Cassazione 15

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 25 novembre 2015, n. 24044

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CECCHERINI Aldo – Presidente

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere

Dott. FERRO Massimo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22674-2009 proposto da:

(OMISSIS) (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

CURATELA DEL FALLIMENTO (OMISSIS) S.N.C. E DI (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) E (OMISSIS);

– intimata –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MARSALA, depositato il 21/04/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29/10/2015 dal Consigliere Dott. ANTONIO DIDONE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SOLDI Anna Maria che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1.- (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque censure – contro il decreto (depositato il 21.4.2009) con il quale il Tribunale di Marsala ha liquidato i compensi spettanti ai curatori succedutisi nell’incarico nella procedura fallimentare della s.n.c. ” (OMISSIS)” e dei soci illimitatamente responsabili della stessa. Cio’, dopo avere liquidato vari acconti ai curatori suddetti e, in particolare, all’avv. (OMISSIS). Provvedimento (n. 165/2001), quest’ultimo, pure impugnato dal ricorrente.

Non ha svolto difese il curatore del fallimento intimato, avv. (OMISSIS).

1.1.- Il tribunale ha cosi’ sintetizzato le ragioni della decisione:

L’attivo complessivamente realizzato ammonta a euro 532.889,29 ed il passivo accertato a euro 1.825.461,89; il dott. (OMISSIS) ha ricoperto l’incarico per circa cinque anni, dal 19.4.1990 al 9.5.1995, realizzando un attivo pari a euro 9.461,03 ricevendo un acconto di euro 312,46;

l’avv. (OMISSIS) ha, invece, ricoperto l’incarico per circa tredici anni, dal maggio 1995 al mese di ottobre 2008, realizzando l’attivo residuo;

l’avv. (OMISSIS), e’ stato nominato curatore con decreto del 29.10.2008 e dovra’ occuparsi della predisposizione del progetto di ripartizione finale e delle altre attivita’ propedeutiche alla chiusura della procedura. In ragione di cio’, il tribunale ha ritenuto di poter liquidare un compenso complessivo pari a euro 34.000,00. Tale compenso, per le ragioni innanzi esposte, e’ stato frazionato fra i tre curatori che si sono succeduti nel corso della procedura tenendo conto della specifica attivita’ a ciascuno di essi riferibile e cioe’ complessivi euro 3.000,00 (al lordo dell’acconto gia’ corrisposto) in favore del dott. (OMISSIS), euro 28.500,00 in favore dall’avv. (OMISSIS) B. (e per esso in favore dei suoi eredi) e euro 2.500,00 in favore dell’avv. (OMISSIS).

2.- Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione di norme di diritto e formula, ai sensi dell’articolo 366 bis c.p.c. – applicabile ratione temporis – il seguente quesito: “nell’ipotesi in cui si avvicendano diversi curatori, nei confronti dei quali sussiste il principio di concorrenza diretta della singola opera prestata ai risultati della procedura fallimentare, se, in mancanza della notifica del decreto del Tribunale Fallimentare che dispone la liquidazione di acconti ad un curatore successivo al primo, questi ha titolo ad impugnare il decreto di liquidazione di detti acconti entro sessanta giorni dalla notifica del decreto finale di liquidazione con il quale il Tribunale dispone i compensi finali da assegnare ai diversi curatori succeduti, maggiorato dal periodo feriale. In sintesi, si chiede se il ricorso avverso il decreto di acconto emesso dal Tribunale e’ ammissibile e tempestivo se proposto entro 60 giorni dalla notifica del decreto finale (maggiorato dal periodo feriale)”.

2.1.- Va preliminarmente esaminata la richiesta del P.G. di affermazione dell’ammissibilita’ del ricorso, non potendosi esso ritenere tardivo stante l’applicabilita’ della sospensione dei termini nel periodo feriale. Questione espressamente posta dall’ultima parte del quesito di diritto innanzi trascritto.

Di recente le Sezioni unite di questa Corte hanno affermato che la sospensione feriale dei termini processuali, prevista dalla Legge n. 742 del 1969, articolo 1, non si applica alle opposizioni relative alla distribuzione della somma ricavata in sede di esecuzione forzata, proposte ai sensi dell’articolo 512 cod. proc. civ., avuto riguardo alla sostanziale identita’, strutturale e funzionale, dell’incidente cognitivo in sede distributiva con l’opposizione all’esecuzione di cui all’articolo 615 cod. proc. civ. – espressamente esclusa dal regime della sospensione feriale dal Regio Decreto n. 12 del 1941, articolo 92 – ed alla comune esigenza di non ritardare il soddisfacimento dei creditori, nonche’ all’inoperativita’ della sospensione in tema di reclamo avverso i decreti di riparto in materia fallimentare, ed alla coerenza dell’interpretazione indicata con il canone costituzionale della ragionevole durata del processo (Sez. U, Sentenza n. 10617 del 03/05/2010).

Dunque, si e’ avuto riguardo “alla sostanziale identita’, strutturale e funzionale” di un procedimento (incidente cognitivo in sede distributiva) con altro (opposizione all’esecuzione di cui all’articolo 615 cod. proc. civ.) espressamente escluso dal regime della sospensione feriale dal Regio Decreto n. 12 del 1941, articolo 92.

Il Regio Decreto n. 12 del 1941, articolo 92, da leggersi in combinato disposto con la Legge n. 742 del 1969, articolo 3, stabilisce l’esclusione dall’applicazione dei termini feriali delle cause riguardanti le opposizioni all’esecuzione. La previsione e’ stata estesa in via interpretativa a tutti gli incidenti cognitivi riguardanti la fase dell’esecuzione forzata ovvero all’opposizione agli atti esecutivi, all’opposizione di terzo e all’accertamento dell’obbligo del terzo, trattandosi di controversie incidenti sulla celerita’ della definizione della fase esecutiva. La sospensione dei termini feriali e’ stata ritenuta inapplicabile con orientamento del tutto consolidato della prima sezione della Corte di Cassazione in ordine ai decreti (ed al conseguente ricorso ex articolo 111 Cost.) emessi dal Tribunale fallimentare in sede di reclamo proposto ex articolo 26 L.F.. Secondo la Corte il reclamo in questione ha, nella procedura concorsuale una funzione sostitutiva (Cass. n. 8665 del 1992, rv. 478225) delle opposizioni previste negli articoli 615 e 617 cod. proc. civ. per il procedimento esecutivo individuale e, quindi, ha natura identica a questa ultima. Da tale premessa consegue che il divieto di sospensione sancito nella Legge n. 742 del 1969, articolo 3 con riferimento alle opposizioni esecutive (Regio Decreto n. 12 del 1941, articolo 92) si applica ai reclami in questione “ricorrendo la medesima ratio di rapida definizione di particolari procedimenti” (Cass. n. 2066 del 1995 rv. 490662). Il principio e’ stato costantemente ribadito con identica motivazione con l’integrazione, nella pronuncia n. 11100 del 2004 rv. 573574, della non ragionevole limitazione dell’inapplicabilita’ della sospensione dei termini processuali solo alle cause relative alla dichiarazione e alla revoca del fallimento, in quanto testualmente contenute nel Regio Decreto n. 12 del 1941, articolo 92 cit., attesa la medesima esigenza di sollecita definizione della procedura riscontrabile sia nell’esecuzione forzata che nel fallimento. La soluzione anticipata dal citato orientamento della prima sezione della Corte (oltre alle pronunce gia’ citate, sono conformi la n. 3796 del 1997 rv. 504026, n. 11967 del 1999 rv. 530781; n. 9570 del 2000 rv. 538607; n. 11100 del 2004 rv. n. 573574) ha avuto conferma nell’articolo 36 bis della nuova legge fallimentare che ha esteso a tutti i reclami ex articolo 26 e 36 L.F. la regola dell’inapplicabilita’ della sospensione dei termini feriali. Di recente, poi, e’ stato espressamente affermato che il termine per proporre ricorso in cassazione, ai sensi dell’articolo 111 Cost., avverso i decreti emessi dal tribunale fallimentare ex articolo 26 L.F., in sede di reclamo contro i provvedimenti del giudice delegato in materia di piani di riparto non e’ soggetto, per la generale previsione introdotta dall’articolo 36 bis L.F., alla sospensione feriale di cui alla Legge 7 ottobre 1969, n. 742, articolo 3, in relazione all’articolo 92 dell’ordinamento giudiziario. Il principio – affermato con riferimento a procedura aperta nella vigenza del Decreto Legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, – trova applicazione anche nelle procedure iniziate anteriormente, dal momento che il descritto reclamo ha funzione sostitutiva delle opposizioni previste dall’articolo 617 cod. proc. civ. nel processo esecutivo individuale (cosi’, in terminis, Sez. 6-1, Ordinanza n. 21345 del 29/11/2012). Nella concreta fattispecie non si tratta di procedimento assimilabile ai reclami disciplinati dall’articolo 36 bis L.F., ovvero alle opposizioni esecutive ai sensi dell’articolo 617 c.p.c..

E’ vero, peraltro, che in forza dell’articolo 117 L.F., il giudice delegato ordina il riparto finale dell’attivo soltanto dopo la liquidazione del compenso al curatore, si’ che la definizione del procedimento di cui all’articolo 39 L.F. (e, quindi, anche del ricorso proposto ai sensi dell’articolo 111 Cost. contro il decreto di liquidazione) si pone come ostacolo alla ripartizione finale e, dunque, alla definizione della procedura esecutiva concorsuale. Nondimeno, anche in relazione al nuovo articolo 36 bis c.p.c. e’ ripetibile il principio per il quale le controversie relative al passivo fallimentare – tranne che venga in considerazione un credito di lavoro – atteso il carattere tassativo delle cause per le quali non vale la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, disposta dalla Legge 7 ottobre 1969, n. 742, articolo 1 – sono soggette a tale sospensione (Sez. 1, Sentenza n. 1743 del 27/01/2006).

E’ applicazione di tale principio la pronuncia con la quale si e’ affermato che il ricorso per Cassazione, avverso il provvedimento con cui il tribunale abbia liquidato il compenso al commissario giudiziale dell’amministrazione controllata, e’ soggetto alla sospensione dei termini durante il periodo feriale, stante la non riconducibilita’ della controversia fra quelle “relative alla dichiarazione ed alla revoca del fallimento”, per le quali e’ prevista deroga alla sospensione medesima (articolo 3 della legge 7 ottobre 1969 n. 742, in relazione al Regio Decreto 30 gennaio 1941, n. 12, articolo 92) (Sez. U, Sentenza n. 423 del 21/01/1988).

Da ultimo, a fronte delle numerose pronunce in tema e all’intento di dirimere contrasti giurisprudenziali (come previsto dalla legge delega) l’articolo 36-bis, introdotto dal Decreto Legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, articolo 33, con l’ampia rubrica “Termini processuali”, si limita a prevedere che “Tutti i termini processuali previsti negli articoli 26 e 36 non sono soggetti alla sospensione feriale”, senza menzionare il procedimento di cui all’articolo 39 L.F. Talche’, esclusa la sostanziale identita’, strutturale e funzionale tra i reclami contro i provvedimenti in tema di riparto e il procedimento di liquidazione del compenso al curatore, al ricorso proposto ex articolo 111 Cost. contro il decreto di liquidazione del compenso ai sensi dell’articolo 39 L.F., si applica la sospensione dei termini nel periodo feriale. Si’ che il ricorso – proposto il 21.7.2009 contro provvedimento notificato il 12.10.2009 – e’ tempestivo.

2.2.- Cio’ premesso in ordine alla tempestivita’ del ricorso avverso il decreto finale di liquidazione del compenso, va evidenziato che i decreti con i quali il tribunale fallimentare concede o rifiuta gli acconti richiesti dal curatore sul compenso, sono espressione di un potere discrezionale ed intervengono in una fase processuale anteriore alla presentazione ed approvazione del conto, non assumendo, di conseguenza l’efficacia di cosa giudicata. Tali provvedimenti, pertanto, non possono pregiudicare la futura e definitiva decisione sul compenso dovuto (dopo la presentazione del rendiconto) cui corrisponde un diritto soggettivo del curatore, ragione per cui oltre a non essere ricorribili per Cassazione ai sensi dell’articolo 111 Cost., non possono essere soggetti a revocazione ai sensi dell’articolo 397 cod. proc. civ., non essendo qualificabili come “sentenze” (Sez. 1, Sentenza n. 18916 del 31/08/2010).

D’altronde, i decreti con cui il tribunale fallimentare concede o rifiuta gli acconti richiesti dal curatore sul compenso sono espressione di un potere discrezionale ed intervengono in una fase processuale anteriore alla presentazione ed approvazione del conto, non assumendo, pertanto, efficacia di cosa giudicata ne’ potendo pregiudicare, dopo la presentazione del rendiconto, la futura e definitiva decisione sul compenso (Sez. 6-1, Ordinanza n. 18494 del 01/09/2014).

Pertanto tutte le censure mosse esclusivamente avverso i provvedimenti di liquidazione degli acconti sono inammissibili.

3.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di norme di diritto e formula il seguente quesito: “se, in presenza di curatori diversi, nominati nello stesso fallimento, le liquidazioni dei compensi trovano tutela giurisdizionale di merito e di legittimita’ nell’ordinamento italiano in vigenza del RD n. 267 del 1942 negli articoli 39 e 109 L.F., nel Decreto Ministeriale n. 570 del 1992, articoli 1, 2, 4 e 6, dell’articolo 101 c.p.c. e dell’articolo 111 Cost., comma 2 e, ovvero di altra norma, anche in ambito Europeo, in forza delle quali il ricorrente possa avere giustizia e vedersi liquidato il compenso dovuto, secondo principi di proporzionalita’, di merito e di equita’; se considerati non conformi alle norme della Legge fallimentare i procedimenti, gli atti prodromici (qualora emessi) e gli atti qui opposti, i decreti di liquidazione dei compensi in acconto e finali sono nulli “in re ipsa” per violazione delle stesse norme richiamate, con ogni consequenziale effetto di legge, diretto e derivato”.

3.1.- Con il motivo, in sostanza, si chiede di affermare l’impugnabilita’ dei decreti di liquidazione degli acconti, e la loro nullita’ “se non conformi alle norme della legge…”.

Il motivo e’ inammissibile sia per la genericita’ del quesito sia per le ragioni esposte sub p. 2.2 in ordine ai provvedimenti che liquidano acconti.

4.- Con il terzo motivo – punto 1 – il ricorrente denuncia violazione di norme di diritto e formula il seguente quesito: se “1) ai sensi del comma 2 dello stesso articolo 109 L.F. il GD ha competenza esclusiva di provvedere ed attribuire il compenso in acconto al curatore che ha presentato istanza intestata al GD e con la quale gli chiedeva disporre ai sensi del medesimo articolo 109 L.F.; 2) la procedura da seguire per le determinazioni dei compensi per i curatori fallimentari, in acconto e finale, hanno un ordine secondo le indicazioni degli articoli 39 e 109 L.F. e del Decreto Ministeriale n. 570 del 1992, sia nel rispetto delle disposizioni sulla procedura e sia dell’esistenza degli atti prodromici (quanto meno, l’istanza motivata, il rendiconto approvato, la relazione del GD) mancando e/o in difetto dei quali i decreti sono nulli. 3) i decreti di liquidazioni di compensi a curatori fallimentari, sono validi anche in presenza di ripetute violazioni di legge e/o falsa applicazione del Regio Decreto n. 267 del 1942, articolo 39 e 109, nonche’ di violazione del Decreto Ministeriale n. 570 del 1992, articoli 1, 2, 4 e 6, ovvero di altre norme procedurali e di legittimita’, e se, in questo caso, il Tribunale che ha emesso tali atti e’ obbligato in autotutela ad annullarli, disponendo nel rispetto della legge ed in conformita’ alle richiamate norme”.

Con il terzo motivo – punto 2 – il ricorrente denuncia violazione di norme di diritto e formula il seguente quesito: “se il Tribunale Fallimentare commetta violazione di legge, con la conseguente improcedibilita’ dell’istanza e/o la nullita’ ovvero l’annullabilita’ del decreto emesso, ricorrendo tutti od in parte le seguenti situazioni di diritto: 1. Nel caso in cui il decreto di liquidazione presenta errori materiali (rilevato da una delle parti, un curatore) e se tale decreto e’ stato emesso senza considerare l’istanza di liquidazione del compenso presentata da un altro curatore fallimentare, conseguendo in questi casi la nullita’ del decreto e/o l’obbligo del Tribunale di rettificare l’atto collegiale ai sensi dell’articolo 287 c.p.c. e/o dell’articolo 288 c.p.c., comma 2; 2. Nel caso in cui il decreto di liquidazione presenta una illogicita’ manifesta, tra opera prestata e somma liquidata, palesi sperequazioni ed evidenti disparita’ di trattamento giuridico, da cui deriva un ingiusto compenso nei confronti di un curatore o di parte dei curatori che si sono succeduti; 3. Nel caso di mancata produzione di atti prodromici, quanto meno, dell’istanza, redatta ai sensi dell’articolo 39 da parte del curatore, del rendiconto del curatore, che deve essere preliminarmente e regolarmente approvato, del decreto di attribuzione del GD ai sensi dell’articolo 109, comma 2 L.F. e della relazione, emessa dal GD ai sensi dell’articolo 39”.

Con il terzo motivo – punto 3 – il ricorrente denuncia vizio di motivazione e formula la seguente sintesi del fatto controverso: “se in difetto della motivazione, per assenza e/o insufficienza totale della motivazione e/o dei criteri di attribuzione dei compensi ai singoli curatori, nel caso di fallimento con diversi curatori che si sono succeduti, i decreti di liquidazione dei compensi a detti curatori fallimentari sono nulli qualora la “insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione” (articolo 366-bis c.p.c. cosi’ come modificato dal Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, articolo 6) e qualora il decreto collegiale non e’ conforme alle indicazioni dei criteri di cui all’articolo 39 L.F., e del regolamento Decreto Ministeriale 28 luglio 1992, n. 570″.

4.1.- Il motivo – anche nelle sue articolazioni – non merita accoglimento.

Esso denuncia violazioni processuali nel procedimento di liquidazione dell’acconto e di quello finale. Il primo quesito si sofferma sulla violazione dell’articolo 109 cpv., perche’ il tribunale avrebbe usurpato la competenza esclusiva del G.D.

La genericita’ degli altri quesiti dispenserebbe dall’esame.

In ogni caso e’ evidente che il tribunale ha applicato la norma come modificata dal decreto n. 5/2006, mentre il ricorrente suppone applicabile il vecchio testo per il fatto che il fallimento e’ anteriore. Ma tutto cio’ riguarda l’acconto, mentre la lesione del diritto puo’ derivare solo dagli eventuali riflessi sul definitivo.

Nella congerie un po’ confusa di argomenti e nella genericita’ degli altri quesiti sembra che si lamenti essenzialmente la mancata considerazione finale della domanda presentata dal ricorrente (peraltro beneficiario della sua liquidazione).

Nel resto la censura e’ inammissibile perche’ denuncia generici vizi di motivazione con formulazione della sintesi ex articolo 366 bis c.p.c. assolutamente generica e tautologica.

5.- La Corte deve ribadire che la previsione della complessiva determinazione del compenso al curatore e del successivo riparto tra i due curatori, succedutisi nella funzione, comporta, stante l’unitarieta’ della situazione sostanziale, la necessita’ della partecipazione al procedimento camerale di cui all’articolo 39 L.F., di ambedue i soggetti che hanno rivestito tale qualita’, al fine di individuare la frazione spettante a ciascuno, nel rispetto del principio del contraddittorio (Sez. 1, Sentenza n. 13551 del 30/07/2012).

Nella concreta fattispecie il ricorso non risulta notificato agli eredi dell’avv. (OMISSIS).

Costituisce, tuttavia, principio ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello per cui “il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli articoli 175 e 127 cod. proc. civ.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attivita’ processuali e formalita’ superflue perche’ non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parita’, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale e’ destinato ad esplicare i suoi effetti. Ne consegue che, in caso di ricorso per cassazione prima facie infondato, appare superflua, pur potendo sussistere i presupposti (come nella specie, per inesistenza della notificazione dei ricorso nei confronti di alcuni litisconsorti necessari), la fissazione del termine ex articolo 331 cod. proc. civ., per l’integrazione del contraddittorio, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettivita’ dei diritti processuali delle parti” (in tal senso, Cass. n. 2723 del 2010; per il riferimento ad una ipotesi di inammissibilita’ del ricorso, Cass., S.O., n. 6826 del 2010; per ipotesi di rigetto v. Sez. U, Sentenza n. 21670 del 23/09/2013; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 24540 del 2013).

Ed e’ appunto questa l’ipotesi che si presenta nel caso di specie, atteso che, come si e’ visto, i motivi di ricorso non meritano accoglimento.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

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