Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 13 ottobre 2014, n. 5045


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE QUARTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3755 del 2012, proposto da:

Ed. S.p.A., Al.Bi., rappresentati e difesi dall’avv. Fe.Fo., con domicilio eletto presso Br.Ag. in Roma, via (…);

contro

Regione Calabria, rappresentato e difeso dall’avv. Sa.Bo., con domicilio eletto presso Gr.Pu. in Roma, via (…); Dipartimento Politiche dell’Ambiente della Regione Calabria, Dirigente Generale del Dipartimento Politiche dell’Ambiente della Regione Calabria, Dirigente di Servizio del Dipartimento Politiche dell’Ambiente della Regione Calabria Settore N.55, Commissione Valutazione di Incidenza del Dipartimento Politiche dell’Ambiente della Regione Calabria;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Calabria – Catanzaro: Sezione I n. 01502/2011, resa tra le parti, concernente convenzione di lottizzazione edilizia per opere di urbanizzazione;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Calabria;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 giugno 2014 il Cons. Umberto Realfonzo e uditi per le parti gli avvocati Fo.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con il presente gravame la società appellante chiede l’annullamento della sentenza con cui il TAR ha respinto la sua richiesta di annullamento di tutti gli atti relativi alla “valutazione di incidenza negativa” sulla proposta di una Variante al Piano di lottizzazione convenzionato in località Roccelletta di Borgia (CZ), concernente la realizzazione di n.4 fabbricati plurifamiliari da realizzarsi su mq 8.000 di terreni ricadente in area SIC IT 9330098 — ai sensi della Direttiva Habitat 92/43/CEE; della Direttiva Uccelli 79/409/CEE; del D.P.R. 357/97 e s.m.i. e della Deliberazione G.R. Calabria n. 604/2005 e rimboschiti nell’anno 1952 e successivi, ai sensi dell’art. 53 del R.D.L. 30 dicembre 1923, n. 3267, nonché ai sensi del R.D.L. 16 maggio 1926, n. 1126 “con lo scopo di costituire una fascia frangivento e vincolati con l’obbligo di conservare la destinazione colturale nel pieno rispetto delle norme contenute nel 1 e 2 comma dell’art. 54 della legge n. 3267 e del Piano di coltura e conservazione previsto dal 3 comma del predetto articolo, dove ai sensi dell’art. 8 del citato piano di coltura non è consentita la lottizzazione del bosco per ricavarne aree edificabili”(così il provvedimento impugnato in prime cure).

L’appello è affidato a diversi profili di gravame relativi alla violazione dell’articolo 1 del R.D.l. n. 3267/1923; al difetto di istruttoria e di motivazione del provvedimento.

Si è costituita in giudizio la regione Calabria depositando tutti gli atti del procedimento.

Chiamata all’udienza pubblica, uditi i patrocinatori delle parti, la causa è stata ritenuta in decisione.

DIRITTO

L’appello è infondato.

1. La prima rubrica con cui, senza articolare specifiche censure avverso la sentenza di primo grado, l’appellante richiama genericamente: “parola per parola” ” tutte le “deduzioni, eccezioni, richieste e conclusioni” articolate in primo grado, è inammissibile per genericità (cfr. infra multa Cons. Stato 7 giugno 2014 n.14).

2. Del tutto inammissibile per l’evidente difetto di interesse anche nel caso di suo accoglimento è poi la seconda rubrica con cui si lamenta che il TAR ha respinto implicitamente l’eccezione preliminare di irricevibilità del ricorso del ricorrente formulata dalla Regione ed ha ritenuto di poter prescindere dall’esame in relazione alla ritenuta infondatezza del ricorso nel merito.

3. Con un primo motivo sostanziale (rubricato sub n. 3) si lamenta l’erroneità dell’applicazione dell’articolo 1 del R. D. n. 3267/1923 in quanto nella specie non si sarebbe trattato di un terreno boschivo ma di una zona del tutto pianeggiante, posta a pochi metri dal mare, in un tratto ubicato tra Catanzaro Lido ed il Comune di Staletti per il quale non sarebbe possibile alcun dissesto idrogeologico, come provato dal parere favorevole alla realizzazione di un sottopasso pedonale, di un tombino e di un cavalcavia alla linea ferroviaria Metaponto – Reggio Calabria.

La valutazione avrebbe dovuto essere fatta con esclusivo riferimento alle finalità di assicurare la salvaguardia della biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali e delle specie della flora e della fauna.

L’assunto è infondato.

In linea generale la sussistenza di un vincolo idrogeologico ex art. 54, r.d.l. 30 dicembre 1923 n. 3267 è una circostanza preclusiva della realizzazione di ogni attività che pregiudichi la stabilità dei suoli e l’equilibrio idrogeologico della zona vincolata in quanto ha come finalità quella di prevenire smottamenti ed i movimenti franosi dei suoli (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V 21/06/2007 n. 3431; Consiglio di Stato Sez. V, 10/09/2009 n. 5424; Consiglio di Stato Sez. VI, del 28-04-1981 n. 174)

Nel caso, il mantenimento dello stato di fatto appare logicamente ancorato all’evidente scopo di combattere fenomeni di erosione dei terreni conseguenti alle denudazioni del litorale da parte dei flutti marini. Nel caso in esame dunque la misura appare logicamente ancorata alle finalità di conservare la staticità dei suoli, la stabilità alla costa e l’habitat ambientale.

Ciò premesso, nel caso, del tutto inconferente, oltre che tardiva, è sia la lamentata insussistenza dei presupposti per l’assoggettamento ai vincoli dato che tale assoggettamento era risultante nel tempo, e sia il nulla osta ad It. per un sottopasso di una struttura ferroviaria già esistente.

In definitiva sul punto (come del resto sarà meglio evidente in seguito), la pretesa realizzazione di fabbricati plurifamiliari, costituendo una definitiva ed incidente antropizzazione su una non trascurabile estensione di territorio, appare un’attività del tutto incompatibile sia con il vincolo boschivo e sia con la tutela della flora e della fauna dell’area.

4. Con un terzo motivo sostanziale, articolato sulle rubriche sub IV-VI, si lamenta che:

– il vincolo di cui all’articolo 1 del R. D. n. 3267/1923 non sarebbe stato più esistente;

– erroneamente, e senza motivare sul perfezionamento ed il completamento dell’iter procedimentale, il Tar avrebbe affermato che le prescrizioni contenute nell’art. 8 del Piano di cultura avrebbero imposto in maniera incontestabile il vincolo di inedificabilità;

– il provvedimento sarebbe viziato perché, contrariamente a quanto ritenuto dal Tar, il Piano di cultura non sarebbe un indice inoppugnabile dell’esistenza di un vincolo idrogeologico;

– la prescrizione per cui “i terreni oggetto di restituzione… rimarranno vincolati a termini dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 1923 n. 3267…” non avrebbe avuto efficacia costitutiva perché non avrebbe assicurato la partecipazione dei proprietari, né di quelli dell’epoca e né della nuova società, come sarebbe indirettamente provato dall’apposizione della locuzione “in generale” nella nota del 27 marzo 2007 n. 2334 del comando provinciale del corpo forestale dello Stato per cui “dall’attività istruttoria preliminare risultata, in linea generale, confermata l’esistenza del vincolo idrogeologico”.

4.2. Tutti i profili di doglianza vanno respinti.

E’ del tutto inconsistente l’affermazione dell’inesistenza del vincolo a fronte dell’inequivocabilità delle prescrizioni del Piano di coltura del 20.6.1979 dell’Ispettorato Dipartimentale della Foreste -Assessorato Agricoltura e Foreste della Regione e del verbale di restituzione e consegna dei terreni oggetto di rimboschimento del 13 maggio 1983.

Al riguardo il Corpo forestale dello Stato, nella nota n. 2334/2007, confermava senza ombra di dubbio l’esistenza del vincolo idrogeologico su tutti i terreni in questione come dimostra proprio l’espressione “in generale” erroneamente invocata.

E’ risolutivo al riguardo l’art. 8 del Piano di coltura del 20 giugno 1979 il quale stabilisce che nei terreni oggetto del rimboschimento:

– “non sarà consentita la lottizzazione del nuovo bosco per ricavarne aree fabbricabili”;

– “non potranno mai cambiare destinazione e rimarranno vincolati a termini dell’art. 1 della legge 30.12.1923 n. 3267”.

Tali prescrizioni sono del resto perfettamente coerenti con l’art. 53 del R.D. n. 3267 cit., per cui una volta compiuto il rimboschimento, a carico del pubblico erario, dopo il collaudo dei lavori di sistemazione e di rinsaldamento, i terreni consegnati ai proprietari, debbono “essere mantenuti restando vietata qualunque modifica, anche la semplice aratura” (cfr. Cassazione penale sez. III 11/06/2004 n.35689; Cassazione penale sez. III 21/10/1981, ecc.).

In materia è stato sottolineato come le norme che, in funzione di rilevanti interessi pubblici generali, regolano i vincoli boschivi ed idrogeologici attribuiscono agli organi della P.A. poteri discrezionali specificamente limitativi in vario modo del libero esercizio del diritto di proprietà (cfr. Cassazione Civile Sez. U.U. 17-06-1996 n. 5520).

La fattispecie in sostanza deve essere ricondotta:

– ad un caso tipico di obbligazione reali propter rem (che, come è noto, sono configurabili solo per espressa norma di legge; (cfr. infra multa: Corte di Cassazione, sezione II civile, 2 luglio 2014 n. 15107; idem 04 dicembre 2007 n. 25289);

– aventi natura ontologicamente ambulatoria, in quanto gravano su chi ha, di volta in volta, la titolarità del relativo diritto.

L’obbligo di immutabilità dello stato dei suoli dunque si trasmette automaticamente, da un soggetto ad un altro, con il trasferimento a qualunque titolo (inter vivos o mortis causa) del diritto reale sottostante, per cui è quindi sempre riferibile non solo ai proprietari originari ma anche a tutti i loro successivi aventi causa.

Se così non fosse sarebbe facile rendere inefficace l’obbligo con la semplice cessione delle aree rimboscate.

Nel caso il vincolo era transitato con l’acquisto del terreno come obbligazione passiva, e quindi era sempre opponibile anche alla società attuale appellante.

Né è vero che l’iter procedimentale non sarebbe stato rispettato: al riguardo esattamente il TAR ha rilevato che l’area deve considerarsi definitivamente vincolata in mancanza di prova in ordine all’avvenuta contestazione da parte degli interessati secondo le modalità e termini di cui agli artt. 3 (affissione all’Albo pretorio), 4 (fase delle eventuali contestazioni) e 5 (pubblicazione) del Decreto.

Nel ricordato verbale di consegna dei terreni del 13 maggio 1983, risulta che il proprietario (dante causa dell’odierna appellante) era stato ritualmente preavvisato ed aveva puntualmente sottoscritto il verbale di consegna con l’espressa dichiarazione di accettare “senza riserva per l’osservanza delle norme contenute nell’apposito piano di coltura e di conservazione redatto dall’Ispettorato Ripartimentale delle Foreste di Catanzaro allegato”.

Infine, quanto poi alla pretesa mancata analisi della compatibilità del progetto si rinvia alle considerazioni che seguono.

3. Con il quarto motivo sostanziale (rubricato sub VIII) si lamenta l’incompetenza del Dirigente del Dipartimento delle Politiche dell’ambiente che avrebbe dovuto limitarsi a verificare la congruenza e la conformità della richiesta la normativa specifica della direttiva comunitaria “Habitat”.

L’assunto va disatteso.

La censura è in primo luogo generica perché l’appellante non indica quale struttura regionale sarebbe stata specificamente competente.

Nel caso in esame appare del tutto corretta la competenza del Direttore del Dipartimento Ambiente, previo parere della “Commissione Valutazione di incidenza”, in qualità di responsabile specificamente titolare delle funzioni relative ai siti di interesse comunitario (SIC) di cui alla DIR. 92/43/CEE e Direttiva recepita con D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 cioè di quelli indispensabili per la conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche e che sono istituiti per assicurare in modo significativo il mantenimento o il ripristino delle specie e della biodiversità, finalità nell’ambito della quale si collocano i provvedimenti sui vincoli idrogeologici e boschivi di cui all’art. 1 e R.D. n. 3267/1923.

4. Del tutto inconferente poi è il quinto motivo (rubricato sub VIII) con cui si lamenta la mancata confutazione del motivo (sollevato in primo grado con il paragrafo II a pag. 12) relativo alla tardività del provvedimento gravato che sarebbe stato adottato ben oltre il termine di 60 giorni, di cui alla delibera regionale n.604/2005 (art.7).

Posto che è evidente la manifesta natura organizzatoria del predetto termine, in assenza di un’espressa comminatoria di decadenza dal potere, si deve anche annotare come in difetto di una previsione di legge, il mancato rispetto delle norme di organizzazione interna dell’amministrazione non può mai influire sulle posizioni sostanziali dei privati e non può implicare il venir meno di effetti legali tassativamente previsti.

5. Devono poi esser esaminate unitariamente le restanti censure che costituiscono articolazioni di un unico nucleo sostanziale.

5.1. Come denunciato con la rubrica sub XII, il vincolo idrogeologico-forestale non impedirebbe affatto l’attività edificatoria ma renderebbe necessario un puntuale accertamento caso per caso dei singoli progetti che, nel caso di specie non sarebbe mai avvenuto.

5.2 Con la sesta rubrica (rubricata sub IX) si denuncia il difetto di istruttoria e di contraddittorio, la violazione dell’articolo 10 bis della L.241/1990. Il provvedimento sarebbe stato adottato senza alcun sopralluogo; e senza alcun esame della documentazione dalla quale invece sarebbe emerso con chiarezza che la costruzione delle quattro palazzine plurifamiliari non avrebbe implicato alcuna perdita di habitat, né alcuna minaccia all’integrità del sito, della sua flora e della sua fauna.

5.3. Come denunciato poi con il settimo motivo (rubricato sub X) l’amministrazione, senza nessuna istruttoria e nessuna indagine, non avrebbe proceduto all’individuazione delle idonee misure di mitigazione volte a prevenire deterioramento dei siti; illegittimamente la commissione di valutazione non avrebbe dato conto del rischio di compromissione degli obiettivi di conservazione ai sensi del d.p.r. 357/1997 (come novellato dal d.p.r. n. 120/2003) di attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa agli habitat naturali (cfr. Consiglio di Stato n. 3917/2005) e dell’effettiva significatività dell’incidenza ambientale (Corte di giustizia del 7 settembre 2004 C-127/02).

5.4. Con l’ottava censura, la società appellante si lamenta la mancata motivazione sull’interesse pubblico che sarebbe stato assicurato dalle edificazioni. L’amministrazione competente avrebbe dovuto adottare le altre misure compensative necessarie a garantire la coerenza globale della rete “Natura 2000”. Dato che l’intervento preventivato sarebbe in area interamente urbanizzata e consisterebbe nel modesto completamento di appena quattro villette plurifamiliari di completamento di un intervento avviato una trentina di anni fa. Pertanto, ben poteva farsi luogo alla rimozione del vincolo ai sensi dell’articolo 12 R.D. n. 3267/1923 ovvero far luogo all’autorizzazione al taglio di alcuni alberi nella misura necessaria a permettere l’edificazione ex articolo 7 del cit. R.D. n. 3267. In luogo del diniego si sarebbero potuti imporre alcune prescrizioni, così come fatto per It..

5.5. Tutti i i motivi vanno respinti.

In linea di principio, come la giurisprudenza ha più volte chiarito, nel sistema di cui all’art, 9 Cost. e della disciplina comunitaria la salvaguardia dell’habitat nel quale l’uomo vive, assurge a valore primario ed assoluto, in quanto attribuisce ad ogni singolo un autentico diritto fondamentale della personalità umana. A tali fini, l’ambiente rileva non solo come paesaggio, ma anche come assetto del territorio, comprensivo di ogni suo profilo, e finanche degli aspetti scientifico-naturalistici (come quelli relativi alla protezione di una particolare flora e fauna), pur non afferenti specificamente ai profili estetici della zona (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 09/01/2014 n. 36).

In tali ambiti la sussistenza del vincolo idrogeologico ex art. 54, r.d.l. 30 dicembre 1923 n. 3267 è, di norma, circostanza preclusiva della realizzazione di ogni attività che pregiudichi la stabilità dei suoli e l’equilibrio idrogeologico della zona vincolata (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V 21/06/2007 n. 3431).

Ha dunque ragione il TAR quando ricorda che la definizione del vincolo di cui al R.D.L. n. 3267/1923 ben giustifica “qualunque misura, restrittiva come impeditiva – risultante dal piano di coltura, che inibisce, da un lato, la lottizzazione a fini fabbricabili e, dall’altro, il mutamento di destinazione, non avrebbe consentito l’adozione di una diversa determinazione”.

Infatti è evidente che la valutazione negativa dell’Amministrazione sull’ulteriore urbanizzazione del sito è sostanzialmente del tutto corretta, in quanto in tal caso è manifesta non la semplice probabilità, ma la certezza di un pregiudizio significativo (arg. ex Cons. Stato, Sez. IV, 22 luglio 2005 n. 3917) in quanto costituisce una definitiva compromissione dell’integrità e del mantenimento delle essenze arboree e della fauna presenti nel sito, la cui conservazione sarebbe direttamente e definitivamente nullificata dall’abbattimento degli alberi, dalla realizzazione di manti stradali, palificazioni infrastrutture, ecc..

Nella sostanza delle cose, il provvedimento di diniego di nulla-osta a modificare la destinazione del suolo oggetto di intervento appare dunque legittimamente motivato con riferimento alla valutazione negativa dell’intervento stesso in quanto incidente su valori che avevano giustificato l’inserimento dell’area nell’ambito di un sito SIC ed, in precedenza del vincolo ex R.D. n. 3267.

In tale direzione deve anche escludersi che l’edificazione privata, in una località balneare, possa essere assimilata al perseguimento di finalità pubbliche. Come la Sezione ha avuto già modo di rilevare la creazione di una miriade di seconde case sulle coste finisce comunque per creare dei quartier fantasma che restano praticamente deserti per nove mesi all’anno, ma che comportano comunque oneri che restano comunque a carico della collettività per 12 mesi per illuminazione, pulizia strade, manutenzioni reti idriche, raccolta rifiuti ecc. (cfr. Consiglio Stato, Sez. IV 06/05/2013 n. 2433; Consiglio Stato, Sez. IV 22.1.2013 n.361).

In molte regioni del Mezzogiorno la totale cementificazione delle coste ha finito di pregiudicare definitivamente gli originari valori ambientali e “di vivibilità” delle località marine (che nell’ultima parte del secolo scorso erano state la ragione stessa del loro successo) ed ha portato all’esponenziale diminuzione di villeggianti estranei all’ambito regionale.

Del tutto ragionevolmente l’Amministrazione ha dunque inteso assicurare il mantenimento di quello che resta del bosco e dell’habitat costiero, rispetto ai quali non pare possa prefigurarsi alcuna efficace misura di mitigazione.

In sostanza, contrariamente a quanto vorrebbe l’appellante, sussistevano puntuali, e prevalenti, ragioni di interesse pubblico che, sul piano logico e funzionale, supportano la legittimità del provvedimento e la ragionevolezza della decisione del TAR impugnata.

L’Amministrazione ha il potere-dovere di valutare all’attualità l’interesse pubblico in una zona soggetta a vincolo idrogeologico ai sensi del r.d.l. 30 dicembre 1923 n. 3267 (cfr. Consiglio di Stato sez. V 10/09/2009 5424), per cui del tutto irrilevante è poi il fatto che il diniego del nulla osta, concernesse un ulteriore incremento di un complesso edilizio già autorizzato oltre trent’anni prima.

In tale quadro, il mancato rispetto dell’obbligo di preventiva comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, imposto dall’art. 10 bis, l. 7 agosto 1990 n. 241, come pure la mancata effettuazione di sopralluoghi, non hanno in concreto inciso sulla validità dell’atto conclusivo del procedimento in quanto non ha determinato un reale deficit istruttorio.

Non vi è poi nessuna prova che la decisione sul progetto de quo ai fini del rilascio del nulla osta, non sia stato preceduto da una corretta istruttoria e da una compiuta valutazione degli interessi naturalistici ai sensi degli artt. 9 Cost..

Infatti, l’esigenza dello status quo che risulta legittimamente ancorata alla prevalenza per l’immodificabilità conseguente ad un vincolo idrogeologico e boschivo ex R.D. n. 3267/1923, ed ai provvedimenti con cui in relazione al persistente pregio ambientalistico dell’area, i terreni sono stati inseriti tra i siti di interesse comunitario ai sensi della Direttiva Habitat.

7. In conclusione l’appello è infondato e la sentenza impugnata deve essere integralmente confermata.

Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Le spese, secondo le regole generali di cui all’art. 26 e segg. del c.p.a., seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta – definitivamente pronunciando:

1. respinge l’appello, come in epigrafe proposto.

2. Condanna la Società appellante al pagamento delle spese del presente giudizio che vengono liquidate in Euro 6.000,00 oltre all’IVA ed alla CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 giugno 2014 con l’intervento dei magistrati:

Riccardo Virgilio – Presidente

Fabio Taormina – Consigliere

Raffaele Potenza – Consigliere

Andrea Migliozzi – Consigliere

Umberto Realfonzo – Consigliere, Estensore

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