Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 18 gennaio 2017, n. 1208

L’operatività della garanzia ex art. 1669 c.c. non è limitata ai gravi difetti della costruzione relativi al bene principale, come gli appartamenti costruiti, dovendo essa ricomprendere ogni deficienza o alterazione che vada ad intaccare in modo significativo sia la funzionalità che la normale utilizzazione dell’opera

L’esistenza dell’organo rappresentativo unitario non priva i singoli condomini del potere di agire in difesa dei diritti connessi alla loro partecipazione, né, quindi, del potere di intervenire nel giudizio in cui tale difesa sia stata legittimamente assunta dall’amministratore e di avvalersi dei mezzi d’impugnazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunciata nei confronti del condominio, non trova applicazione relativamente alle controversie che, avendo ad oggetto non diritti su un servizio comune ma la sua gestione, sono intese a soddisfare esigenze soltanto collettive della comunità condominiale o l’esazione delle somme dovute in relazione a tale gestione da ciascun condomino.
Pertanto, poiché in tali controversie non vi è correlazione immediata con l’interesse esclusivo di uno o più partecipanti, bensì con un interesse direttamente collettivo e solo mediatamente individuale al funzionamento ed al corretto finanziamento dei servizi stessi, la legittimazione ad agire e ad impugnare spetta esclusivamente all’amministratore, sicché la mancata impugnazione della sentenza da parte di quest’ultimo esclude la possibilità per il condomino di impugnarla.
Ora, poiché il pagamento degli oneri condominiali tende a soddisfare le esigenze della gestione collettiva – e solo indirettamente l’interesse del singolo condomino al funzionamento della vita condominiale – in tali controversie la legittimazione ad agire spetta all’amministratore e non anche ai singoli condomini.

Suprema Corte di Cassazione

sezione II civile

sentenza 18 gennaio 2017, n. 1208

Esposizione del fatto

Con atto di citazione del 20.1.1993 D.G.M. e R.G. convenivano innanzi al Tribunale di Taranto L.M. ed il Condominio di via (omissis) , pal. A e B in (omissis) , esponendo di aver acquistato dal L. , con rogito stipulato il 23.6.1992, due appartamenti ed un locale da destinarsi ad autorimessa.
La rampa di accesso all’autorimessa era stata realizzata in difformità dalla normativa vigente e comunque non a regola d’arte, poiché la pendenza era di gran lunga superiore a quanto pattuito, onde essi non avevano potuto fruire del box acquistato.
Aggiungevano che le autorimesse non risultavano in regola sotto il profilo amministrativo e che il convenuto pretendeva di essere esonerato dal pagamento degli oneri condominiali relativi alle unità immobiliari di sua proprietà.
Tanto premesso, chiedevano la condanna del L. all’esecuzione di opere idonee a rendere la rampa di accesso menzionata conforme alla regole dell’arte ed agli standars normativi in materia, ovvero al risarcimento dei danni derivanti dall’inutilizzabilità dell’autorimessa ed alla conseguente perdita di valore degli appartamenti.
Costituitosi il contraddittorio, il Tribunale di Taranto, con sentenza depositata il 23.2.2005, condannava il L. al risarcimento dei danni ed al pagamento degli oneri condominiali.
La Corte d’Appello di Lecce – sez. stacc. di Taranto – in parziale revoca della sentenza di primo grado, dichiarava l’inammissibilità della domanda di garanzia spiegata dai signori D.G. e R. per intervenuta decadenza ex art. 1495 c.c. ed affermava il loro difetto di legittimatio ad causam in ordine al pagamento degli oneri condominiali da parte del L. .
Il Condominio restava contumace.
La Corte d’Appello, quanto all’eccezione di decadenza, evidenziava che la sentenza di primo grado, sulla base delle risultanze della Ctu, aveva correttamente ritenuto che la rampa di accesso all’autorimessa, ancorché non realizzata a regola d’arte, ne aveva reso soltanto disagevole l’utilizzo, considerati l’eccessiva pendenza e lo sbocco troppo vicino alla sede stradale;
sul punto non era stato proposto appello incidentale ed in ogni caso non poteva dubitarsi della persistente possibilità di uso dell’autorimessa suddetta come desumibile dalla Ctu.
Da ciò la fondatezza dell’eccezione di decadenza, avendo gli appellati effettuato la denunzia oltre il termine di 8 gg. dalla scoperta dei vizi, per loro stessa natura manifestamente rilevabili.
Quanto alla domanda di condanna del L. al pagamento degli oneri condominiali rilevava che nel caso di controversie quale quella in esame, aventi ad oggetto l’esazione delle somme dovute in relazione alla gestione condominiale, non vi era correlazione con un interesse esclusivo di uno dei partecipanti, con la conseguenza che la legittimazione ad agire spettava unicamente all’amministratore.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Lecce hanno proposto ricorso per cassazione D.G.M. e R.G. , articolato su quattro motivi, illustrati da memoria ex art. 378 cpc. L. ha resistito con controricorso, anch’esso corredato da memoria.
Il Condominio non ha svolto nel presente giudizio attività difensiva.

Considerato in diritto

Con il primo motivo di ricorso D.G.M. e R.G. denunziano la violazione e falsa applicazione degli artt. 346 e 343 cpc, in relazione all’art. 360 n. 3) cpc, nonché l’omessa e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia ex att. 360 n.5) cpc, censurando la statuizione della CTR secondo cui essi ricorrenti avrebbero dovuto spiegare appello incidentale sulla valutazione del giudice di primo grado che aveva ritenuto la residua utilizzabilità – nonostante l’eccessiva pendenza – della rampa d’accesso.
Con il secondo motivo si denunzia violazione dell’art. 1669 c.c., delle disposizioni del d.m. 1.2.1986, nonché carenza motivazionale, in relazione agli artt. 360 nn.3) e 5) codice di rito, per avere la sentenza impugnata omesso svolgere qualunque tipo di indagine sulla classificazione dell’autorimessa e dunque sul contrasto con le disposizioni del D.M. 1.2.1986 in materia di prevenzione antincendi e conseguente inagibilità del bene.
Con il terzo motivo si denunzia la violazione degli artt. 1669 c.c. e 115 cpc, nonché carenza motivazionale in relazione agli artt. 360 nn. 3) e 5) cpc lamentando che il giudice di appello abbia escluso la gravità ex art.1669 c.c. del vizio derivante dall’eccessiva pendenza della rampa di accesso, omettendo di valutare adeguatamente i rilievi della Ctu.
Con il quarto motivo si denunzia la violazione dell’art. 1223 c.c., nonché carenza motivazionale ex artt. 360 nn. 3) e 5) cpc sulla statuizione con la quale è stata esclusa la legittimazione attiva di essi attori in ordine al pagamento delle spese condominiali da parte del L. .
Il primo motivo deve ritenersi inammissibile per carenza di decisività. Il motivo non coglie infatti la ratio decidendi della pronuncia, che risulta fondata, non già sull’effetto preclusivo del “giudicato interno”, affermato in via meramente incidentale, ma sull’utilizzabilità dell’autorimessa da parte dei ricorrenti e sulla riconducibilità della domanda da costoro spiegata all’azione ex art. 1495 c.c. con conseguente decadenza per mancata denunzia nel termine di otto giorni.
Il secondo e terzo motivo che, in virtù dell’intima connessione, possono essere unitariamente esaminati, sono fondati.
Conviene premettere che secondo il consolidato orientamento di questa Corte, l’operatività della garanzia ex art. 1669 c.c. non è limitata ai gravi difetti della costruzione relativi al bene principale, come gli appartamenti costruiti, dovendo essa ricomprendere ogni deficienza o alterazione che vada ad intaccare in modo significativo sia la funzionalità che la normale utilizzazione dell’opera (Cass. 20644/2013).
Orbene nel caso di specie la Corte di Appello ha omesso di esaminare la questione dell’applicabilità all’autorimessa, acquistata dai ricorrenti unitamente agli appartamenti, delle disposizioni del D.M. 1.2.86, in materia di sicurezza e prevenzione incendi, e la dedotta violazione delle prescrizioni ivi previste in materia di pendenza della rampa di accesso e di raggio minimo di curvatura.
La Corte d’Appello si è inoltre limitata ad evidenziare la persistente possibilità di uso dell’autorimessa omettendo di valutare adeguatamente, anche in relazione alle prescrizioni del D.M. 1.2.86, i rilievi della Ctu, riportati nel corpo del ricorso dei ricorrenti, secondo cui “la pendenza della rampa di accesso superava evidentemente il 20%, presentava un insufficiente raggio di curvatura ed un’invasione della sede stradale antistante da parte del piano inclinato della rampa… onde non risultava possibile un uso agevole e sicuro della stessa.
La sentenza impugnata va dunque cassata sul punto, dovendo specificamente valutarsi l’applicabilità del D.M. 1.2.86 al caso di specie e l’incidenza dei vizi di costruzione e delle violazioni descritte dal Ctu sulla funzionalità dell’autorimessa, ai fini di verificare se esse comportino o meno l’inagibilità della rampa di accesso e, conseguentemente, una notevole menomazione all’utilizzo di detto bene. Con il quarto motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1123 c.c. nonché omessa motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 nn.3) e 5) cpc, censurando la statuizione della sentenza impugnata, che ha affermato la carenza di legittimazione di essi ricorrenti sulla domanda di condanna del L. alla corresponsione degli oneri condominiali relativamente alle unità immobiliari rimaste di sua proprietà, omettendo di rilevare che la domanda si fondava sulla nullità della clausola del regolamento condominiale.
Il motivo appare destituito di fondamento.
Si osserva in contrario che, come questa Corte ha già affermato, nel condominio di edifici, il principio, secondo cui l’esistenza dell’organo rappresentativo unitario non priva i singoli condomini del potere di agire in difesa dei diritti connessi alla loro partecipazione, né, quindi, del potere di intervenire nel giudizio in cui tale difesa sia stata legittimamente assunta dall’amministratore e di avvalersi dei mezzi d’impugnazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunciata nei confronti del condominio, non trova applicazione relativamente alle controversie che, avendo ad oggetto non diritti su un servizio comune ma la sua gestione, sono intese a soddisfare esigenze soltanto collettive della comunità condominiale o l’esazione delle somme dovute in relazione a tale gestione da ciascun condomino.
Pertanto, poiché in tali controversie non vi è correlazione immediata con l’interesse esclusivo di uno o più partecipanti, bensì con un interesse direttamente collettivo e solo mediatamente individuale al funzionamento ed al corretto finanziamento dei servizi stessi, la legittimazione ad agire e ad impugnare spetta esclusivamente all’amministratore, sicché la mancata impugnazione della sentenza da parte di quest’ultimo esclude la possibilità per il condomino di impugnarla (Cass. 4 maggio 2005 n. 9123; Cass. 3 luglio 1998 n. 6480; Cass. 19 ottobre 2010).
Ora, poiché il pagamento degli oneri condominiali tende a soddisfare le esigenze della gestione collettiva – e solo indirettamente l’interesse del singolo condomino al funzionamento della vita condominiale – in tali controversie la legittimazione ad agire spetta all’amministratore e non anche ai singoli condomini.
Non risulta viceversa che i ricorrenti abbiano ritualmente proposto, nel giudizio di merito, la domanda di nullità della clausola del regolamento condominiale, relativa ai criteri di ripartizione degli oneri previsti dalle tabelle millesimali, prospettata nel ricorso proposto in questa sede, posto che nessuna pronunzia risulta emessa al riguardo, né in primo grado, né dal giudice di appello.
Ciò comporta che trattandosi di questione nuova il relativo scrutinio in sede di legittimità non è ammissibile.
È infatti giurisprudenza pacifica di questa Corte che i motivi del ricorso per Cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in Cassazione questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase del merito e non rilevabili d’ufficio (Cass. 4787/2012) ed il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (Cass. 2140/2006).
In conclusione, respinti il primo e quarto motivo di ricorso, vanno accolti il secondo e terzo motivo.
La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio, per nuovo esame, ad altra sezione della Corte d’Appello di Lecce.

P.Q.M.

La Corte respinge il primo e quarto motivo di ricorso.
Accoglie il secondo e terzo motivo.
Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Lecce, che provvederà alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

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