Cassazione 3

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 16 ottobre 2014, n. 43394

Rileva in fatto e diritto

1. – Con ordinanza, deliberata e depositata il 17 agosto 2013, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Catanzaro – per quanto qui rileva – non ha convalidato l’arresto di Q.R. , eseguito dai Carabinieri della Stazione di (omissis) il (omissis) per il tentato omicidio in pregiudizio di F.V. e per i concorrenti reati concernenti le armi, motivando che difettavano i requisiti sia della flagranza che della quasi flagranza, in quanto l’indagato era stato tratto in arresto dopo che si era consegnato ai Militari dell’Arma.
2. – Il procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Catanzaro, in persona del Dott. R.V. , sostituto procuratore della Repubblica, ha proposto ricorso per cassazione, mediante atto, recante la data del 18 settembre 2013, deducendo “inosservanza o erronea applicazione della legge penale”.
Il ricorrente sostiene: le ricerche del Q. , immediatamente avviate dalla polizia giudiziaria, non si erano mai interrotte; inoltre ricorreva la flagranza della detenzione dell’arma comune da sparo, nascosta nell’incavo di un tronco di albero, atteso che l’arrestato rivelò il nascondiglio ai Carabinieri all’atto della sua costituzione.
3. – Il procuratore generale della Repubblica presso questa Corte suprema di cassazione, mediante atto recante la data del 2 aprile 2014, rileva ad adiuvandum: la spontanea presentazione dell’indagato non costituisce valido motivo per ritenere che le ricerche fossero state nel frattempo interrotte.
4. – Il ricorso è infondato.
4.1 – Privo di giuridico pregio è, innanzi tutto, il riferimento del ricorrente al reato concernente la detenzione della arma comune da sparo, utilizzata per la commissione del tentato omicidio.
All’indagato non risultano addebitati né il delitto di detenzione ai arma comune da sparo, ai sensi dell’articolo 2 della legge 2 ottobre 1967, n. 895, sostituito dall’articolo 10 della legge 14 ottobre 1974, n. 497, né il delitto di detenzione di arma clandestina ai sensi dell’articolo 23, comma terzo, della legge 18 aprile 1975, n. 110.
Al riguardo la rubrica fa esclusivo riferimento alla contravvenzione di detenzione abusiva di armi, ai sensi dell’articolo 697 cod. pen., e per tale reato la legge non consente l’arresto.
Né, peraltro, in relazione alla condotta in parola, se qualificata ai sensi delle succitate fattispecie delittuose, sarebbe, nella specie, ravvisabile la flagranza.
Al momento dell’arresto difettava palesemente l’elemento materiale della detenzione, in quanto la pistola si trovava al di fuori della sfera della possibilità di immediata apprensione da parte del Q. ; e mancava, altresì, l’elemento psicologico, in quanto, la decisione dell’indagato (da costui attuata) di recarsi alla stazione dei Carabinieri per costituirsi e per rivelare il nascondiglio in cui aveva collocato la pistola, escludeva – alla evidenza – la volontà di detenere illegalmente la pistola senza la prescritta denunzia (v. da ultimo, circa il dolo generico richiesto dal delitto, Sez. 1, n. 21355 del 10/04/2013 – dep. 20/05/2013, Lamanna, Rv. 256302).
4.2 – Correttamente il giudice a quo ha escluso, pur in reazione ai residui reati, anche la quasi flagranza.
Secondo quanto accertato in punto di fatto dal giudice per le indagini preliminari e rappresentato dallo stesso Pubblico Ministero ricorrente, i Carabinieri della Stazione di (OMISSIS) furono “allertati” dopo che il fatto di sangue era stato commesso;
i Militari raggiunsero la persona offesa, ferita, a bordo della ambulanza e la sentirono; quindi assunsero sommarie informazioni testimoniali dai prossimi congiunti della vittima, “per poi porsi alla ricerca del responsabile” (v. ricorso p. 2).
Soccorre, pertanto, il principio di diritto fissato dalla giurisprudenza di questa Corte suprema di cassazione, con prevalente orientamento, secondo il quale “non sussiste la condizione di cosiddetta quasi-flagranza qualora l’inseguimento dell’indagato da parte della P. G. sia stato iniziato” non già a seguito e a causa della “diretta percezione dei fatti da parte della polizia giudiziaria”, bensì “per effetto e solo dopo l’acquisizione di informazioni da parte di terzi” (Sez. 5, n. 19078 del 31/03/2010 – dep. 19/05/2010, Festa, Rv. 247248 e Sez. 3, 13 luglio 2011, dep. il 27 settembre 2011, n. 34918, P. M. in proc. Z., rv. 250861; et adde Rv. 228180; Sez. 5, n. 3032 del 21/06/1999, dep. 01/09/1999, Carrozzino, Rv. 214473; Sez. 4, n. 17619 del 05/02/2004, dep. 16/04/2004, P.M. in proc. Sakoumi ed altro, Rv. 228180; Sez. 2, n. 7161 del 18/01/2006, dep. 24/02/2006, P.M. in proc. Morelli, Rv. 233345; Sez. 6, n. 20539 del 20/04/2010, dep. 28/05/2010, P.M. in proc. R., Rv. 247379; Sez. 6, n. 19002 del 03/04/2012 – dep. 17/05/2012, Rotolo, Rv. 252872; e, da ultimo, Sez. 4, Sentenza n. 15912 del 07/02/2013 Cc. (dep. 05/04/2013) Rv. 254966).
E appena il caso di aggiungere che non meritano condivisione gli arresti in senso contrario (Sez. II, n. 44369, del 10/11/2010, dep. il 16/12/2010, Califano e altro, Rv. 249169 e Sez. 1, n. 23560 del 15/03/2006, dep. 06/07/2006, P.M. in proc. Dottore, Rv. 235259), secondo i quali sarebbe ravvisabile la quasi flagranza pur in difetto dei requisiti della diretta percezione della azione delittuosa (da parte degli ufficiali e agenti della polizia giudiziaria o, nel caso previsto dall’articolo 383, comma 1, cod. proc. pen., da parte del privato) e della immediatezza dell’inseguimento.
La provvisoria privazione del diritto fondamentale della libertà persona, di iniziativa della polizia giudiziaria e in carenza di alcun provvedimento motivato della autorità giudiziaria, rappresenta, per vero, istituto di carattere affatto eccezionale e in tal senso è espressamente connotato dall’articolo 13, comma terzo, della Costituzione.
Le disposizioni della legge ordinaria e, segnatamente, del codice di rito, che disciplinano l’arresto sono, pertanto, di stretta interpretazione (articolo 14, comma primo, delle Disposizioni sulla legge in generale, approvate con R.D. 16 marzo 1942, n. 262).
Orbene, la dilatazione della nozione della quasi flagranza sino a prescindere dalla coessenziale correlazione tra la percezione diretta del fatto delittuoso (quantomeno attraverso le tracce rivelatrici della immediata consumazione, recate dal reo) e il successivo intervento di privazione della libertà dell’autore del reato, deborda dall’ambito della interpretazione estensiva dell’articolo 382, comma 1, cod. proc. pen..
Attraverso progressivi slittamenti e assimilazioni tra l’ipotesi specifica dell’inseguimento (contemplata nella disposizione) e quelle (più generiche e, pertanto, differenti) delle ricerche ovvero, addirittura, delle investigazioni tempestive si finisce col contravvenire al tenore testuale della norma.
Gli è che il lemma inseguire denotante, con tutta la sua pregnanza, l’azione del “correre dietro chi fugge”, e l’ulteriore requisito cronologico di immediatezza, “subito dopo il reato”, richiesto dalla legge, postulano la necessità della correlazione funzionale tra la diretta percezione della azione delittuosa e la privazione della libertà del reo fuggitivo.
La conclusione si rinsalda alla luce della considerazione della ratio legis.
La eccezionale attribuzione alla polizia giudiziaria (o al privato) del potere di privare della libertà una persona trova concorrente giustificazione nella altissima probabilità (e, praticamente, nella certezza) della colpevolezza dell’arrestato.
Ebbene, sono proprio la diretta percezione e constatazione della condotta delittuosa da parte degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, procedenti all’arresto, che possono suffragare, nel senso indicato, la sicura previsione dell’accertamento giudiziario della colpevolezza.
Mentre, in difetto, apprezzamenti e valutazioni, fondati sul piano affatto differente degli elementi investigativi assunti (ancorché prontamente e magari anche in loco) dalla polizia giudiziaria, non offrono analoghe sicurezza e affidabilità di previsione (v., in proposito, Sez. 1, n. 6642 dell’11/12/1996, dep. 17703/1997, P.M. in proc. Palmarini, Rv. 207085).
4.3 – Consegue il rigetto del ricorso.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

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