cassazione 7

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 24 luglio 2015, n. 15566

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Presidente

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere

Dott. DI VIRGILIO Maria Rosa – Consigliere

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10094-2008 proposto da:

(OMISSIS) (c.f. (OMISSIS)), (OMISSIS) (c.f. (OMISSIS)), nella qualita’ di eredi di (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS) S.P.A. (P.I. (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4664/2007 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 12/11/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/06/2015 dal Consigliere Dott. FRANCESCO ANTONIO GENOVESE;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato (OMISSIS), con delega, che ha chiesto l’accoglimento del proprio ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SALVATO Luigi che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di quella stessa citta’, con la quale era stata respinta la domanda proposta dai sigg. (OMISSIS) e (OMISSIS), quali eredi del dr. (OMISSIS), medico, inventore di un prodotto antireumatico, la cui produzione era curata dalla (OMISSIS) SpA di (OMISSIS) (successivamente fallita), societa’ che, all’insaputa del medico, aveva rifornito la (OMISSIS) SpA (d’ora innanzi, solo Casa di cura) del prodotto in questione, traendone indebito profitto.

1.1. Gli eredi del dottor (OMISSIS), dopo l’interruzione del giudizio nei riguardi della societa’ produttrice (fallita), avevano concentrato le loro domande nei confronti della Casa di cura chiedendo la condanna di quest’ultima ai danni per la concorrenza sleale o, in subordine, ex articolo 2041.

1.2. Secondo il giudice distrettuale, i motivi di impugnazione andavano disattesi in quanto: a) il CTU aveva escluso categoricamente che il citrato di sodio, mai brevettato ma facilmente reperibile in commercio come prodotto galenico, potesse essere in alcun modo considerato come farmaco antireumatico, mancando di conferme in letteratura e di ogni forma di sperimentazione controllata, atta a dimostrare l’efficacia del prodotto,.

con la pubblicazione dei relativi risultati; b) all’unico paziente ricoverato in Clinica a cui era stato somministrato il citrato di sodio (peraltro, come soluzione fisiologica atta a diluire altri medicamenti), tale sig. (OMISSIS), erano stati impartiti – unitamente al detto citrato e contemporaneamente – anche alcuni noti farmaci utilizzati per il loro potere antinfiammatorio.

2. Avverso tale pronuncia ricorrono per cassazione i soccombenti eredi del dr. (OMISSIS), con ricorso affidato a quattro mezzi.

3. La Casa di cura resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso (omessa motivazione in relazione ad un punto decisivo della controversia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5) i ricorrenti pongono il seguente quesito: Dica la Corte se la CTU, che per definizione costituisce la valutazione di un fatto di prova, possa prescindere dagli elementi del fatto su cui essa deve vertere, per essere la “rappresentazione tecnica”e, nel nostro caso, ” scientifica” e se l’esserne prescisso senza motivazione si risolva nella sua omissione.

1.1. Secondo il ricorso, la Corte territoriale avrebbe errato seguendo le risultanze della Consulenza che, invece, non avrebbe considerato che: a) non si trattava di citrato sodico ma di citrato trisodico; b) il prodotto non era in commercio, ma prodotto – dalla soc. (OMISSIS), che ne aveva abusato – per conto ed uso esclusivo del dr. (OMISSIS); c) la domanda era stata indirizzata nei confronti sia del produttore che dell’acquirente e concorrente sleale, con la proposizione di un’azione di concorrenza sleale ex articolo 2598 c.c. o domanda ex articolo 2043 c.c.; d) la smentita del potere antireumatico del prodotto sarebbe testimoniata dal suo uso quotidiano e terapeutico fatto dalla Casa di cura.

L’interpretazione fornita dal giudice distrettuale sarebbe in contrasto con la giurisprudenza di legittimita’ e quella comunitaria che non autorizzerebbero affatto l’importazione da paesi extracomunitari o da mercati paralleli.

2. Con il secondo motivo (violazione e falsa applicazione dell’articolo 2598 c.c. – omessa motivazione in relazione ad un fatto decisivo della causa, in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5) i ricorrenti pongono il seguente quesito di diritto: Dica la Corte se il dr. (OMISSIS) avesse la liberta’ di determinazione nella non brevettabilita’ della formula a cui tuttavia suppliva il divieto della sua messa in commercio e se la sua utilizzazione clandestina ad uso terapeutico del prodotto da parte della controparte costituisca fatto illecito in relazione all’articolo 2598 c.c..

2.1. Secondo i ricorrenti, il fatto che il prodotto non fosse stato brevettato non avrebbe escluso l’abuso di chi lo aveva messo in commercio, anche perche’, diversamente da quanto affermato dal CTU, non si sarebbe trattato di un citrato sodico ma di un citrato trisodico e, percio’, di un prodotto galenico non reperibile in commercio.

3. Con il terzo mezzo (violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., comma 2 – omessa motivazione in relazione ad un fatto decisivo della causa, in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5) i ricorrenti pongono il seguente quesito di diritto: Dica la Corte se la spiegazione fornita dalla controparte, assunta come convincente e ragionevole, non suffragata dal parere di un CTU, possa supplire l’inosservanza dell’onere della prova di cui all’articolo 2697 c.c..

3.1. Secondo il ricorso, con riguardo al fatto che il prodotto era stato utilizzato dalla Clinica solo in riferimento ad un paziente ed in unione a altri farmaci antinffiammatori, come soluzione fisiologica capace di meglio veicolari gli altri farmaci, la Corte territoriale avrebbe invertito l’onere della prova sobbarcandola a loro, come fossero i Consulenti tecnici dell’ufficio che avrebbero dovuto confutare l’opposto parere, del tutto sfornito di elementi di certezza.

4. Con il quarto (violazione dell’articolo 112 c.p.c. per mancata pronuncia su una domanda subordinata, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3) i ricorrenti pongono il seguente quesito di diritto: Dica la Corte se costituisca violazione dell’articolo 112 c.p.c. la mancata adozione di una qualsiasi pronuncia su un capo di domanda, pure spiegato in via subordinata.

4.1. I ricorrenti assumono che non sarebbe stata scrutinata la domanda subordinata di indebito arricchimento proposta ex articolo 2041.

5. Preliminarmente, si osserva che l’avviso dell’udienza al difensore dei ricorrenti (avv. (OMISSIS)) e’ stato comunicato (articolo 377 c.p.c., comma 2) presso la Cancelleria della corte di cassazione, ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., comma 2, u.p., non essendo andato) a buon fine il tentativo di reperire il difensore presso il suo studio di (OMISSIS), come dichiarato nel ricorso per cassazione.

5.1. Dalle ricerche eseguite d’ufficio dalla Cancelleria della corte, in data 13 maggio 2015, ossia prima dell’adempimento svolto ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., comma 2, u.p., risulta che l’avv. (OMISSIS) e’ stato cancellato dall’albo degli avvocati di appartenenza.

5.2. Si pone, pertanto, il problema della ritualita’ della notificazione dell’avviso di udienza presso la cancelleria di questa Corte, ai sensi della disposizione sopra piu’ volte menzionata.

5.3. Osserva la Corte che l’avviso di udienza e’ rispettoso della disciplina vigente, sulla base delle seguenti considerazioni.

5.3.1. Il caso della cancellazione del difensore dall’albo di appartenenza (nella specie: quello tenuto dal COA di Roma e, per l’effetto, quello vigilato dal CNF per l’esercizio presso le ccdd. Giurisdizioni superiori), diversamente dal caso della morte dell’unico difensore nel giudizio di cassazione (sul quale e’ intervenuto l’arresto delle sezioni unite: la sentenza n. 477 del 2006), non vulnera, in modo irrimediabile, il diritto di difesa della parte in quel giudizio e non determina, per la Corte di cassazione, la necessita’ di rinviare a nuovo ruolo la causa, onerando la cancelleria di dare comunicazione alla parte personalmente, onde consentirle di provvedere alla nomina di un nuovo difensore.

5.3.2. Infatti, il professionista che venga cancellato dall’albo (per scelta volontaria o comando dell’autorita’) e’ comunque soggetto al dovere, nascente dal rapporto di mandato con il proprio cliente, di informare la parte della propria impossibilita’ di continuare ad esercitare il patrocinio nella causa in cui e’ stato nominato come difensore, pena le conseguenze di tale violazioni (non solo morali – in ragione della recisione del legame deontologico con l’ordine professionale di appartenenza – ma soprattutto giuridiche, nascenti dall’originario contratto posto a base del dovere defensionale).

5.3.3. In tal senso, del resto, e’ tutta l’evoluzione giurisprudenziale che ha, in varie decisioni, richiamato il dovere del cessato difensore (escluso il caso della morte, secondo la menzionata la sentenza n. 477 del 2006) di notiziare i propri assistiti (e, finanche, gli eredi o successori di quelli) dell’esistenza di impedimenti all’esercizio del proprio ufficio o della sua limitazione in conseguenza di vicende volontarie o coattivamente subite (cfr. Sez. U, Sentenza n. 935 del 1968, Sez. 2, Sentenza n. 1986 del 1969 e Sez. 1, Sentenza n. 1596 del 2000 sulla c.d. perpetuatiti dell’ufficio defensionale, ovviamente – nella specie – non possibile, ma indicativo di una traiettoria di adempimenti diretti a non sguarnire il diritto inviolabile alla difesa; Sez. U, Sentenza n. 15295 del 2014, specificamente, sull’ultrattivita’ del mandato alla lite).

6. Venendo al merito del ricorso, il primo motivo e’ inammissibile atteso che, con esso, nel quesito sottoposto a questa Corte, si lamenta un error in procedendo, concernente la metodologia e i risultati della CTU, mentre nell’esposizione posta a suo sostegno (e nella rubrica del mezzo di cassazione) si censura un vizio di motivazione.

6.1. In tal modo, pero’, il mezzo proposto si palesa perplesso ed ambiguo, conservando una duplice natura, e come tale non idoneo a colpire la sentenza impugnata nel vizio che l’affligge e che deve essere necessariamente e preventivamente identificato in modo univoco, nel ricorso per cassazione.

6.2. Senza tacere che il mezzo si risolve nell’enunciazione di fatti irrilevanti ai fini di dimostrare l’asserita valenza inventiva del farmaco ideato dal dante causa dei ricorrenti e, come tali, privo dell’indicazione dei rilevanti vizi motivazionali su tale decisivo aspetto.

7. Va respinto, tuttavia, il secondo mezzo di ricorso, in quanto, in ordine al preteso vizio motivazionale, manca del tutto la sintesi del fatto che avrebbe dovuto essere formulata dal ricorrente; e, in ordine alla violazione di legge, la doglianza non ha fondamento.

7.1. Infatti, anche quando, come nella specie, gli atti di concorrenza sleale siano posti in essere mediante la vendita o l’immissione abusiva sul mercato di un trovato, che non deve essere necessariamente registrato, e’ necessario comunque che quel prodotto possieda, cumulativamente, i requisiti dell’originalita’ e della sua capacita’ distintiva.

7.2. Del resto, la mancata brevettazione non e’ addotta dal giudice d’appello come ragione di non tutelabilita’ in astratto del prodotto dell’ingegno eventualmente non brevettato, bensi’ come conferma della mancanza di qualita’ inventiva del prodotto di cui in concreto si sta discutendo, e nuovamente si tratta di valutazione di merito, in se’ non illogica, che i ricorrenti non censurano adeguatamente neppure sul piano della motivazione.

7.3. Nella specie, si allega il fatto che tali requisiti sussisterebbero e che essi non sarebbero stati individuati dal CTU nella sua Relazione, poi trasfusa nella motivazione della sentenza impugnata in questa sede, ma senza spiegare perche’ – trattandosi di un farmaco capace di incidere sulla salute di un numero indeterminato di persone – si potesse prescindere dalla mancanza di uno studio sulla sperimentazione pubblica e controllata del prodotto e sui risultati conseguenti ad essa e in che cosa si differenziasse, con particolare riferimento alle proprieta’ curative antinfiammatorie che si asseriscono possedute dal trovato, un citrato sodico (comunemente in commercio) da uno trisodico (che tale non sarebbe).

8. Anche il terzo motivo soffre delle stesse difficolta’ del secondo mezzo, in quanto, in ordine al preteso vizio motivazionale, ancora una volta, manca del tutto la sintesi del fatto che avrebbe dovuto essere formulata dal ricorrente; e, in ordine alla violazione di legge, la doglianza non ha fondamento.

8.1. Infatti, questa stessa sezione (Sentenza n. 29522 del 2008), sia pure a proposito di altra forma di concorrenza sleale, ha gia’ enunciato il principio di diritto secondo cui l’onere della prova con riguardo ad entrambi i fatti costitutivi del trovato oggetto di attivita’ sleale, per abusiva immissione in commercio, incombe su chi agisce in contraffazione, mentre incombe sul convenuto in sleale attivita’ commerciale l’onere di provare la mancanza di novita’ del prodotto o la perdita sopravvenuta della sua capacita’ distintiva, quali fatti estintivi dell’altrui diritto.

8.2. Nel caso di specie, avendo il CTU escluso o, comunque, ritenuto non provate le proprieta’ antinfiammatorie del prodotto medicale (attraverso il ragionamento fatto proprio dalla Corte territoriale e riepilogato nella parte espositiva di questa sentenza) era onere degli attori in concorrenza sleale provarne la loro esistenza. Nessuna violazione vi e’ dunque stata, riguardo alla regola del riparto dell’onere probatorio, richiamata al che precede.

9. L’ultimo mezzo di cassazione e’ in parte inammissibile ed in parte infondato.

9.1. Inammissibile, perche’ il ricorso non dice nulla circa il se, il dove, il come e il quando quella domanda sia stata proposta.

9.2. Infondato, perche’ non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico della controversia, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo (Sez. 1, Sentenza n. 5351 del 2007).

9.3. Nella specie, l’avere escluso la sussistenza dei requisiti di originalita’ e distintivita’ del trovato comporta anche una implicita reiezione della doglianza di indebito arricchimento da parte dei suoi utilizzatori.

10. In conclusione, il ricorso e’ infondato e deve essere respinto, con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Respinge il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali sostenute dalla resistente, che si liquidano nella misura di euro 4.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali forfettarie ed accessori di legge.

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