Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 31 luglio 2015, n. 16213
Svolgimento del processo
1. — La Banca Mediterranea S.p.a., in qualità di avente causa della Banca Popolare Cooperativa di Pescopagano, convenne in giudizio il Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato. proponendo opposizione avverso il decreto emesso il 26 settembre 1998, con cui il Presidente del Tribunale di Roma le aveva ingiunto, in virtù della fideiussione prestata con polizza del 28 giugno 1984, il pagamento della somma di Lire 2.330.000.000, oltre interessi, a titolo di restituzione del contributo concesso alla IATO S.p.a. (già Ve.Cam. Sud S.p.a.) con decreto ministeriale del 21 novembre 1983. ai sensi dell’art. 32 della legge 14 maggio 1981, n. 219.
1.1. — Con sentenza del 9 ottobre 2002, il Tribunale di Roma accolse la domanda e revocò il decreto ingiuntivo, dichiarando estinta la fideiussione, per effetto dell’avvenuto adempimento dell’obbligazione garantita, avente ad oggetto la realizzazione di uno stabilimento industriale.
2. — L’impugnazione proposta dal Ministero delle attività produttive, in qualità di successore del Ministero dell’industria, nei confronti della Capitalia S.p.a. (già Banca di Roma S.p.a.). succeduta alla Banca Mediterranea a seguito di fusione per incorporazione, è stata accolta dalla Corte d’Appello di Roma, che con sentenza del 10 marzo 2008 ha rigettato l’opposizione, confermando il decreto ingiuntivo.
Premesso che, nel censurare la qualificazione della fattispecie come fideiussione, anziché come contratto autonomo di garanzia, e nel contestare l’avvenuta liberazione dell’opponente per effetto del collaudo, il Ministero non aveva fatto valere una nuova causa petendi, spettando al giudice la qualificazione della domanda e configurandosi la predetta contestazione come mera difesa, la Corte ha ritenuto che il contratto stipulato tra le parti fosse effettivamente qualificabile come contratto autonomo di garanzia: ha rilevato infatti che, in deroga alla regola generale dell’accessorietà dell’obbligazione fideiussoria, la polizza poneva a carico della Banca l’obbligo di provvedere al pagamento a semplice richiesta del Ministero, escludendo la necessità della prova dell’inadempimento e del consenso della società debitrice. e prevedendo la rinuncia a qualsiasi eccezione opponibile dal fideiussore. Precisato inoltre che l’obiettivo perseguito dall’art. 32 della legge n. 219 del 1981 consisteva non già nell’agevolare la costruzione d’impianti industriali, ma nel garantire l’occupazione stabile delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del 1980, ha rilevato che il disciplinare allegato alla concessione poneva a carico dell’impresa una serie di obblighi riguardanti anche la fase successiva alla realizzazione dello stabilimento, e segnatamente quello di mantenerne la destinazione per dieci anni e di tenere occupato per almeno tre anni un numero di dipendenti non inferiore all’80% di quello risultante dal progetto approvato: ha pertanto concluso che la mancata effettuazione del collaudo finale e ed il mancato avvio dello stabilimento, anche a seguito dell’intervenuta dichiarazione di fallimento della IATO, costituivano inadempimento delle obbligazioni assunte da quest’ultima, idoneo a rendere operativa la garanzia rilasciata dalla Banca. Ha ritenuto irrilevante, a tal fine, la circostanza che la polizza prevedesse la possibilità di liberare parzialmente la fideiussione in caso di collaudi parziali, osservando che la garanzia non poteva comunque essere ridotta ad un importo inferiore al totale della differenza tra i mezzi propri dell’impresa già versati o da versare per il raggiungimento della quota pari ad un terzo del contributo corrisposto per impianti fissi, della quota di contributo su opere, acquisti ed approvvigionamenti e della quota del 10% del contributo da liberarsi a seguito del collaudo finale.
3. — Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi, illustrati anche con memoria, l’Unicredito Italiano S.p.a.. succeduta alla Capitalia a seguito di fusione per incorporazione con atto per notaio Piergaetano Marchetti del 25 settembre 1987, rep. n. 18332. Ha resistito con controricorso il Ministero dello sviluppo economico (già Ministero delle attività produttive).
Motivi della decisione
1. — Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1945 cod. civ. e degli artt. 345 e 346 cod. proc. civ., nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso l’intervenuto mutamento della causa petendi. Premesso che in primo grado il Ministero aveva posto a fondamento della domanda esclusivamente il contratto di fideiussione, senza avanzare domande subordinate, sostiene che la qualificazione della fattispecie come contratto autonomo di garanzia, prospettata soltanto in appello, comportava un mutamento della pretesa azionata, tale da impedire ad essa appellata di avvalersi delle eccezioni che le spettavano; pur riconoscendo, infatti, che la qualificazione del contratto rientra nella competenza del giudice d’appello, afferma che il diritto incondizionato al pagamento di una somma di denaro, fatto valere in sede di gravame, era diverso da quello dedotto in primo grado, fondato su una garanzia accessoria all’obbligazione principale.
1.1. — Il motivo è infondato.
Nel riesaminare la qualificazione giuridica attribuita alla fattispecie dalla sentenza di primo grado, la Corte di merito ha affrontato una questione specificamente sollevata con i motivi di appello, la cui proposizione non comportava l’introduzione di fatti nuovi, non allegati nella precedente fase processuale, risolvendosi nella mera sollecitazione di un nuovo apprezzamento delle pattuizioni intervenute tra le parti, la cui riconduzione alla figura del contratto autonomo di garanzia, anziché a quella della fideiussione, in quanto frutto dell’interpretazione di clausole già esaminate e discusse in primo grado, non implicava il mutamento della causa petendi posta a fondamento della pretesa azionata dal Ministero. Come costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, non incorre infatti in ultrapetizione il giudice d’appello che attribuisca al rapporto in contestazione una qualificazione giuridica diversa da quella emergente dalla sentenza di primo grado o prospettata dalle parti, avendo egli il potere-dovere di inquadrare nell’esatta disciplina giuridica gli atti e i fatti che formano oggetto della controversia, anche in mancanza di una specifica impugnazione e indipendentemente dalle argomentazioni delle parti, purché nell’ambito delle questioni riproposte col gravame e con il limite di lasciare inalterati il petitum e la causa petendi e di non introdurre nel tema controverso nuovi elementi di fatto (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. III, 3 aprile 2009, n. 8142; 23 febbraio 2006, n. 4008; Cass., Sez. I, 11 settembre 2007, n. 19090).
2. — Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1362, secondo comma, 1936, primo comma, 1941 e 1945 cod. civ., anche in relazione all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., osservando che la qualificazione del rapporto come contratto autonomo di garanzia, anziché come fideiussione, si pone in contrasto con il tenore letterale della polizza, nell’ambito della quale il richiamo agli obblighi previsti dalla concessione doveva essere riferito all’obbligazione principale inerente all’utilizzazione del contributo, avente ad oggetto la realizzazione delle opere previste. L’estensione della garanzia agli adempimenti successivi, oltre ad essere smentita da un’interpretazione sistematica del contratto, che prevedeva la liberazione della garanzia a seguito di collaudi parziali delle opere, si poneva in contrasto con il comportamento successivo delle parti, e segnatamente con una circolare ministeriale del 24 luglio 1991, con cui l’Agenzia per la promozione dello sviluppo del Mezzogiorno aveva invitato gli organi di collaudo ad esprimere il loro parere in ordine all’importo svincolabile a seguito di un collaudo parziale, nonché con la premessa del disciplinare, che individuava la finalità del contributo nella realizzazione dello stabilimento industriale. La qualificazione della fattispecie come contratto autonomo di garanzia, oltre a risultare incompatibile con la previsione della liberazione del garante in caso di collaudi parziali, postulava infine l’esclusione della facoltà di opporre le eccezioni spettanti al debitore principale, non contemplata dalla polizza, in cui la Banca si era limitata a rinunciare alle eccezioni derivanti dal rapporto di garanzia.
2.1. — Il motivo è infondato.
Nel ricondurre il rapporto intercorrente tra le parti al contratto autonomo di garanzia, anziché alla fideiussione, la sentenza impugnata si è correttamente attenuta al principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il carattere distintivo della prima figura è costituito dall’assenza dell’elemento dell’accessorietà della garanzia, derivante dall’esclusione della facoltà del garante di opporre al creditore le eccezioni spettanti al debitore principale, in deroga alla regola essenziale posta per la fideiussione dall’art. 1945 cod. civ., e dalla conseguente preclusione della legittimazione del debitore a chiedere che il garante opponga al creditore garantito le eccezioni nascenti dal rapporto principale, nonché della proponibilità di tali eccezioni al garante successivamente al pagamento da quest’ultimo effettuato (cfr. Cass., Sez. III, 23 giugno 2009, n. 14621; 9 novembre 2006, n. 23900; Cass., Sez. I, 17 gennaio 2008, n. 903).
Ai fini della predetta qualificazione, la Corte territoriale ha peraltro ritenuto non decisiva la previsione dell’obbligo del garante di pagare “a semplice richiesta” o “a prima richiesta” del creditore, in tal modo conformandosi ad un orientamento all’epoca diffuso, secondo cui le predette espressioni potevano riferirsi sia a forme di garanzia svincolate dal rapporto garantito (e quindi autonome), sia a garanzie, come quelle fideiussorie, caratterizzate da un vincolo di accessorietà più o meno accentuato nei riguardi dell’obbligazione garantita, sia infine a clausole il cui inserimento nel contratto di garanzia è finalizzato, nella comune intenzione dei contraenti, non già all’esclusione, ma a una deroga parziale della disciplina dettata dall’art. 1957 cod. civ., esonerando il creditore dall’onere di proporre azione giudiziaria (cfr. Cass., Sez. III, 8 gennaio 2010, n. 84; 19 marzo 2007, n. 6450; 12 dicembre 2005, n. 27333). In quest’ottica, la sentenza impugnata non si è limitata ad evidenziare il tenore letterale delle clausole contrattuali, in particolare di quella che poneva a carico del garante l’obbligo di pagare entro trenta giorni dal ricevimento della richiesta scritta del Ministero, senza necessità della prova dell’inadempimento e del consenso della debitrice principale, e con l’espressa rinuncia a proporre qualsiasi eccezione. Pur affermando che, in quanto volta ad escludere l’onere del preavviso previsto dall’art. 1952 cod. civ. e la conseguente opponibilità al garante delle eccezioni spettanti al debitore principale, tale pattuizione si configurava come una deroga al principio dell’accessorietà dell’obbligazione fideiussoria, la Corte territoriale ha tenuto conto anche delle indicazioni emergenti dal contenuto complessivo del contratto e dal comportamento tenuto dalle parti, ponendo in risalto il collegamento esistente tra il richiamo agli obblighi imposti alla debitrice principale dal disciplinare allegato alla concessione e gli obiettivi perseguiti dal legislatore attraverso la previsione del contributo, nonché i limiti quantitativi cui era sottoposta la riduzione del garante, e desumendo da tali elementi che la garanzia non aveva ad oggetto esclusivamente l’adempimento dell’obbligo di realizzare lo stabilimento industriale, ma si estendeva anche al mantenimento dei livelli occupazionali previsti dal progetto approvato.
Nel censurare tale apprezzamento, la ricorrente non è in grado d’indicare le lacune argomentative o le carenze logiche del ragionamento seguito dalla sentenza impugnata, ma si limita ad insistere su elementi già presi in considerazione ai fini dell’interpretazione del contratto, e segnatamente sulla previsione della possibilità di liberare parzialmente il garante a seguito di collaudi parziali, la quale non si riflette in alcun modo sull’inopponibilità delle eccezioni fondate sul rapporto principale, configurandosi l’estinzione della garanzia come una naturale conseguenza dell’adempimento dell’obbligazione garantita, che il garante può sempre far valere, sotto il profilo dell’exceptio doli, in caso di escussione abusiva o fraudolenta della garanzia (cfr. Cass., Sez. I, 14 dicembre 2007, n. 26262; 17 marzo 2006, n. 5997). La rilevanza dei predetti elementi, ai fini della qualificazione della fattispecie, dev’essere d’altronde ridimensionata notevolmente alla luce della sentenza 18 febbraio 2010, n. 3947, sopravvenuta alla pronuncia di quella impugnata, con cui le Sezioni Unite di questa Corte, componendo il contrasto giurisprudenziale insorto in ordine all’idoneità della clausola di pagamento “a semplice richiesta” o “a prima richiesta” a determinare la trasformazione della fideiussione in contratto autonomo di garanzia, hanno fatto proprio l’orientamento contrario a quello cui si è uniformata la Corte distrettuale, affermando l’idoneità della predetta clausola ad orientare l’interprete verso l’approdo alla fattispecie del Garantievertrag, salva l’evidente discrasia con il contenuto residuo del contratto, riconoscendo a tale soluzione l’ineliminabile pregio di consentire ex ante la necessaria prevedibilità della decisione giudiziaria in caso di controversia, nonché di restringere le maglie di aleatori spazi ermeneutici sovente forieri di poco comprensibili disparità di decisioni a parità di situazioni esaminate (cfr. al riguardo anche Cass., Sez. III, 20 ottobre 2014, n. 22233; 27 settembre 2011, n. 19736).
3. — Resta pertanto assorbito il terzo motivo, con cui la ricorrente ha lamentato la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1941 cod. civ., nonché l’insufficienza, la contraddittorietà e l’illogicità della motivazione, affermando che, nello accogliere per intero la domanda proposta dal Ministero, la sentenza impugnata ha violato il principio di accessorietà della garanzia, in quanto, pur avendo accertato che il contratto prevedeva la liberazione del fideiussore in caso di collaudi parziali, non ha tenuto conto dell’avvenuta ultimazione delle opere e della regolare collaudazione della quasi totalità delle stesse.
4. — Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1175. 1362, 1363. 1366 e 1375 cod. civ.. nonché l’omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, rilevando che la sentenza impugnata non ha preso in esame l’exceptio doli sollevata da essa appellata in relazione all’abuso della garanzia in cui era incorso il Ministero, il quale aveva tenuto un comportamento non conforme a buona fede, avendo agito per il pagamento dell’intero importo della garanzia, nonostante l’avvenuta effettuazione di collaudi parziali.
5. — La predetta censura va esaminata congiuntamente a quella proposta con il quinto motivo, con cui la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1322 e 1362 cod. civ., nonché l’omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, sostenendo che, anche a voler qualificare la fattispecie come contratto autonomo di garanzia, la sentenza impugnata avrebbe dovuto tener conto della parziale estinzione dell’obbligazione principale, in quanto l’autonomia della garanzia non esclude la sussistenza di un legame tra la causa del debito del garante e la sorte del debito principale.
6. — I motivi sono entrambi inammissibili.
L’esclusione della rilevanza dei collaudi parziali, ai fini della liberazione della ricorrente dalla garanzia, trova infatti giustificazione nel richiamo della sentenza impugnata all’art. 3 del disciplinare allegato al provvedimento di concessione del contributo, il quale limitava la predetta liberazione ad una somma pari al 75% del valore delle opere collaudate, escludendo comunque la possibilità di ridurre la garanzia ad un importo inferiore alla differenza tra i mezzi propri dell’impresa già versati o da versare per il raggiungimento di una quota pari ad un terzo del contributo corrisposto per impianti fissi, sommata alla quota di contributo per opere, acquisti ed approvvigionamenti per i quali era dovuto il contributo ancora da erogarsi e ad una quota del 10% del contributo da liberarsi a seguito del collaudo finale. Nel censurare tale apprezzamento, la ricorrente non contesta l’interpretazione della clausola fornita dalla Corte di merito, ma si limita ad insistere sulla possibilità di far valere l’estinzione parziale della garanzia, quanto meno sotto il profilo dell’exceptio doli, omettendo tuttavia di precisare se all’effettuazione dei collaudi parziali, pacificamente riconosciuta in primo grado e rimasta incensurata in appello, abbiano fatto riscontro l’allegazione e la prova dell’avvenuto raggiungimento dello importo indicato dall’art. 3 del disciplinare, con la conseguenza che il motivo di impugnazione risulta, sotto tale profilo, carente di specificità. L’inopponibilità delle eccezioni di merito derivanti dal rapporto principale, che contraddistingue il contratto autonomo di garanzia rispetto alla fideiussione, comporta d’altronde che, ai fini dell’exceptio doli, il garante non possa limitarsi, come nella specie, ad allegare circostanze fattuali idonee a costituire oggetto di un’eccezione che il debitore garantito potrebbe opporre al creditore, ma debba far valere una condotta abusiva del creditore, il quale, nel chiedere la tutela giudiziale del proprio diritto, abbia fraudolentemente taciuto, nella prospettazione della fattispecie, situazioni sopravvenute alla fonte negoziale del diritto azionato ed aventi efficacia modificativa o estintiva dello stesso, ovvero abbia esercitato tale diritto al fine di realizzare uno scopo diverso da quello riconosciuto dall’ordinamento, o comunque all’esclusivo fine di arrecare pregiudizio ad altri, o ancora contro ogni legittima ed incolpevole aspettativa altrui (cfr. Cass., Sez. V, 12 settembre 2012, n. 15216; Cass., Sez. II, 20 marzo 2009, n. 6896; Cass., Sez. I, 7 marzo 2007, n. 5273).
7. — Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, e condanna l’Unicredito Italiano S.p.a. al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in complessivi Euro 20.200,00, ivi compresi Euro 20.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
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