divorzio

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza  14 marzo 2014, n. 6016

Ritenuto in fatto

1. – Con sentenza non definitiva dell’8 novembre 2007 il Tribunale di Roma dichiarò la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario celebrato in (OMISSIS) tra D.A.F. e P.R..
Quest’ultima propose appello avverso tale sentenza, lamentando che il Presidente del Tribunale, pur non essendo ella comparsa all’udienza fissata davanti a lui, non aveva fissato altra udienza per esperire realmente il tentativo di conciliazione, violando, così, sia il dettato che la ratio dell’art. 4 della legge n. 898 del 1970.
2. – La Corte d’appello di Roma, Sezione delle Persone e della Famiglia, con sentenza depositata il 28 gennaio 2009, rigettò il gravame. Osservò il giudice di secondo grado che la signora P. non era comparsa all’udienza presidenziale e che i suoi procuratori, che erano presenti, non avevano chiesto la fissazione di una nuova udienza adducendo impedimenti della cliente, ma avevano depositato una memoria con la quale si opponevano alla domanda di divorzio per motivi etici e religiosi, intendendo, quindi, che il giudizio proseguisse, onde argomentare detta opposizione. Legittimamente, pertanto, secondo la Corte capitolina, il Presidente aveva omesso di fissare altra udienza innanzi a sé e che quindi non si era verificata violazione dell’art. 4 della legge n. 898 del 1970.
3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre la P. sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso il D.A. .

Considerato in diritto

1. – Con il primo motivo di ricorso si deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 898 del 1970 in relazione all’art. 360 n. 3. Nullità del procedimento e della sentenza per mancanza del tentativo di conciliazione, in relazione all’art. 360 n. 4. Nullità della sentenza per omessa adeguata ricerca della possibilità ricostituzione del nucleo famigliare in violazione degli artt. 29 e 3 della Costituzione, 113 c.p.c. e 2 L. 898/1970, in relazione all’art. 360 n. 4 e 5”. Si osserva che il tentativo di conciliazione può essere legittimamente omesso solo quando vi sia la chiara manifestazione da parte del convenuto assente di volere conseguire al pari dell’altra parte la cessazione degli effetti civili del matrimonio. La pronuncia sarebbe viziata per violazione dell’obbligo dell’accertamento della impossibilità di ricostituire l’unione, eluso con la mancata fissazione di una nuova udienza per esperire il tentativo di conciliazione.
La illustrazione della censura si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto, ai sensi dell’art. 366 bis cod.proc.civ., applicabile nella specie ratione temporis: “In tema di divorzio, il tentativo di conciliazione da parte del presidente del Tribunale si configura come un atto necessario per l’indagine sulla irreversibilità della frattura spirituale e materiale del rapporto tra i coniugi, ma mentre non costituisce un presupposto indefettibile del giudizio di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nella ipotesi in cui la parte non comparsa alla udienza presidenziale si sia costituita a mezzo di difensore manifestando la volontà di voler conseguire la cessazione degli effetti civili del matrimonio, nella ipotesi invece in cui la parte resistente non sia comparsa alla udienza presidenziale ma si sia ivi costituita a mezzo di difensore, manifestando totale opposizione alla cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tentativo di conciliazione, da atto comunque necessario, diventa indefettibile, in relazione all’obbligo del Tribunale di svolgere indagine sulla irreversibilità della frattura spirituale e materiale del rapporto tra i coniugi. In difetto di tale tentativo, di fatto il Tribunale, che ha rimesso la causa in decisione parziale sul divorzio senza istruttoria alcuna e senza gli scritti difensivi finali ex art. 190 c.p.c., alla prima udienza davanti all’istruttore, si trova a procedere all’accertamento della irreversibilità della frattura spirituale e materiale del rapporto tra i coniugi, senza aver effettuato accertamento alcuno e, soprattutto, si trova, contraddittoriamente, ad accertare una ipotetica irreversibile frattura nei confronti di una parte che, invece, manifesta ininterrottamente la propria volontà contraria alla cessazione degli effetti civili del matrimonio”.
2. – Con il secondo motivo si denuncia “vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo, con violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 4 comma 7 della legge 898 del 1970, 113 c.p.c. e 29 e 3 della Costituzione, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.”. La Corte di merito non avrebbe adeguatamente motivato in ordine alle ragioni della mancata fissazione di una nuova udienza nella fase presidenziale, poiché la mancata comparizione della P. alla udienza presidenziale e la sua opposizione al divorzio, manifestata nel corso di detta udienza dal suo difensore, avrebbero dovuto indurre il Presidente a fissare una nuova udienza, e, solo in caso di nuova mancata comparizione della resistente, dare per certa l’impossibilità della ricostituzione della unione familiare. Il potere di esprimersi per conciliare nel giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio osserva la ricorrente – non appartiene al procuratore, ma esclusivamente al coniuge.
La illustrazione del motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto: “È viziata da omessa o insufficiente o contraddittoria motivazione la sentenza che, in un giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nel quale la parte resistente non comparsa personalmente in sede presidenziale ma costituita a mezzo di difensore, abbia manifestato decisa e ininterrotta opposizione allo scioglimento, ritenga accertata l’irreversibile frattura spirituale e materiale del rapporto tra i coniugi, senza che vi sia stato tentativo di conciliazione, senza che vi sia stata istruttoria alcuna e senza neppure la concessione degli scritti difensivi ex art. 190 cpc, sulla base del fatto che i difensori della parte non comparsa non abbiano richiesto la fissazione di una nuova udienza per il tentativo obbligatorio di conciliazione e sulla base del non-fatto che i difensori della resistente, manifestamente contraria alla cessazione, non abbiano dichiarato che la resistente volesse riconciliare, con ciò ponendo in essere: omessa motivazione sulle effettive ricerche, pure omesse, che avrebbero portato all’accertamento della irreversibile frattura spirituale e materiale, che per la resistente, per dichiarati motivi spirituali, non era evidentemente irreversibile; insufficiente motivazione per avere preso a base della decisione le due predette circostanze negative (mancata richiesta di nuova udienza da parte dei difensori-inesistente dichiarazione dei difensori che la loro assistita volesse riconciliarsi), prive di qualsiasi rilevanza probatoria sulla irreversibilità della frattura; contraddittoria motivazione per avere ritenuto elemento a favore della cessazione un fatto inesistente (non ha detto di volersi riconciliare) di contro ad una precisa, inequivoca ed ininterrotta manifestazione di volontà contraria alla cessazione degli effetti civili del matrimonio”.
3. – Con il terzo motivo si deduce “falsa applicazione e violazione dell’art. 1, 2 e 4, settim
o comma, della legge 898/1970 in relazione agli artt. 3 e 29 Costituzione, con motivazione insufficiente in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5”. Apoditticamente la Corte di merito avrebbe concluso per la irreversibilità della frattura materiale e spirituale tra i coniugi alla luce della condotta della P. , con conseguente superfluità del tentativo di conciliazione, laddove la scelta processuale della mancata riconvocazione del convenuto assente in sede presidenziale si rivelerebbe legittima solo ove risulti chiara e incontestabile la persistente volontà anche della parte non comparsa di conseguire la cessazione degli effetti civili del matrimonio. L’attuale ricorrente, invece, mai aveva concluso per l’accoglimento della relativa domanda, ma si era limitata a opporsi per motivi etici e religiosi al divorzio, con la conseguenza della configurabilità astratta della ricostituzione della famiglia, e, dunque, della necessità di un ulteriore tentativo di conciliazione. La cui ratio legis trae origine dalla pari dignità dei coniugi e dal valore del matrimonio come cellula economica e sociale basilare, nonché dalla uguaglianza dei cittadini innanzi alla legge.
La illustrazione della doglianza si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto: “L’applicazione dell’art. 4 comma 7 della L. 1/12/1970, n. 898, nel testo attuale, deve avvenire in guisa che, in applicazione dell’art. 29 della Costituzione, che stabilisce l’uguaglianza giuridica e morale dei coniugi, non soltanto dovrebbe comportare (de iure condendo) l’abolizione della norma che, se il ricorrente non compare in sede presidenziale, non consente al resistente, che pure vuole il divorzio, di coltivarlo, ma anche (in applicazione della Costituzione), come nel caso di specie, che se il ricorrente compare ed il resistente, pur costituendosi, non compare, ma si oppone al divorzio, il potere discrezionale del Presidente deve trovare il suo limite nell’obbligo di effettuare il tentativo di conciliazione fissando una nuova udienza a tale fine, in quanto, mentre la pari dignità dei coniugi pretende che siano sentiti entrambi a quel fine, la opposizione del coniuge resistente non consente di ritenere stabilita e accertata la irreversibilità della frattura spirituale e materiale del rapporto tra i coniugi. Ove pertanto la nuova convocazione non sia disposta, la parte resistente è stata lesa nel suo diritto a dovere e potere esprimere la sua volontà in ordine alla possibilità o impossibilità della ricostituzione del consorzio familiare nella nuova udienza all’uopo fissata, venendo cosi violata, mentre doveva essere garantita, l’uguaglianza tra i coniugi e la pari dignità nei procedimenti di cessazione degli effetti civili del matrimonio alla luce degli artt. 3 e 29 Costituzione, con conseguente nullità della sentenza impugnata”.
4. – Le censure, da esaminare congiuntamente avuto riguardo alla stretta connessione logico-giuridica che le avvince – volte come sono tutte all’affermazione del diritto del coniuge resistente ad esprimere la propria volontà in ordine alla possibile ricostituzione della unione familiare attraverso la partecipazione al tentativo di conciliazione, pur non essendo comparso all’udienza all’uopo fissata ex art. 4 della legge n. 898 del 1970, dal Presidente del Tribunale, attraverso la fissazione di una nuova udienza – sono immeritevoli di accoglimento.
4.1. – In tema di divorzio, il tentativo di conciliazione da parte del Presidente del tribunale, pur configurandosi come un atto necessario per l’indagine sull’irreversibilità della frattura spirituale e materiale del rapporto tra i coniugi, non costituisce, tuttavia, un presupposto indefettibile del giudizio di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio.
In particolare, per ciò che rileva nel caso di specie, va segnalato che ai sensi del comma 7 dell’art. 4 della legge n. 898 del 1970, nella formulazione risultante dalle modifiche di cui all’art. 2 del d.l. 14 marzo 2005, n. 3, conv., con modif., nella legge 14 maggio 2005, n. 80, mentre nella ipotesi in cui il ricorrente non si presenti all’udienza di comparizione fissata dal Presidente, nella quale questi deve tentare di conciliare i coniugi, la domanda di divorzio non ha effetti, qualora sia il coniuge convenuto a non comparire, spetta al Presidente valutare l’opportunità di provvedere alla fissazione di una nuova udienza: l’esercizio di tale discrezionalità va evidentemente effettuato tenendosi conto delle ragioni della mancata comparizione.
4.2. – Nella specie, la Corte di merito ha sottolineato che la signora P. non aveva giustificato la sua mancata comparizione alla udienza fissata dal Presidente del Tribunale per esperire il tentativo di conciliazione, ma non aveva neppure manifestato la intenzione di riappacificarsi con il coniuge, opponendosi al divorzio, attraverso i propri procuratori, non già per la volontà di riprendere la convivenza con il D.A. , ma solo per ragioni etico-religiose.
In tale situazione, la Corte territoriale, con motivazione congrua ed immune da vizi logico-giuridici, ha ritenuto superflua la fissazione di una nuova udienza, avendo la P. mostrato chiaramente, con la propria condotta, l’intendimento non di riconciliarsi con il coniuge ma di proseguire il giudizio per opporsi al divorzio.
5. – In definitiva, il ricorso deve essere rigettato. In applicazione del criterio della soccombenza, le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, devono essere poste a carico della ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 2700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

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