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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II

SENTENZA 13 novembre 2014, n. 46868

Ritenuto in fatto

Con sentenza in data 28/2/2014, la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Nola, in data 22/9/2009, dichiarato prescritto il delitto di cui al capo A (artt. 473 e 474 cod. pen.), riduceva la pena inflitta a I.C. , rideterminandola per il residuo reato di ricettazione in anni uno, mesi quattro di reclusione ed Euro 600,00 di multa, confermando nel resto la sentenza impugnata.

L’imputato era stato tratto a giudizio per aver introdotto nel territorio dello Stato una partita di 21.822 peluche raffiguranti il personaggio ‘Pantera Rosa’ della Metro Goldwin Mayer contraffatto. Nel merito La Corte territoriale respingeva le censure in rito mosse con l’atto d’appello. Nel merito osservava che i pupazzi sequestrati risultavano fortemente somiglianti al personaggio ‘pantera Rosa’, oggetto di specifica registrazione e quindi come tali assoggettati alla tutela dei marchi. Pertanto, pur dichiarando prescritto il reato di cui al capo A), confermava la condanna per il reato di ricettazione, reputando che la partita di merce sequestrata provenisse da reato.

Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato con due separati atti per mezzo dei suoi difensori di fiducia, avv. Eduardo Sorrentino e avv. Stefano Brandina.

Con l’atto a firma dell’avv. Sorrentino, la difesa deduce violazione di legge eccependo che non risultava che la M.G.M. fosse titolare di un marchio registrato in Italia avente ad oggetto sia la denominazione che le sembianze del personaggio. Deduce, inoltre, l’insussistenza del dolo, con riferimento al reato di ricettazione, eccependo che il fatto doveva essere ricondotto alla fattispecie colposa di cui all’art. 712 cod. pen..

Con l’atto a firma dell’avv. Brandina, la difesa deduce violazione ed erronea applicazione delle norme di cui agli artt. 473, 474, 517, 110, 648 e 712 cod. pen., nonché vizio della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato. In sostanza la difesa eccepisce che nella fattispecie non sarebbero configurabili gli estremi del delitto di cui agli artt. 473 e 474 cod. pen. per l’inesistenza di un marchio tridimensionale; ciò inciderebbe anche sull’elemento soggettivo e farebbe venir meno il delitto di ricettazione per inesistenza del reato presupposto.

 

 Considerato in diritto

Per quanto riguarda le censure di violazione di legge, la difesa sostanzialmente contesta la sussistenza degli estremi oggettivi della condotta di importazione detenzione per la vendita di prodotti con marchi contraffatti, nello specifico che i pupazzi sequestrati possano rappresentare contraffazione del marchio di proprietà della Metro Goldwin Mayer, raffigurante il personaggio della ‘pantera rosa’. In particolare la difesa deduce che il segno oggetto di registrazione è costituito da un marchio complesso bidimensionale, composto da una parte denominativa ed una parte figurativa, mentre i prodotti sequestrati sono dei semplici pupazzi tridimensionali, privi di qualsivoglia componente denominativa; obietta che un marchio figurativo non è in alcun modo assimilabile, né sovrapponibile ad un marchio tridimensionale per cui un pupazzo che riproduca una pantera o qualsiasi altro animale non solamente non costituisce contraffazione, ma neppure potrebbe essere oggetto di registrazione quale marchio tridimensionale, posto che risultano espressamente esclusi dalla registrazione i segni costituiti esclusivamente dalla forma imposta dalla natura stessa del prodotto; di conseguenza eccepisce che l’inesistenza di un marchio tridimensionale preclude che il fatto possa integrare anche solo astrattamente le fattispecie penali di cui agli art. 473 e 474 cod. pen..

Nella giurisprudenza di questa Corte la questione della configurabilità del delitto di cui agli artt. 473 e 474 cod. pen. con riferimento alla produzione di oggetti seriali costituenti riproduzione morfologica di cose protetti da marchio è stata oggetto di un dibattito che ha portato a contrastanti indirizzi giurisprudenziali.

Infatti, in fattispecie analoga alla presente, la S.C. (Cass. sez. III, 26 aprile – 2 luglio 2001 n. 26754, Andolfo, rv. 219215) ha statuito che il reato di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi previsto dall’art. 474 cod. pen. non può avere ad oggetto beni che costituiscono una mera imitazione figurativa di prodotti industriali, senza alcun marchio o altro segno distintivo della merce che risulti abusivamente riprodotto ovvero falsificato. (In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto che non configura il reato di cui all’art. 474 cod. pen. la introduzione nel territorio dello Stato al fine della vendita di pupazzi riproducenti i personaggi della serie Pokemon, Sansone, Scubidu e Winnie The Pooh, privi di qualsiasi marchio riferibile ai licenziatari autorizzati alla produzione e distribuzione).

Con una successiva pronuncia, la V sezione penale di questa Corte, con sentenza n. 27032/2004, Romagnoli, rv. 229121, ha statuito che non può dirsi estranea alla previsione di reato di cui all’art. 474 cod. pen. la condotta consistente nella produzione e messa in commercio di prodotti seriali riproducenti, ancorché in modo imperfetto e senza indicazione della sua denominazione, un personaggio di fantasia protetto da registrazione. (Nella specie, trattavasi di giocattoli gonfiabili riproducenti il pulcino ‘Calimero’).

Tale indirizzo è stato confermato da Sez. 5, Sentenza n. 25147/2005, Bellomo, Rv. 231894 che ha statuito che in tema di commercio di prodotti con segni falsi, la riproduzione del personaggio di fantasia tutelato dal marchio registrato – ancorché non fedele ma espressiva di una forte similitudine – integra il reato quando, con giudizio di fatto demandato al giudice di merito e insindacabile se rispondente ai criteri della completezza e logicità, sia apprezzata una oggettiva e inequivocabile possibilità di confusione delle immagini, tale da indurre il pubblico ad identificare erroneamente la merce come proveniente da un determinato produttore. (Fattispecie relativa alla riproduzione dell’immagine del canarino ‘Titti’, che la Corte ha ritenuto integrare reato nonostante la mancanza, accanto alla immagine stessa, del nome dell’animale, oggetto del marchio unitamente alla raffigurazione del personaggio. La Corte ha osservato che, nell’insieme figurativo del marchio, l’elemento di maggior richiamo visivo era la immagine, mentre il nome, elemento secondario, non era determinante).

Ritornando sull’argomento la Sezione 3 di questa Corte (Sentenza n. 28159/2006, Ronchi ed altri, Rv. 235746) ha statuito che il reato di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi previsto dall’art. 474 cod. pen. non può avere ad oggetto beni che costituiscono una mera imitazione figurativa di prodotti industriali, senza alcun marchio o altro segno distintivo della merce che risulti abusivamente riprodotto ovvero falsificato. (Fattispecie relativa alla riproduzione di pupazzi di noti cartoni animati privi di qualsiasi marchio riferibile ai licenziatari autorizzati alla produzione ed alla distribuzione).

Con un successivo arresto la Sezione 5 (Sez. 5, Sentenza n. 3403/2009, Chen, Rv. 245838) ha statuito che ai fini della configurabilità del delitto di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi (art. 474 cod. pen.) non è sufficiente accertare la sussistenza della violazione del diritto d’autore, costituita dalla riproduzione, senza autorizzazione, di un personaggio di fantasia, ma è necessario verificare se detto personaggio costituisca oggetto di marchio registrato, in quanto la tutela penale predisposta dalla norma incriminatrice concerne segni

distintivi regolarmente registrati e, in genere, indicativi della riferibilità del bene abusivamente riprodotto ad una data impresa industriale o commerciale.

Successivamente la Sezione 2, con riferimento al commercio di pupazzi riproducenti i personaggi ‘Titti’ e ‘Gatto Silvestro’, ha statuito che integra il reato di commercio di prodotti con segni falsi la riproduzione del personaggio di fantasia tutelato dal marchio registrato, ancorché non fedele ma espressiva di una forte somiglianza, quando sia possibile rilevare una oggettiva e inequivocabile possibilità di confusione delle immagini, tale da indurre il pubblico ad identificare erroneamente la merce come proveniente da un determinato produttore (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20040/2011, Ferrantino, Rv. 250157; conforme: Sezione 2, Sentenza n. 13235/2014, Valgimigli, non massimata).

Al fine di risolvere tale contrasto giurisprudenziale il Collegio ritiene che, ai sensi dell’art. 618 cod. proc. pen. debba essere rimessa alle Sezioni Unite Penali la seguente questione. “se l’introduzione in commercio di oggetti seriali – privi di marchi – costituenti riproduzione morfologica di oggetti protetti da marchio integri o meno gli estremi del delitto di cui agli artt. 473/474, ovvero di cui all’art. 517 cod. pen.”.

 P.Q.M.

 Rimette il ricorso alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 618 cod. proc. pen.

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