’Appello di Bologna, con sentenza del 4.2.2014, confermava la decisione di primo grado.
Dalla ricostruzione dei fatti di cui alle sentenze di merito emerge che, in data 23.2.2000, (OMISSIS) ebbe ad effettuare un versamento, sul proprio conto corrente personale acceso presso la (OMISSIS) di (OMISSIS), di 61 assegni circolari, tutti emessi su c/c intestati alla (OMISSIS) srl (societa’ di fatto inesistente, in quanto priva di qualsiasi struttura e contabilita’) nei confronti di terze persone (con nomi di fantasia) e da costoro apparentemente girati a favore di (OMISSIS) per la cifra complessiva di lire 303.400.000. Ulteriori 750.000.000 di lire in assegni circolari, addebitati sempre sul conto della (OMISSIS) s.r.l., venivano girati dai primi intestatari al (OMISSIS) e da questi versati sul conto (OMISSIS) intestato al (OMISSIS) s.a., societa’ di cui l’imputato era presidente ed amministratore delegato, e su quelli intestati ai due figli dell’imputato. Tutti gli assegni circolari venivano emessi dalla (OMISSIS) s.r.l senza clausola di non trasferibilita’, per importi inferiori ai 20.000.000 di lire, e versati tutti in un arco temporale molto ristretto. Subito dopo i versamenti venivano effettuati prelievi in contanti per somme affatto simili a quanto versato.
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato deducendo: 1) erronea applicazione dell’articolo 20 c.p.p. ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) per difetto di giurisdizione dell’Autorita’ giudiziaria italiana, in quanto il reato si e’ perfezionato in (OMISSIS). Gli assegni sono stati infatti posti all’incasso con versamento su un conto sanmarinese intestato alla societa’ (OMISSIS), e solo i reati fiscali presupposti sono stati commessi in Italia. La circostanza che gli assegni fossero stati emessi da una societa’ avente sede in Italia non implica compilazione e consegna al (OMISSIS) in Italia; 2) erronea applicazione dell’articolo 648 bis c.p. ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b in relazione alla qualificazione giuridica dei fatti (riciclaggio e non ricettazione). Se infatti non puo’ dubitarsi che il versamento in banca di danaro contante, stante la fungibilita’ del bene, ne realizzi automaticamente la sostituzione – con integrazione del delitto di riciclaggio – lo stesso non puo’ automaticamente dirsi per l’attivita’ di versamento, ed eventuale successiva monetizzazione di assegni. In tale azione manca una condotta idonea ad ostacolare l’accertamento della reale origine della res, atteso che la provenienza del titolo di credito resta comunque ricavabile dal numero di serie dello stesso. E nella fattispecie, come emerge dalla consulenza tecnica svolta nell’ambito del procedimento penale n. 5168/01 della Procura della Repubblica di Torino non si e’ verificato alcun trasferimento di ingenti capitali da un fiduciario ad un altro. E quindi non vi e’ stata alcuna attivita’ dissimulatoria; 3) mancanza e manifesta illogicita’ della motivazione ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera e) in relazione ai motivi d’appello rubricati sub nn.2 e 3. La Corte ha affermato la responsabilita’ dell’imputato motivando esclusivamente sulla sussistenza dell’elemento oggettivo del reato, cosi’ trascurando le argomentazioni difensive e l’analisi dell’elemento psicologico del reato. Nel secondo motivo d’appello si evidenziava che, nella maggior parte dei casi, i versamenti degli assegni di cui all’imputazione non erano stati seguiti da prelevamenti per importi superiori e che, di conseguenza, non era affatto individuabile una percentuale costante tra importi versati e importi prelevati o accantonati. Tale circostanza avrebbe dovuto indurre a riconoscere nelle azioni contestate finalita’ diverse da quelle del riciclaggio. Nell’atto di appello si dava, quindi, rilievo al fatto che il versamento dei titoli di credito fosse avvenuto in parte anche sui conti correnti personali dell’imputato e di quelli dei suoi figli, persino con modalita’ palesemente anzi grossolanamente inidonee ad aggirare la normativa antiriciclaggio. Si lamentava altresi’ (motivo n.3) che fosse destituita di fondamento la ritenuta vocazione riciclatoria della condotta del (OMISSIS) e, invece, specularmente, accreditata l’ipotesi che i versamenti fossero stati effettuati al fine di monetizzare il corrispettivo e, dunque, con concreto intento di lucro. Scopo che costituisce elemento essenziale della fattispecie di cui all’articolo 648 c.p., nella quale si chiedeva che i fatti venissero riqualificati. E su tali motivi la Corte ha risposto in modo insufficiente e totalmente illogico; 4) l’errata applicazione di norme della legge penale e mancanza, contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e) in ordine alla mancata concessione dell’ attenuante di cui all’articolo 648 bis c.p., comma 3. Nei motivi era stato evidenziato che, pur essendo la mancanza di scritture contabili riconducibile tanto all’ipotesi dell’occultamento/distruzione quanto a quella dell’omessa tenuta, quest’ultima ipotesi appariva maggiormente probabile nel caso di specie essendo la (OMISSIS) s.r.l. societa’ di fatto inesistente. La previsione della circostanza attenuante di cui all’articolo 648 bis c.p., comma 3 costituisce elemento negativo dell’ipotesi ordinaria di riciclaggio, si’ da imporre, per la configurabilita’ di quest’ultima, un accertamento piu’ approfondito rispetto alla mera provenienza delittuosa, che deve risultare qualificata dalla presenza di reati presupposti di gravita’ superiore rispetto a quelli richiamati dal comma 3. La motivazione della Corte sul punto e’ insufficiente e illogica.
Allega al ricorso, oltre all’atto di appello e alla nomina del difensore, l’estratto della consulenza tecnica svolta dalla Procura della Repubblica di Torino, e la sentenza del Gup del Tribunale di Forli’ del 29.10.2009.
Chiede pertanto l’annullamento della sentenza.
Il data 13.11.2014, il difensore del ricorrente deposita memoria, nella quale si rileva che i reati ipotizzati d’iniziativa dalla Guardia di Finanza (Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articoli 4, 5 e 10) sono stati sin dall’origine dalla Procura di Bergamo diversamente qualificati, essendosi proceduto per i delitti puniti dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articoli 2 e 8, e che il procedimento iscritto nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e’ stato archiviato (nei confronti del (OMISSIS), indagato per il reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 8, per essere i reati estinti per morte della persona indagata). Allega alla memoria richiesta e provvedimento di archiviazione del procedimento n. 5752/02 nonche’ copia delle iscrizioni di cui all’articolo 5752/02.
 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 
1. Il primo motivo di ricorso e’ infondato.
Pienamente coerente con la prospettazione, riscontrata dalla correlativa base probatoria del quadro storico fattuale delle sentenze di merito (secondo cui il (OMISSIS) si e’ “interposto a valle dei versamenti e prelievi di denaro effettuati – senza alcuna documentazione o possibile ragione lecita – dalla (OMISSIS) srl cosi’ ostacolandone oggettivamente la tracciabilita’ e la ricostruibilita’), deve ritenersi il rigetto dell’eccezione difensiva sollevata in ordine all’ipotizzato difetto di giurisdizione, in quanto la societa’ emittente i titoli poi versati dal (OMISSIS) (sui conti correnti facenti capo a lui e ai suoi figli) aveva sede e domicilio fiscale in Italia, e la banca su cui erano tratti gli assegni circolari in questione aveva sede e filiale operativa in Italia. Secondo la consolidata linea interpretativa tracciata da questa Suprema Corte, ai fini dell’affermazione della giurisdizione italiana in relazione a reati commessi in parte all’estero, e’ infatti sufficiente che nel territorio dello Stato si sia verificato anche solo un frammento della condotta, che, seppur privo dei requisiti di idoneita’ e di inequivocita’ richiesti per il tentativo, sia apprezzabile in modo tale da collegare la parte della condotta realizzata in Italia a quella realizzata in territorio estero (v. Cass. Sez. 6, Sent. n. 16115/2012 Rv. 252507; Sez. 4, Sent. n. 44837/2012 Rv. 254968; Sez. 6, Sent. n. 13085/2013 (dep. 20/03/2014) Rv. 259486, in tema di riciclaggio commesso in parte all’estero). Risulta, infatti, pacificamente accertato che gli assegni siano stati (almeno in parte) ricevuti in Italia, come si rileva dal fatto non solo che la societa’ emittente i titoli aveva sede legale e fiscale in Italia, e che la banca su cui erano tratti gli assegni circolari in questione ( (OMISSIS) di (OMISSIS)) aveva sede e filiale operativa in Italia, ma altresi’ dalla circostanza che parte degli assegni circolari, emessi sul medesimo conto corrente della (OMISSIS) srl, sono stati posti all’incasso su un conto del (OMISSIS) in Italia.
2. Infondate anche le censure del secondo motivo, relative alla sussistenza dell’elemento oggettivo del reato di riciclaggio che argomentano, in particolare, sulla tracciabilita’ dei titoli di credito ricevuti dal (OMISSIS).
Secondo l’insegnamento di questa Corte, integra il reato di riciclaggio, ex articolo 648 bis c.p., il compimento di operazioni volte non solo ad impedire in modo definitivo, ma anche a rendere difficile l’accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilita’, attraverso un qualsiasi espediente che consista nell’aggirare la libera e normale esecuzione dell’attivita’ posta in essere (Cass. Sez. 2, Sent. n. 1422/2012 Rv. 254050; Sez. 2, Sent. n. 2818/2006 Rv. 232869; Sez. 6, Sent. n. 16980/2007 (dep. 24/04/2008) Rv. 239844). Considerato che il delitto di riciclaggio e’ a forma libera e potenzialmente a consumazione prolungata, attuabile anche con modalita’ frammentarie e progressive, questa Corte ha altresi’ statuito che integra di per se’ un autonomo atto di riciclaggio qualsiasi prelievo o trasferimento di fondi successivo a precedenti versamenti, ed anche il mero trasferimento di denaro di provenienza delittuosa da un conto corrente bancario ad un altro diversamente intestato, ed acceso presso un differente istituto di credito (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 546/2011 Rv. 249446), e cio’ pur in presenza di una completa tracciabilita’ dei flussi finanziari, atteso che, stante la natura fungibile del bene, per il solo fatto dell’avvenuto deposito, il denaro viene automaticamente sostituito, essendo l’istituto di credito obbligato a restituire al depositante il mero tantundem (cfr. Cass. Sez. 2, Sent. n. 47375/2009 Rv. 246434; Sez. 2, Sent. n. 13155/1986 Rv. 174380). Infatti, in tale fattispecie delittuosa non e’ necessario che sia efficacemente impedita la tracciabilita’ del percorso dei beni, essendo sufficiente che essa sia anche solo ostacolata (Cass. Sez. 2, Sent. n. 1422/2012, dep. 2013, Rv. 254050; Sez. 2, Sent. n. 3397/2012, dep. 2013, Rv. 254314).
Tanto premesso, rileva il Collegio che, nella fattispecie, e’ indiscusso che gli assegni circolari emessi su c/c intestati alla (OMISSIS) a favore di diversi soggetti, e quindi girati e consegnati al (OMISSIS) in virtu’ di un rapporto fiduciario, venivano versati su conti correnti dell’imputato in Italia e all’estero, “di una propria societa’ – peraltro avente sede a (OMISSIS) (con la conseguente e ben nota opacita’ di tracciabilita’) e dei propri figli, con quasi immediato prelievo delle somme cosi’ movimentate” (v.pag.5 della sentenza impugnata). Non v’e’ dubbio, pertanto, che le suddette operazioni di trasferimento degli ingenti capitali di cui ai numerosi assegni circolari, versati con le descritte modalita’, integrano gli estremi della condotta prevista e punita dall’articolo 648 bis c.p.; tali operazioni, prive di causa e di documentazione, nonche’ di giustificazione alcuna da parte del (OMISSIS) (che in una memoria allegata al verbale di interrogatorio, in cui si avvaleva della facolta’ di non rispondere, assumeva addirittura di ignorare il nominativo della (OMISSIS), di cui aveva movimentato somme ampiamente superiori al miliardo di lire), erano infatti certamente idonee a far perdere le tracce dei flussi finanziari in questione, e a ostacolare l’accertamento della provenienza illecita del denaro successivamente versato al beneficiario reale dell’operazione, consentendo altresi’ ai beneficiari reali delle operazioni di percepire denaro “pulito” in contanti in luogo dei capitali di cui agli assegni circolari chiaramente provenienti da delitto. Non puo’ dubitarsi, pertanto, della sussistenza dell’elemento oggettivo della condotta punibile per il reato di riciclaggio, ne’ la motivazione sul punto rivela alcuno dei vizi di illogicita’ denunciati in ricorso.
3. Parimenti infondato e’ il terzo motivo sulla qualificazione giuridica dei fatti, volto a censurare l’assenza di motivazione circa l’elemento psicologico del reato, e a sostenere la sussistenza del delitto di ricettazione (articolo 648 c.p.), anziche’ quello di riciclaggio (articolo 648 bis c.p.), sul presupposto che l’imputato avesse il dolo specifico dello scopo di lucro.
Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimita’, integra il delitto di riciclaggio la condotta di chi deposita in banca danaro di provenienza illecita, atteso che, stante la natura fungibile del bene, in tal modo lo stesso viene automaticamente sostituito con danaro “pulito” (Cass. Sez. 6, n. 43534/2012, Rv. 253795), senza necessita’ – come gia’ evidenziato – che le operazioni compiute siano volte ad impedire in modo definitivo l’accertamento della provenienza del denaro, essendo sufficiente a integrare il reato anche operazioni volte a rendere difficile tale accertamento. E’ stato quindi reiteratamente precisato che il delitto di riciclaggio si distingue da quello di ricettazione innanzitutto per quanto concerne l’elemento materiale, che si caratterizza nel riciclaggio per l’idoneita’ della condotta ad ostacolare l’identificazione della provenienza del bene, e poi per l’elemento soggettivo, che consiste nel primo nel dolo generico, mentre nella ricettazione fa riferimento al dolo specifico dello scopo di lucro (Cass. Sez. 2, Sent. n. 35828/2012, Rv. 253890).
Prima ancora di analizzare l’elemento soggettivo, correttamente i giudici del merito hanno proceduto all’inquadramento delle condotte dell’ imputato nella fattispecie di cui all’articolo 648 bis c.p. Il problema dell’elemento soggettivo non puo’ che porsi dopo la corretta individuazione della condotta, ritenuta dalla Corte idonea ad ostacolare l’identificazione della provenienza del denaro, con congrua e logica motivazione che rende pienamente ragione delle conclusioni raggiunte in punto di dolo. A riguardo, giudici hanno osservato che date le modalita’ dell’azione, gli importi elevati delle somme, il prevenuto non poteva ignorare che i capitali provenivano da reato, ovvero da reati fiscali, cosi’ come del resto dallo stesso confidato al direttore generale della banca di (OMISSIS) ove era acceso il conto corrente della (OMISSIS) (v.pag.6). E’ poi circostanza pacifica che il (OMISSIS) abbia ricevuto, con piu’ trasferimenti, senza documentazione di alcun titolo giuridico che giustifichi sotto il profilo legale il passaggio, le ingenti somme di denaro di cui agli assegni circolari in questione. Non v’e’ dubbio che si tratta di comportamenti sintomatici della piena consapevolezza della provenienza illecita del denaro e del conseguente dolo generico di trasformazione della cosa per impedirne l’identificazione (cfr Cass. Sez. 2, Sent. n. 50950/2013 Rv. 257982). Rileva, a riguardo, il Collegio che, in tema di riciclaggio, la scienza dell’agente in ordine alla provenienza dei beni da delitti puo’ essere desunta da qualsiasi elemento e sussiste quando gli indizi in proposito siano cosi’ gravi ed univoci da autorizzare la logica conclusione che i beni ricevuti per la sostituzione siano di derivazione delittuosa specifica, anche mediata (v. Cass. Sez. 2, Sent. n. 47375/2009 Rv. 246434; Sez. 6, Sent. n. 9090/1995 Rv. 202312). Del resto, secondo i piu’ recenti arresti di questa Corte nel delitto di riciclaggio, come nel delitto di ricettazione, l’elemento soggettivo puo’ essere integrato anche dal dolo eventuale quando l’agente si rappresenta la concreta possibilita’, accettandone il rischio, della provenienza delittuosa del denaro ricevuto ed investito (Cass. Sez. 2, Sent. n. 8330/2013 (dep. 21/02/2014) Rv. 259010).
Correttamente la Corte ha poi ritenuto che le imprudenze compiute dall’imputato nel versare e ritirare contestualmente o quasi somme ampiamente superiori a quelle che potevano sfuggire ai controlli antiriciclaggio possano valere ad escludere la volonta’ e consapevolezza di compiere azioni che in se’ erano chiaramente sintomatiche di illiceita’, come emergeva dai plurimi gravi, precisi e concordanti indizi illustrati in sentenza. Ne’ puo’ essere esclusa la sussistenza del delitto in contestazione, cosi’ come vorrebbe il ricorrente, per “l’omessa individuazione di un compenso per la condotta asseritamente riciclatoria compiuta dal (OMISSIS)”, che lasciava spazio a una ricostruzione della vicenda in termini alternativi rispetto al delitto previsto dall’articolo 648 bis c.p. essendo “accreditata l’ipotesi che i versamenti fossero stati effettuati al fine di monetizzare il corrispettivo e, dunque, con concreto intento di lucro”. Sul punto, la Corte territoriale ha logicamente motivato e ritenuto che la mancanza di prove circa il corrispettivo percepito dal (OMISSIS) non vale ad escludere anche sotto il profilo soggettivo la sussistenza del delitto in contestazione, in quanto sia l’elemento materiale del profitto che lo scopo di lucro non costituiscono elementi essenziali della fattispecie di cui all’articolo 648 bis c.p.. E’ infine indubbio che i versamenti fossero stati effettuati al fine di monetizzare gli importi di cui agli assegni circolari in parola, e l’elemento essenziale e dirimente ai fini della sussistenza del reato e alla corretta qualificazione giuridica dei fatti e’ proprio la rammentata idoneita’ della condotta ad ostacolare l’identificazione della provenienza del bene; in presenza di tale condotta, il concreto intento di lucro, supposto esistente dalla difesa, puo’ ben essere invocato a rafforzare l’elemento psicologico del reato di riciclaggio (con dolo generico e non specifico), ma non invece per escluderlo, cosi’ come vorrebbe il ricorrente, sulla base del presupposto che il dolo specifico, e quindi il fine di lucro, e’ richiesto per la sussistenza del reato di ricettazione, e non anche per quello di riciclaggio.
Ne’ in senso contrario puo’ essere utilmente invocata la giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. 2, Sent. n. 35828/2012 Rv. 253890) che, in una fattispecie ben diversa (nella quale agli imputati era contestato di avere formato ed usato documenti di identita’ falsi recanti le generalita’ dei beneficiari di assegni ricettati), ha ritenuto la sussistenza del delitto di ricettazione anziche’ quello di riciclaggio, in quanto la condotta era finalizzata soltanto alla riscossione di titoli e non era idonea ad impedire l’individuazione del reato presupposto ovvero la provenienza furtiva dell’assegno, comunque ricavabile del numero di serie dello stesso. E’ infatti del tutto evidente che – nel caso di specie – gli assegni circolari sono di provenienza lecita e l’attivita’ propedeutica al cambio o alla monetizzazione degli assegni medesimi era tesa ad ostacolare non la provenienza del tutto lecita degli assegni, bensi’ l’identificazione della provenienza (illecita) delle somme dagli stessi portate, transitate dapprima – senza causa alcuna – sui conti della (OMISSIS) s.r.l e quindi versate su altri conti tramite il fiduciario (OMISSIS).
4. Anche il quarto motivo e’ infondato. Orbene, per antica e costante giurisprudenza di questa Corte Suprema, da cui non si ritiene di doversi discostare, non e’ necessario che il delitto presupposto (rispetto sia alla ricettazione sia al riciclaggio) risulti accertato giudizialmente, e pertanto ai fini della configurabilita’ del reato di riciclaggio non si richiede l’esatta individuazione e l’accertamento giudiziale del delitto presupposto, essendo sufficiente che lo stesso risulti, alla stregua degli elementi di fatto acquisiti ed interpretati secondo logica, almeno astrattamente configurabile (v. Cass. Sez. 6, Sent. n. 28715/2013 Rv. 257206; Sez. 6, Sent. n. 495/2008, (dep 2009) Rv. 242374; Sez. 5, Sent. n. 36940/2008, Rv. 241581; Sez. 2, Sent. n. 546/2011, Rv. 249444; Sez. 4 n. 11303/97, dep. 9.12.97 Rv. 209393), e che il fatto costitutivo di tale delitto non sia stato giudizialmente escluso, nella sua materialita’, in modo definitivo e che il giudice procedente per il riciclaggio ne abbia incidentalmente ritenuto la sussistenza (v. Sez. 2, Sentenza n. 7795 del 19/11/2013 (dep. 19/02/2014) Rv. 259007).
Circa il reato presupposto, la Corte territoriale ha evidenziato la circostanza della mancanza di documentazione contabile logicamente riferibile all’occultamento o distruzione della stessa, condotte previste dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10, come dalle annotazioni della polizia giudiziaria in atti; e – poiche’ il reato presupposto e’ costituito da un delitto ostativo alla concessione dell’attenuante di cui all’articolo 648 bis c.p., comma 3 in quanto sanzionato con pena non inferiore nel massimo a cinque anni – ha rigettato la richiesta applicazione dell’attenuante in questione.
Ne’ puo’ essere automaticamente esclusa la configurabilita’ del delitto di riciclaggio, come dedotto dal ricorrente nei motivi aggiunti, per effetto della intervenuta archiviazione nei confronti di quattro indagati, in ordine al delitto presupposto (rectius ai delitti presupposti), trattandosi di provvedimento non suscettibile di giudicato, e non di sentenza irrevocabile. A cio’ aggiungasi che nei confronti dell’ultimo reale (quello subentrato nella carica aveva il nome palesemente e acclaratamente di fantasia di (OMISSIS)) rappresentante legale della (OMISSIS) srl, (OMISSIS), alias (OMISSIS) iscritto nel registro degli indagati in data 10.6.2002, l’archiviazione e’ stata chiesta e quindi disposta non per motivi di merito, bensi’ per essere i reati estinti per morte dell’indagato in data (OMISSIS).
Per quanto riguarda la produzione dei documenti in questione effettuata con memoria depositata in cancelleria il 13.11.2014 e’ il caso di aggiungere che la produzione e’ peraltro inammissibile, non essendo consentita nel giudizio di legittimita’ la produzione di nuovi documenti, salvo il caso in cui essa non sia stata possibile nei precedenti gradi di giudizio e concerna documenti non attinenti al merito e dai quali possa derivare l’applicazione dello “ius superveniens”, di cause estintive o di disposizioni piu’ favorevoli (cfr. Cass. Sez. 3, Sent. n. 27417/2014 Rv. 259188; Sez. 5, Sent. n. 45139/2013 Rv. 257541). E nel caso di specie nessun dubbio che i documenti in questione attengano comunque al merito.
Il ricorso, per l’infondatezza o inammissibilita’ delle censure articolate nei motivi che lo compongono, va pertanto rigettato.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.
 

P.Q.M.

 
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *