Corte di Cassazione, sezione II penale, sentenza 14 ottobre 2016, n. 43693

Spetta al PM soltanto un diritto di interlocuzione sulle richieste di colloquio del detenuto in stato di custodia cautelare, essendo invece il potere decisorio riferito esclusivamente al GIP (o al giudice del dibattimento, superata la fase delle indagini preliminari), alla stregua di una competenza che non puo’ che essere qualificata come funzionale ed inderogabile

Suprema Corte di Cassazione

sezione II penale

sentenza 14 ottobre 2016, n. 43693

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIOTALLEVI Giovanni – Presidente
Dott. IMPERIALI Luciano – Consigliere
Dott. FILIPPINI Stefano – rel. Consigliere
Dott. SGADARI Giuseppe – Consigliere
Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), N. IL (OMISSIS);
avverso l’ordinanza n. 115/2016 PROCURA REPUBBLICA PRESSO TRIB. MINORENNI di CALTANISSETTA, del 14/06/2016;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. STEFANO FILIPPINI;
sentite le conclusioni del PG Dott. Enrico Delehaye per l’annullamento senza rinvio con trasmissione degli atti al GIP competente.
RITENUTO IN FATTO
1. Con provvedimento emesso il 14.6.2016 dal Pubblico ministero presso il Tribunale per i minorenni di Caltanissetta veniva rigettata la richiesta dei genitori di (OMISSIS) ad avere colloqui aggiuntivi con la figlia minore, sottoposta a misura detentiva.
2. Avverso la citata decisione, tramite il proprio difensore, ha interposto tempestivo ricorso per Cassazione la suddetta minore, per mezzo del proprio difensore di fiducia, chiedendone l’annullamento per il seguente motivo: violazione di legge in relazione all’articolo 240 disp. att. c.p.p., articolo 11, commi 2 e 18 dell’Ordinamento Penitenziario.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Si deve premettere che secondo l’orientamento da ultimo affermatosi nella giurisprudenza di legittimita’, e che il collegio ritiene di condividere, i provvedimenti che decidono sulle istanze di colloquio dei detenuti, potendosi risolvere in un inasprimento del grado di afflittivita’ delle misure cautelari, sono ricorribili in Cassazione, ex articolo 111 Cost., comma 7. (Cass., Sez. 1, n. 26835 del 04/05/2011, Rv 250801; Sezioni Unite n. 25079 del 26/02/2003, ric. Gianni, Cass. Sez. 5, n. 8798 del 2014, Stefani).
1.1 Il principio, dapprima formulato con riferimento ai detenuti in espiazione di pena definitiva, e’ stato esteso, con gli ovvi necessari adattamenti, anche all’ipotesi in cui la detenzione tragga titolo non da una condanna definitiva ma da una misura cautelare. Si e’ affermato, in particolare, che il criterio della giustiziabilita’ dei provvedimenti che incidono sulla condizione del detenuto, sta nella natura dell’interesse regolato, dovendosi distinguere tra provvedimenti giurisdizionali e provvedimenti amministrativi a seconda che essi cadano o meno su posizioni di diritto soggettivo (cfr. le sentenze n. 216 e 351 del 1996, n. 212 del 1997); in questa seconda ipotesi, al relativo procedimento puo’ e deve riconoscersi natura di “giudizio”, e alla decisione carattere giurisdizionale.
2. Ebbene, nella specifica materia dei colloqui ci si trova in presenza sicuramente di diritti soggettivi, parte integrante del trattamento; e alla conclusione di un’indiscriminata protezione nella materia dei colloqui e’ agevole pervenire anche considerando che l’immanente collegamento con l’esecuzione penale e con il regime della pericolosita’ intramuraria, intesa anche quale limite alla fruizione di strumenti di trattamento, lasciano difficilmente intravedere l’esistenza di un paradigma di provvedimento che sia espressione di discrezionalita’ amministrativa (S.U., Gianni, citata).
2.1. D’altro canto, e’ principio di civilta’ che a colui che subisce una restrizione carceraria – preventiva o definitiva – sia comunque riconosciuta la titolarita’ di situazioni soggettive attive e sia garantita quella parte di diritti della personalita’ che neppure la pena detentiva puo’ intaccare. Tra questi e’ certamente annoverabile il diritto al mantenimento di relazioni familiari e sociali, comprimibili solo ove ricorrano specifiche e motivate esigenze di sicurezza pubblica o intramuraria o, per i detenuti in attesa di giudizio, d’ordine processuale. Puo’ dirsi anzi che il rispetto, sotto questi riguardi, delle esigenze personali del detenuto, costituisca una delle possibili l’applicazioni dell’articolo 2 Cost., come norma fondamentale intesa ad assicurare all’individuo l’esplicazione della propria personalita’ nelle formazioni sociali e familiari di riferimento, salve le limitazioni ragionevolmente imposte dalla condizione carceraria.
2.2. L’adozione di incisive restrizioni in tale ambito, comportando un ulteriore affievolimento nel grado di privazione della liberta’ personale richiede quindi il rispetto delle garanzie espressamente previste dall’articolo 13 Cost., comma 2.
3. Le ulteriori questioni che si pongono, nel caso di specie, sono connesse alla posizione istituzionale dell’autore del provvedimento impugnato e all’identificazione dell’organo giudiziario competente. In via generale, infatti, i provvedimenti del Pubblico Ministero non hanno natura giurisdizionale e, come tali, non sono ne’ qualificabili come abnormi (caratteristica esclusiva degli atti di giurisdizione), ne’ impugnabili, neppure qualora appaia evidente il loro tasso di illegalita’ (cfr. Cass., Sez. 1, n. 24107 del 26/05/2009, Rv 244651).
3.1. Tuttavia, in materia di liberta’ personale, la giurisprudenza di questa Corte ha gia’ espressamente affermato che sono ricorribili in cassazione non solo i provvedimenti sulla liberta’ personale adottati dal giudice, ma anche quelli emessi dal P.M.; infatti, anche se gli articoli 13 e 111 Cost., e articolo 568 c.p.p., si riferiscono ai provvedimenti dell’autorita’ giudiziaria, il Pubblico Ministero va considerato incluso nel concetto di autorita’ giudiziaria in una prospettiva garantistica, che richiede una espansione della tutela in senso sostanziale in tale specifica materia (Cass., Sez. 3, n. 562 del 04/02/2000, Rv 216575). Conclusione avvalorata da altre sentenze che hanno affermato l’inammissibilita’ del ricorso per cassazione avverso atti del P.M. non gia’ per loro natura, ma solo in ragione della mancanza nello specifico provvedimento sub judice di un contenuto decisorio od incisivo sulla liberta’ (v. Cass., Sez. 3, n. 8999 del 10/02/2011, in tema di decreti di perquisizione domiciliare non seguiti da sequestro); senza dimenticare la giurisprudenza di legittimita’ che ravvisa la ricorribilita’ ex articolo 111 Cost., anche quanto ad atti emessi da organi certamente non giurisdizionali (v. Cass., Sez. 4, n. 34660 del 03/06/2010, Rv 248075, secondo cui “il provvedimento del questore emesso a norma del Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 75-bis… che prevede la possibilita’ di imporre al condannato per determinati reati una serie di obblighi e divieti, e’ ricorribile per cassazione per violazione di legge, in quanto le misure che contiene devono considerarsi limitative della liberta’ personale”).
3.2. Tanto premesso, occorre ora definire l’ambito delle competenze giudiziarie riferibili alla materia dei diritti del detenuto in stato di custodia cautelare. Al riguardo, va rilevato che le norme di ordinamento penitenziario richiamano ancora le figure del giudice istruttore e del P.M. (rispettivamente per i casi di istruzione formale e sommaria), trattandosi di norme introdotte nella vigenza dell’abrogato codice di rito. E tuttavia l’articolo 11 Ord. Pen., in combinato disposto con l’articolo 240 disp. att. c.p.p., nel disciplinare i provvedimenti in tema di trattamento sanitario del detenuto, si adegua all’attuale sistema processuale, stabilendo che gli atti in questione debbono essere adottati con ordinanza dal giudice che procede (e dal G.i.p. prima dell’esercizio dell’azione penale). Tale norma assume una portata generale in tema di attribuzione della competenza, dovendosi quindi ritenere che prima del dibattimento sia senz’altro il G.i.p. a doversi pronunciare sul differimento dei colloqui carcerari del detenuto (cfr., ancora, per una piu’ completa ricostruzione sistematica, la sentenza Stefani cit., dove fra l’altro la precisazione che e’ agevole ricondurre ad unita’ l’intera materia, armonizzando la procedura in tema di permessi di colloquio con quanto previsto in via generale dall’articolo 299 c.p.p.).
3.3. In conclusione, non pare dubbio che in subiecta materia spetti al PM soltanto un diritto di interlocuzione sulle richieste di colloquio del detenuto in stato di custodia cautelare, essendo invece il potere decisorio riferito esclusivamente al GIP (o al giudice del dibattimento, superata la fase delle indagini preliminari), alla stregua di una competenza che non puo’ che essere qualificata come funzionale ed inderogabile.
3.3.1. Nel caso in esame il PM ha esercitato poteri non estranei al proprio ruolo istituzionale, in riferimento ai suoi generali poteri di intervento nella materia della liberta’ personale, ma ha travalicato, nello specifico, i limiti delle sue attribuzioni, che in materia di colloqui carcerari non vanno oltre una funzione “giudiziaria-consultiva”.
Alla stregua delle precedenti considerazioni, il provvedimento impugnato deve essere annullato senza rinvio, con la trasmissione degli atti al GIP del Tribunale per i minorenni di Caltanissetta.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato e dispone la trasmissione degli atti al GIP del Tribunale per i minorenni di Caltanisetta.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 198 del 2008, articolo 52, in quanto disposto d’ufficio.

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