Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 13 settembre 2016, n. 17957

Sommario

Chi propone vittoriosamente l’azione di arricchimento senza causa ha diritto, a titolo di indennizzo, alla somma determinata nella minor misura tra l’entita’ della diminuzione patrimoniale subita e quella dell’arricchimento ricavato dalla persona nei cui confronti l’azione e stata proposta.

Ai fini dell’indennizzo dovuto per l’arricchimento senza causa, l’articolo 2041 c.c., considera, poi, solo la diminuzione patrimoniale subita dal soggetto e non anche il lucro cessante, che e’ altra componente, separata e distinta, del danno patrimoniale complessivamente subito alla stregua dell’articolo 2043 c.c., ma espressamente escluso dal cit. articolo 2041. Ne deriva che in tema di azione di indebito arricchimento, conseguente all’assenza di un valido contratto, l’indennita’ prevista dall’articolo 2041 c.c., va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dalla parte nell’erogazione della prestazione e non in misura coincidente con il mancato guadagno che la stessa avrebbe potuto trarre dall’instaurazione di una valida relazione contrattuale.

Nella fattispecie, la Corte di merito ha correttamente attribuito valore al costo sopportato dall’appaltatore per l’esecuzione delle opere ed escluso, quindi, che fosse dovuto, per il titolo che qui viene in esame, il lucro che lo stesso avrebbe potuto percepire nell’ipotesi in cui il contratto fosse stato valido e produttivo di effetti (lucro consistente nella quota, stimata dalla Corte di appello in ragione del 30% del corrispettivo complessivo volto a remunerare i lavori affidati all’impresa).

Suprema Corte di Cassazione

sezione II civile

sentenza 13 settembre 2016, n. 17957

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BUCCIANTE Ettore – Presidente
Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere
Dott. MATERA Lina – Consigliere
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere
Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 28082/2011 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avv. (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3666/2010 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 08/11/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/07/2016 dal Consigliere Dott. MASSIMO FALABELLA;
udito l’Avvocato (OMISSIS) difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del primo motivo e per l’accoglimento del secondo motivo di ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

(OMISSIS) evocava in giudizio (OMISSIS) esponendo di aver eseguito nella qualita’ di imprenditore edile lavori di ristrutturazione di due appartamenti siti in (OMISSIS) su incarico del convenuto; deduceva di aver ricevuto dal predetto la somma di Lire 12.000.000 e che l’ammontare del corrispettivo dovuto per le opere realizzate ammontava a Lire 48.180.065. Domandava quindi la condanna di quest’ultimo al pagamento della somma di Lire 36.180.065, oltre interessi e rivalutazione monetaria e, in via subordinata, la condanna del medesimo alla corresponsione, in proprio favore, dell’indennizzo per l’ingiustificato arricchimento.
Il convenuto si costituiva in giudizio eccependo, tra l’altro, la nullita’ del contratto di appalto per nullita’ dell’oggetto, posto che le opere erano state realizzate senza la prescritta concessione edilizia; assumeva, altresi’, l’improponibilita’ dell’actio de in rem verso in quanto la domanda risultava finalizzata al conseguimento di un risultato contrario a norme imperative.
Il Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Afragola, rigettava le domande attrici.
Interposto gravame da parte di (OMISSIS), la Corte di appello di Napoli, con sentenza pubblicata l’8 novembre 2010, accoglieva la domanda di arricchimento senza causa e condannava (OMISSIS) al pagamento della somma di Euro 15.744,47, oltre rivalutazione monetaria e interessi.
(OMISSIS) ha impugnato per cassazione questa pronuncia, notificando alla controparte un ricorso basato su due motivi. Resiste con controricorso (OMISSIS).

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione, nonche’ falsa applicazione e interpretazione dell’articolo 2041 c.c.. Assume che la Corte di appello, nel liquidare l’indennizzo per l’ingiustificato arricchimento, avrebbe dovuto tener conto anche dell’utilita’ conseguita dal committente. Nella fattispecie, invece, il giudice del gravame aveva preso in considerazione il solo depauperamento sofferto da esso appaltatore, stimandolo nel corrispettivo a quest’ultimo spettante, dedotto il profitto dell’attivita’ svolta, valutato in una misura al 30% del nominato compenso.
Il motivo e’ fondato.
E’ affermazione risalente di questa S.C., non smentita da successivi arresti di segno opposto, che chi propone vittoriosamente l’azione di arricchimento senza causa ha diritto, a titolo di indennizzo, alla somma determinata nella minor misura tra l’entita’ della diminuzione patrimoniale subita e quella dell’arricchimento ricavato dalla persona nei cui confronti l’azione e stata proposta (Cass. 15 luglio 1978, n. 3564).
Ai fini dell’indennizzo dovuto per l’arricchimento senza causa, l’articolo 2041 c.c., considera, poi, solo la diminuzione patrimoniale subita dal soggetto e non anche il lucro cessante, che e’ altra componente, separata e distinta, del danno patrimoniale complessivamente subito alla stregua dell’articolo 2043 c.c., ma espressamente escluso dal cit. articolo 2041 (Cass. 26 settembre 2005, n. 18785). Ne deriva che in tema di azione di indebito arricchimento, conseguente all’assenza di un valido contratto, l’indennita’ prevista dall’articolo 2041 c.c., va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dalla parte nell’erogazione della prestazione e non in misura coincidente con il mancato guadagno che la stessa avrebbe potuto trarre dall’instaurazione di una valida relazione contrattuale (Cass. 7 novembre 2014, n. 23780).
Nella fattispecie, la Corte di merito ha correttamente attribuito valore al costo sopportato dall’appaltatore per l’esecuzione delle opere ed escluso, quindi, che fosse dovuto, per il titolo che qui viene in esame, il lucro che lo stesso (OMISSIS) avrebbe potuto percepire nell’ipotesi in cui il contratto fosse stato valido e produttivo di effetti (lucro consistente nella quota, stimata dalla Corte di appello in ragione del 30% del corrispettivo complessivo volto a remunerare i lavori affidati all’impresa).
Ha tuttavia mancato del tutto di chiarire quale fosse l’arricchimento ricevuto dal committente per effetto dell’esecuzione dell’opera e di effettuare il conseguente, necessario raffronto tra il lucro conseguito dal soggetto nei cui confronti era stata esperita l’azione e la perdita economica sofferta dalla parte attrice.
che evidenzia la denunciata violazione dell’articolo 2041 c.c.: norma che esige, come si e’ visto, che l’indennizzo sia liquidato nella minor somma tra la diminuzione patrimoniale di chi agisce per l’ottenimento dell’indennizzo stesso e l’arricchimento conseguito dal convenuto.
Il vizio in cui e’ incorsa la Corte distrettuale importa la cassazione della sentenza sul punto e il giudice del rinvio dovra’ quindi quantificare l’indennizzo facendo applicazione del principio di cui si e’ detto.
Il secondo motivo oppone l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa la valutazione della documentazione esibita e delle circostanze allegate. Lamenta l’istante che (OMISSIS), nel proporre la propria domanda, aveva dedotto di aver gia’ ricevuto dal committente la somma di L. 12.000.000. Nel pronunciare la condanna nei confronti del ricorrente la Corte di merito aveva mancato di detrarre dall’importo dovuto tale somma.
La doglianza e’ fondata.
Non coglie anzitutto nel segno la deduzione del controricorrente, secondo cui l’istante, con la censura sollevata, farebbe valere una domanda nuova: affermazione, questa, basata sul rilievo per cui (OMISSIS) non aveva mai azionato alcuna pretesa diretta alla restituzione dell’importo versato in acconto. In realta’, l’odierno ricorrente ha resistito in giudizio alle domande della controparte, la quale diede atto, nella citazione in primo grado, di aver gia’ ricevuto dal committente la somma di Lire 12.000.000 (cfr. sentenza impugnata, pag. 3): tant’e’ che fu lo stesso (OMISSIS) a domandare al Tribunale la condanna della controparte per un importo (Lire 36.180.065) commisurato al corrispettivo dell’appalto, ma ridotto, rispetto ad esso, in ragione del suddetto acconto. Il ricorrente, pertanto, non propone – ne’ doveva proporre – alcuna nuova domanda, essendosi limitato a denunciare l’erroneita’ della decisione della Corte di merito, laddove, nella condanna pronunciata nei suoi confronti al pagamento dell’indennizzo per l’ingiustificato arricchimento, ha omesso di considerare che parte della somma liquidata era stata gia’ versata all’appaltatore.
Sul punto la sentenza risulta realmente affetta da un vizio motivazionale, dal momento che il giudice distrettuale ha reso la propria pronuncia senza prendere in considerazione il fatto – decisivo – dell’avvenuto pagamento dell’importo sopra menzionato: pagamento che – come si e’ detto – era pacifico in causa, siccome ammesso dalla difesa di (OMISSIS) nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado.
La sentenza impugnata va quindi anche sul punto cassata.
Il giudice del rinvio provvedera’ alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimita’.
P.Q.M.

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