Cassazione 4

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 16 ottobre 2015, n. 41693

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SIOTTO Maria C. – Presidente

Dott. VECCHIO Massimo – Consigliere

Dott. DI TOMASSI Maria Stefani – Consigliere

Dott. BONITO Francesco M. – Consigliere

Dott. MAGI Raffaell – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso l’ordinanza n. 442/2014 GIP TRIBUNALE di BOLOGNA, del 25/06/2014;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RAFFAELLO MAGI;

lette/sentite le conclusioni del PG Dott. ROMANO G. che ha chiesto il rigetto del ricorso.

 

IN FATTO E IN DIRITTO

 

1. Con ordinanza emessa in data 25 giugno 2014 il Tribunale di Bologna – in sede esecutiva – ha respinto l’istanza proposta da (OMISSIS), tesa alla rideterminazione della pena oggetto di applicazione ex articolo 444 c.p.p. con sentenza emessa il 28.4.2008. irrevocabile il 6.2.2009. Con tale decisione era stata applicata la pena concordata nella misura di anni tre di reclusione ed euro 12.000 di multa.

Le parti, in sede di accordo, avevano indicato la pena base in anni sei e mesi tre di reclusione (euro 26.000 di multa) in riferimento al reato di detenzione di droga leggera (hashish per kg. 5.500), ridotta per le circostanza attenuante di cui all’articolo 73, comma 7 ed applicando successivamente un aumento per continuazione in rapporto alle ulteriori contestazioni concernenti la cessione di cocaina (per gr. 6,5) ed altre ipotesi di cessione di droga leggera, con diminuzione per la scelta del rito.

In rapporto agli effetti della decisione emessa dalla Corte Costituzionale n. 32 del 2014, il G.E. riteneva, con ampia motivazione, che la presenza tra le fattispecie oggetto dell’accordo di una ipotesi di cessione di droga pesante (anche se in un contesto determinativo di reato satellite) impediva l’accoglimento della richiesta.

Cio’ perche’ in rapporto a tale condotta la cornice edittale derivante dall’intervento normativo del 2005 (ritenuto incostituzionale) era in realta’ piu’ favorevole e pertanto l’effetto di rideterminazione – in astratto possibile solo per le detenzioni illecite di droga leggera – non avrebbe potuto conseguire alcun effetto migliorativo.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) – a mezzo del difensore – deducendo violazione di legge e vizio di motivazione.

Nel ricorso si rappresenta che la modifica del trattamento sanzionatorio appare possibile in riferimento ai contenuti della decisione n. 32 del 2014 emessa dalla Corte Costituzionale, avendo concorso alla determinazione della pena piu’ episodi di detenzione il leda di droga leggera.

Quanto alla cessione di cocaina si ipotizza come possibile il riconoscimento, in sede esecutiva, della circostanza attenuante di cui all’articolo 73, comma 5.

3. Il ricorso e’ fondato e va accolto per le ragioni che seguono.

3.1 va ricordato che sul tema del rapporto tra l’intangibilita’ del giudicato e le ricadute di decisioni della Corte Costituzionale incidenti sul mero trattamento sanzionatorio – oggetto di disputa teorica e di contrastanti orientamenti giurisprudenziali – sono di recente intervenute le Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 42858 del 29.5.2014 (dep. 14.10.2014) ric. Gatto nonche’ con le decisioni emesse nella recente udienza del 26 febbraio 2015 rie. Jazouli e ric. Marcon (di tali decisioni sono disponibili, al momento della presente decisione, le informazioni provvisorie).

L’opzione interpetrativa seguita in detti arresti – cui si presta adesione – ritiene superabile, anche li’ dove la declaratoria di illegittimita’ costituzionale riguardi una norma incidente sul trattamento sanzionatorio (e non anche abrogativa della rilevanza penale del fatto) il limite del giudicato.

La motivazione della decisione Sez. U. ric. Gatto si incentra – essenzialmente – sulla diversita’ ontologica di una pronunzia di incostituzionalita’ rispetto ad un ordinario intervento legislativo basato, il secondo, sulla rivalutazione – in rapporto al decorso del tempo e a mutate sensibilita’ sociali, storiche o culturali – del contenuto di norme penali.

La pronunzia di incostituzionalita’ – a differenza dell’ordinario intervento normativo – inficia, invece, sin dall’origine la disposizione impugnata e pertanto non e’ in alcun modo omologabile alla vicenda della successione di leggi nel tempo.

Si e’ ribadito pertanto che la norma costituzionalmente illegittima viene espunta dall’ordinamento giuridico perche’ affetta da invalidita’ originaria e cio’ impone e giustifica la proiezione retroattiva sugli effetti ancora in corso di rapporti giuridici pregressi della intervenuta pronuncia di incostituzionalita’.

Da cio’ deriva che tutti gli effetti pregiudizievoli derivanti da una sentenza penale di condanna fondata, sia pure in parte, sulla norma dichiarata incostituzionale devono essere rimossi dall’universo giuridico, ovviamente nei limiti in cui cio’ sia possibile, non potendo essere eliminati gli effetti irreversibili perche’ gia’ compiuti e del tutto consumati.

La norma regolatrice viene individuata, per l’appunto, nella previsione della Legge n. 87 del 1953, articolo 30, comma 4 (quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale e’ stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali) il cui ambito applicativo non si limita ad imporre la retroattivita’ delle decisioni aventi ad oggetto la rilevanza penale del fatto ma si estende al caso di declaratoria di incostituzionalita’ di norma penale diversa ed incidente sulla determinazione della pena.

Da qui la considerazione per cui la formazione del giudicato e il mancato inserimento nel corpo dell’articolo 673 cod. proc. pen. del caso di declaratoria di incostituzionalita’ di norma penale incidente sul trattamento sanzionatorio (essendo presa in esame la sola ipotesi di dichiarazione di incostituzionalita’ di norma incriminatrice) non rappresentano fattori ostativi alla estensione in sede esecutiva degli effetti di simili pronunzie.

In particolare, le Sezioni Unite ric. Gatto hanno cosi’ individuato il limite di rilevanza della pronunzia di incostituzionalita’ rispetto al giudicato:.. l’aspetto decisivo, che segna invece il limite non discutibile di impermeabilita’ e insensibilita’ del giudicato anche alla situazione di sopravvenuta declaratoria di illegittimita’ costituzionale della norma applicata e’ costituito dalla non reversibilita’ degli effetti, giacche’ il citato articolo 30 impone di rimuovere tutti gli effetti pregiudizievoli del giudicato non divenuti nel frattempo irreversibili perche’ gia’ consumati, come nel caso di condannato che abbia gia’ scontato la pena…; l’esecuzione della pena implica infatti l’esistenza di un rapporto esecutivo che nasce dal giudicato e si esaurisce soltanto con la consumazione o l’estinzione della pena. Sino a quando l’esecuzione della pena e’ in atto il rapporto esecutivo non puo’ dirsi esaurito e gli effetti della norma dichiarata costituzionalmente illegittima sono ancora perduranti e dunque possono e devono essere rimossi. Si tratta di una affermazione di indubbio rilievo sistematico e pratico, posto che viene imposta al giudice della esecuzione una verifica di rilevanza del decisum della Corte Costituzionale nel caso concreto, non potendosi intervenire sul titolo esecutivo li’ dove l’effetto della norma dichiarata incostituzionale si sia in fatto esaurito per aver gia’ dato luogo alla esecuzione della pena in modo integrale. Nel caso oggetto dell’intervento delle Sezioni Unite ric. Gatto si trattava di valutare le ricadute della decisione n. 251 del 2012 C.Cost. attestante l’invalidita’ costituzionale del divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 sulla recidiva reiterata.

Si e’ affermato che, in tal caso, li’ dove il mancato esito del giudizio di comparazione nel senso della prevalenza sia dipeso dal divieto di legge rimosso (articolo 69 c.p.p., comma 4) l’esecuzione della pena deve ritenersi illegittima sia sotto il profilo oggettivo, in quanto derivante dall’applicazione di una norma di diritto penale sostanziale dichiarata incostituzionale dopo la sentenza irrevocabile, sia sotto il profilo soggettivo, in quanto, almeno per una parte, non potra’ essere positivamente finalizzata alla rieducazione del condannato imposta dalla previsione dell’articolo 27 Cost., comma 3.

Infatti, l’illegittimita’ della pena costituisce un ostacolo al perseguimento di tali obiettivi rieducativi, perche’ sara’ avvertita come ingiusta da chi la sta subendo, per essere stata non gia’ determinata dal giudice nell’esercizio dei suoi ordinari e legittimi poteri, ma imposta da un legislatore che ha violato la costituzione. A tutto questo occorreva aggiungere, secondo affermato nello stesso arresto giurisprudenziale, che “il diritto fondamentale alla liberta’ personale deve prevalere sul valore dell’intangibilita’ del giudicato, sicche’ devono essere rimossi gli effetti ancora perduranti della violazione conseguente all’applicazione di tale norma incidente sulla determinazione della sanzione, dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale dopo la sentenza irrevocabile”.

Quanto ai poteri del giudice dell’esecuzione, le Sezioni Unite hanno evidenziato due aspetti di particolare rilievo, che e’ bene riprendere:

– il limite del fatto accertato nella pronunzia di cognizione non puo’ essere superato, nel senso che – in rapporto al tema oggetto della decisione – il giudice della esecuzione potra’ pervenire al giudizio di prevalenza della circostanza attenuante (prima inibito) sempre che lo stesso non sia stato precedentemente escluso nel giudizio di cognizione per ragioni di merito (indipendenti dalla esistenza, allora, del divieto di legge e valorizzate come tali);

– il potere di verifica della legittimita’ del trattamento sanzionatorio va esteso agli ulteriori accadimenti medio tempore incidenti sulle norme applicate, all’epoca, dal giudice della cognizione (vi e’ riferimento espresso alle ricadute della decisione n. 32 del 2014 sui contenuti della Legge n. 49 del 2006, di conversione del Decreto Legge n. 272 del 2005).

Sulla scorta di questa ricostruzione sistematica, le Sezioni unite affermavano i seguenti principi di diritto:

successivamente a una sentenza irrevocabile di condanna, la dichiarazione d’illegittimita’ costituzionale di una norma penale diversa dalla norma incriminatrice, idonea a mitigare il trattamento sanzionatorio, comporta la rideterminazione della pena, che non sia stata interamente espiata, da parte del giudice dell’esecuzione;

per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 251 del 2012 .. il giudice dell’esecuzione potra’ affermare la prevalenza della circostanza attenuante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 sempreche’ una simile valutazione non sia stata esclusa nel merito dal giudice della cognizione, secondo quanto risulta dal testo della sentenza irrevocabile.

4. Ora, alla luce di tali affermazioni, e’ evidente che – come gia’ ritenuto da questa Corte anche in rapporto alla fase esecutiva (si vedano, tra le altre Sez. 1 n. 53019 del 4.12.2014 e Sez. 1 n. 2492 del 2015) – la pena inflitta in riferimento a delitti afferenti sostanze stupefacenti, nell’ipotesi di droghe c.d. leggere, commessi durante la vigenza della normativa dichiarata incostituzionale (in rapporto alla parificazione del disvalore del fatto tra smercio di droghe pesanti e di droghe leggere) va rideterminata in sede esecutiva, li’ dove ricorrano alcune condizioni.

Il giudice dell’esecuzione, in particolare, e’ tenuto a compiere le seguenti valutazioni:

a) verifica dell’incidenza concreta della decisione irrevocabile, all’atto della domanda, sulla liberta’ personale per essere in effettiva esecuzione la pena derivante – anche in parte – da norma di diritto sostanziale dichiarata incostituzionale;

b) in caso positivo, ricostruzione del contenuto della decisione irrevocabile nel senso della concreta incidenza sul trattamento sanzionatorio determinato in sede di cognizione della specifica norma dichiarata incostituzionale e dunque rimossa dall’ordinamento con efficacia ex tunc;

c) in caso positivo, rideterminazione del trattamento sanzionatorio tenendo conto della compiuta ricostruzione del fatto nonche’ delle norme applicabili al momento della decisione in punto di commisurazione della sanzione. Tra dette ultime norme, peraltro, andranno considerate – in rapporto alla qualita’ delle sostanze stupefacenti – le stesse norme incriminatrici, interessate dalla pronunzia di illegittimita’ costituzionale (nel caso di specie la n. 32 del 12 febbraio 2014).

Come e’ noto, con tale decisione e’ stata oggetto di declaratoria di incostituzionalita’ la novellazione apportata con Decreto Legge 30 dicembre 2005, n. 272 (articoli 4-bis e 4-vicies ter) convertito in Legge 21 febbraio 2006, n. 49 all’originario testo del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73. L’effetto della pronunzia di incostituzionalita’ e’ stato quello di riespandere per i fatti commessi dal (OMISSIS) la previgente disciplina incriminatrice e le correlate diverse sanzioni (fermo restando che per l’ipotesi di fatti di lieve entita’ il limite temporale finale va anticipato al 23 dicembre 2013, essendo il giorno seguente entrata in vigore diversa e autonoma disciplina normativa introdotta dal Decreto Legge n. 146 del 2013).

Li’ dove, pertanto, il soggetto destinatario della esecuzione sia stato condannato per fatto rientrante in detto intervallo temporale e’ da ritenersi esportabile il contenuto delle affermazioni operate dalla decisione emessa dalle Sezioni Unite prima ricordate (come del resto evidenziato nella motivazione di tale sentenza) al caso della abrogazione del trattamento sanzionatorio vigente all’epoca della decisione perche’ contrario a norme costituzionali.

5. Va ribadito, inoltre, che la comparazione tra le fasce edittali previste dalla normativa dichiarata incostituzionale e quelle previgenti (e riattivatesi per effetto della pronunzia di incostituzionalita’) porta a ritenere in ogni caso illegale il trattamento sanzionatorio inflitto in ipotesi di condotta illecita concernente le droghe c.d. leggere (ossia le sostanze rientranti nelle tabelle 2 e 4 allegate al Decreto del Presidente della Repubblica del 1990) posto che in relazione a tali sostanze l’intervento normativo dichiarato illegittimo aveva comportato (a differenza di quanto previsto per le altre sostanze) un massiccio incremento dei limiti edittali della sanzione detentiva: il minimo edittale della condotta ordinaria era stato innalzato da 2 a 6 anni, quello della condotta attenuata da sei mesi a 1 anno; il massimo edittale era stato innalzato da 6 a 20 anni nell’ipotesi ordinaria e da 4 a 6 anni per l’ipotesi attenuata.

Ora, posto che l’operazione di cui agli articoli 132 e 133 cod. pen. – commisurazione della pena – e’ frutto di una scelta che il giudice della cognizione compie, con discrezionalita’ guidata, in un ambito legislativamente definito tra il minimo e il massimo edittale (circa la necessita’ di effettiva spiegazione dell’incidenza degli indici di commisurazione, specie in ipotesi di superamento dei minimi edittali, tra le molte, Sez. 2 9.10.1992, rv 192645; Sez. 6 n. 35346 del 12.6.2008, rv 241189) e’ evidente che il profondo mutamento di cornice derivante dalla declaratoria di incostituzionalita’ rende necessaria – sempre in ipotesi di condanna per droghe leggere – una rivalutazione piena di tale aspetto, qui in sede esecutiva, che va compiuto tenendosi conto del fatto cosi’ come accertato in cognizione ma non anche dei termini matematici espressi da tale giudice (in rapporto alla scelta tra minimo e massimo edittale) in una condizione in realta’ alterata dalla adozione di un criterio legislativo (Legge del 2006) teso a parificare il disvalore di condotte tra loro diverse (in rapporto alla tipologia di sostanze oggetto delle condotte).

Con cio’ si intende affermare che se da un lato risulta doverosa ed obbligatoria, alla luce di quanto sopra, la rideterminazione in sede esecutiva della pena inflitta in rapporto ad una squilibrata (e costituzionalmente illegittima) cornice edittale, dall’altro non puo’ escludersi che – con valutazione in concreto e rispettosa del fatto accertato – il giudice dell’esecuzione possa rivalutarne la valenza in rapporto ai nuovi e profondamente diversi parametri edittali, ovviamente dando conto (ex articoli 132 e 133 cod. pen.) delle modalita’ di esercizio del potere commisurativo e tenendo conto dei principi generali del sistema sanzionatorio (tra cui quello per cui non puo’ essere aumentata l’afflittivita’ della pena stabilita nella sentenza di condanna).

6. Quanto al fatto che la decisione posta a monte – nel caso in esame – e’ stata emessa ai sensi dell’articolo 444 cod. proc. pen. le recenti decisioni Sez. U. ric. Jazouli e ric. Marcon, del 26 febbraio 2015, come si evince dai contenuti delle informazioni provvisorie num. 5 e num. 6 del 2015 hanno confermato l’orientamento sin qui esposto, affermando in particolare che:

a) la pena applicata con sentenza di patteggiamento sulla base della normativa dichiarata incostituzionale con la sentenza n. 32 del 2014 della Corte Costituzionale va rideterminata, anche nel caso in cui la stessa rientri nella nuova cornice applicabile;

b) la pena suddetta va rideterminata attraverso la rinegoziazione dell’accordo tra le parti, ratificato dal giudice dell’esecuzione, che viene interessato attraverso l’incidente di esecuzione attivato dal condannato o dal pubblico ministero;

c) in caso di mancato nuovo accordo tra le parti il giudice della esecuzione provvede alla rideterminazione della pena in base ai criteri di cui agli articoli 132 e 133 cod. pen..

Dette indicazioni, data la loro estrema chiarezza, consentono di adottare la presente decisione – pur in attesa del deposito della motivazione delle due sentenze – trattandosi del logico sviluppo, al settore qui considerato, delle opzioni interpretative gia’ espresse da questa 1 Sezione della Corte (tra cui Sez. 1 n. 53019 del 4.12.2014 e Sez. 1 n. 2492 del 2015) in ipotesi di titolo esecutivo derivante da decisione diversa da quella ex articolo 444 c.p.p..

E’ pertanto del tutto evidente che le Sezioni Unite, condividendo detta impostazione teorica, hanno esclusivamente precisato che in caso di applicazione della pena su richiesta delle parti il giudice dell’esecuzione dovra’ verificare in primis la fattibilita’ di un nuovo accordo tra le parti (data la nullita’ del precedente patto, nel cui ambito era stata determinata la pena nell’ambito di una cornice edittale prevista da norma dichiarata incostituzionale) e soltanto ove non si addivenga a tale accordo sara’ funzionalmente competente a rideterminare la sanzione in via autonoma ed in applicazione dei criteri generali di cui agli articoli 132 e 133 cod. pen..

Nel caso in esame la contestazione riguardava cinque distinti episodi, uno avente ad oggetto droga leggera (in quantita’ non modesta) e ritenuto piu’ grave (in virtu’ della equiparazione sanzionatoria operata con la normativa poi dichiarata incostituzionale) nonche’ altri quattro episodi, uno dei quali avente oggetto droga pesante, posti in continuazione.

E’ evidente dunque che la necessita’ di rispettare la natura dei singoli reati posti in continuazione determina – nel caso in esame – la necessaria rielaborazione in sede esecutiva del rapporto tra reato-base e reati-satellite, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice della esecuzione. Infatti, nell’assetto edittale riemerso a seguito della pronunzia di incostituzionalita’ il reato piu’ grave va – di certo – ritenuto quello avente ad oggetto la cessione di cocaina.

In rapporto alle droge pesanti, infatti, la novellazione del 2006 aveva introdotto un regime sanzionatorio di maggior favore, posto che la pena edittale minima di anni otto (ferma restando la pena massima di anni venti) era stata sensibilmente ridotta e determinata in quella di anni sei.

Ora, la stessa decisione n. 32/2014 Corte Cost. evidenzia (al par. 6 della parte motiva) come in rapporto alla caducazione delle norme introdotte nel 2006 – che ha determinato effetti ampiamente favorevoli li’ dove la condotta sia in concreto riferibile a droghe c.d. leggere – l’effetto sfavorevole non puo’ invece prodursi per le condotte di detenzione illecita di droghe c.d. pesanti in riferimento a quanto previsto dall’articolo 2 c.p., comma 4 in tema di successione di leggi penali nel tempo.

In altre parole, ferma restando l’efficacia retroattiva ricollegabile alla pronunzia di incostituzionalita’, va escluso che cio’ possa comportare effetti sfavorevoli (in tema di droghe pesanti) a carico di chi ha commesso il fatto durante la formale vigenza della norma avente un contenuto di maggior favore.

E’ stato pertanto affermato che in ossequio al principio della irretroattivita’ della legge penale meno favorevole, la norma incriminatrice dichiarata incostituzionale puo’ continuare a trovare applicazione per le condotte realizzate nel corso della sua vigenza, ove la sua disciplina conduca in concreto ad un trattamento piu’ favorevole per l’imputato (Sez. 6 n. 44808 del 26.9.2014 rv 260735).

Da cio’ deriva che il minimo edittale di anni sei resta intangibile per la detenzione a fini di spaccio della droga pesante ed e’ quest’ultimo il fatto-reato da porre – nella nuova determinazione – a base della continuazione, degradando tutte le ulteriori fattispecie a reato-satellite, la cui incidenza andra’ commisurata ai rivissuti parametri edittali.

Tale operazione determinativa rappresenta il logico sviluppo – in sede esecutiva – di quanto deciso da Sez. U. n. 22471/2015, decisione con cui e’ stato affermato che per i delitti previsti dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, l’aumento di pena calcolato a titolo di continuazione per i reati-satellite in relazione alle cosi’ dette “droghe leggere” deve essere oggetto di specifica rivalutazione da parte dei giudici del merito, alla luce della piu’ favorevole cornice edittale applicabile per tali violazioni, a seguito della sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale, che ha dichiarato la incostituzionalita’ della Legge 21 febbraio 2006, n. 49, articoli 4-bis e 4-vicies ter – che ha convertito il Decreto Legge 30 dicembre 2005, n. 272 – e ha determinato, in merito, la reviviscenza della piu’ favorevole disciplina anteriormente vigente.

L’autonomia del reato posto in continuazione, in altre parole, comporta la necessita’ di osservare – anche in sede di aumento per la riconosciuta continuazione – i parametri di cui agli articoli 132 e 133 al fine di commisurare l’entita’ dell’aumento.

Dovendo pertanto essere rinnovato il patto posto a base della decisione (e, ove non si raggiunga il nuovo accordo, essendo doveroso l’intervento del giudice dell’esecuzione) non puo’ escludersi che – fermo restando il limite del fatto accertato e dunque la impossibilita’ di riconoscere una circostanza attenuante non ritenuta nel giudizio – il nuovo assetto del reato continuato determini, in concreto, un effetto favorevole per il soggetto istante.

Va pertanto, nel caso in esame, disposto l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame – secondo le linee qui descritte – al GIP del Tribunale di Bologna.

 

P.Q.M.

 

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al GIP del Tribunale di Bologna.

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