Corte di Cassazione bis

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 12 febbraio 2016, n. 2816

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PALMA Salvatore – Presidente

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13785-2013 proposto da:

(OMISSIS) (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del controricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.R.L., incorporante la (OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1511/2012 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 21/12/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/12/2015 dal Consigliere Dott. LOREDANA NAZZICONE;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto l’accoglimento;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto il rigetto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ZENO Immacolata che ha concluso per l’accoglimento per quanto di ragione del nono motivo con l’assorbimento dei motivi quarto, quinto, sesto e settimo e rigetto dei motivi primo, secondo, ottavo e terzo, assorbimento dei motivi decimo, undicesimo e dodicesimo.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Brescia con sentenza del 21 dicembre 2012 ha respinto l’impugnazione proposta contro la decisione del Tribunale di Mantova del 17 dicembre 2007, la quale aveva dichiarato inammissibile la domanda, avanzata da (OMISSIS) contro la (OMISSIS) s.p.a., volta alla dichiarazione di nullita’, per mancanza di forma scritta del contratto-quadro, dell’operazione di investimento in obbligazioni “Argentina 98/05 TV” per euro 57.614,65 in data 9 marzo 2000, mentre aveva respinto le domande di annullamento, risoluzione per inadempimento, restituzione dell’importo investito e risarcimento del danno.

La corte territoriale, disattesa l’eccezione di carenza di rappresentanza processuale in capo alla persona fisica che ha agito in nome della banca, ha reputato inammissibile la domanda di nullita’ del contratto-quadro, perche’ proposta solo nella memoria Decreto Legislativo n. 5 del 2003, ex articolo 6, dopo che entrambe le parti avevano prodotto in giudizio ed allegato la regolare conclusione del contratto stesso.

Nel merito, esclusa l’esigenza di forma scritta ad substantiam quanto ai singoli ordini di investimento, ha ravvisato la ratifica agli ordini con il proprio comportamento successivo della investitrice, ed avendo la banca provato di avere ricevuto ordine di acquisto telefonico mediante l’apposito modello sottoscritto dall’operatore, e di avere annotato l’operazione sul conto corrente della odierna ricorrente. Quindi, ha escluso l’inadempimento della banca agli obblighi sulla stessa gravanti, atteso il profilo dell’investitrice, con elevata propensione al rischio.

Avverso questa sentenza propone ricorso la soccombente, affidato a dodici motivi. Resiste la banca con controricorso. Le parti hanno depositato, altresi’, la memoria ex articolo 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – I motivi del ricorso censurano la sentenza impugnata per:

1) violazione dell’articolo 77 c.p.c., articoli 2697 e 2725 c.c., per avere la corte territoriale ritenuto (OMISSIS) munito del potere di rappresentanza processuale per la banca, sebbene egli fosse stato il responsabile dell’ufficio legale della (OMISSIS) s.p.a., estintasi tuttavia per incorporazione nella (OMISSIS) s.p.a., la quale aveva ceduto il relativo ramo d’azienda ad una nuova societa’ bancaria denominata ancora (OMISSIS) s.p.a. ed in ordine alla quale controparte non aveva provato il conferimento del medesimo incarico allo (OMISSIS); la corte d’appello, invece, ha ritenuto presuntivamente che il medesimo avesse conservato lo stesso ruolo di responsabile dell’ufficio legale;

2) violazione del Decreto Legislativo n. 5 del 2003, articolo 6, comma 2, lettera b), e articolo 112 c.p.c., non avendo la corte d’appello ritenuto tempestiva la domanda di nullita’ per mancanza di un valido contratto-quadro ed avendo omesso di pronunciare sulla sua rilevabilita’ d’ufficio;

3) violazione degli articoli 1352 e 1453 c.c., nonche’ del Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 23, comma 1, per avere la corte territoriale affermato che l’ordine di borsa non necessita di forma scritta – al contrario esso esigendo tale forma ad substantiam – e ritenuto che l’ordine per cui e’ causa fosse stato ratificato con l’incontestato incasso delle cedole e degli interessi, la ricezione degli estratti conto ed adesione all’offerta della Repubblica Argentina; laddove invece anche il contratto ne prevedeva la forma scritta e tale inadempimento doveva condurre alla risoluzione del contratto-quadro;

4) violazione dell’articolo 112 c.p.c., non avendo la corte d’appello deciso le domande di risoluzione e risarcimento del danno;

5) violazione degli articoli 1333, 1399 e 1711 c.c., per avere la corte territoriale accertato l’esistenza di una valida ratifica da parte dell’investitrice con riguardo all’ordine, mentre ha operato incongruo riferimento all’ordine impartito dal padre dell’attrice, che invece non aveva preso parte in alcun modo all’operazione; ma nella specie non era mai stato dato mandato alla banca e mancava la forma scritta e l’inequivocita’ della ratifica stessa, non integrata dall’accredito delle cedole, la ricezione degli estratti, la adesione alla OPSV della Repubblica Argentina, il trasferimento dei titoli presso altro istituto;

6) omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, costituito dalla menzionata ratifica e dalla sua idoneita’ a comportare rinuncia a far valere gli inadempimenti agli obblighi comportamentali della banca;

7) violazione dell’articolo 112 c.p.c., non avendo la corte d’appello pronunciato in ordine all’eccezione di inidoneita’ delle condotte menzionate a costituire ratifica e comunque a comportare rinuncia a far valere gli inadempimenti agli obblighi comportamentali della banca;

8) violazione dell’articolo 112 c.p.c. e del giudicato interno, perche’ il primo giudice aveva accertato l’inadempimento della banca ai propri obblighi informativi e tale accertamento non e’ stato impugnato dalla banca, onde sul medesimo si e’ formato il giudicato interno e la corte d’appello non avrebbe potuto ravvisare, invece, l’insussistenza di quegli inadempimenti;

9) violazione degli articoli 28, comma 2, e 29 Reg. Consob n. 11522 del 1998, perche’ l’attrice non aveva impartito l’ordine, onde la banca non aveva fornito ad essa le informazioni circa la natura e i rischi dell’investimento, ne’ essendo essa un’operatrice qualificata come ritenuto dalla corte territoriale;

inoltre, la sentenza impugnata ha errato nel ritenere l’operazione adeguata al profilo della cliente;

10) violazione degli articoli 1175, 1337, 1338, 1374 e 1375 c.c., per avere la corte territoriale mancato di ritenere violate tali norme, le quali impongono doveri collaterali di collaborazione con la controparte, non avendo la banca informato la cliente del declassamento del rating dei titoli nella seconda meta’ del 2001, posto che certamente la banca ne era a conoscenza;

11) violazione dell’articolo 112 c.p.c., per l’omessa pronuncia sulla violazione del divieto di acquistare i titoli in nome proprio e per conto del cliente, posto dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 21, comma 2, dal momento che la banca il giorno stesso degli ordini per cui e’ causa aveva acquistato presso terzi i titoli stessi;

12) violazione dell’articoli 27 e articolo 32, comma 5, Reg. Consob n. 11522 del 1998, nonche’ dell’articolo 1394 c.c., in quanto nella prestazione del servizio di negoziazione per conto proprio l’intermediario e’ tenuto a comunicare il prezzo e non puo’ applicare commissioni, obblighi nella specie violati, avendo peraltro la banca applicato non una commissione, ma una maggiorazione sul prezzo pagato al terzo venditore dei titoli rivenduti alla cliente, mentre l’articolo 27 le imponeva di chiedere alla cliente l’autorizzazione scritta all’operazione, alla quale prendeva un interesse patrimoniale.

2. – Il primo motivo e’ infondato.

In presenza della prova del conferimento della rappresentanza processuale al responsabile dell’ufficio legale della banca ante fusione e della dichiarata assunzione di tale veste da parte della persona fisica che la rappresenta nel presente giudizio, nonche’ della prosecuzione, senza soluzione di continuita’, dei rapporti di lavoro in caso di cessione dell’azienda bancaria ex articolo 2112 c.c., la corte territoriale ha ritenuto provati,

in via presuntiva, i poteri di rappresentare in giudizio la nuova (OMISSIS) s.p.a. in capo allo (OMISSIS).

Tale accertamento non presenta mende logico-giuridiche e non e’ intaccato dal motivo, posto che esso si fonda sull’uso corretto dello strumento presuntivo, onde va disatteso.

3. – Il secondo motivo e’ inammissibile.

La ricorrente non si avvede, invero, che la corte territoriale ha giudicato inammissibile la domanda di nullita’ del contratto-quadro, dalla attrice in primo grado introdotta con la memoria di replica di cui al Decreto Legislativo n. 5 del 2003, articolo 6, con l’argomento che cio’ e’ avvenuto quando ormai entrambe le parti avevano prodotto in giudizio il contratto stesso, affermandone per sovrappiu’ la regolare conclusione.

In tal modo, la corte del merito ha esposto una ratio decidendi – l’esistenza di una comune allegazione e produzione del contratto di investimento in strumenti finanziari, depositato da entrambe in giudizio, come tale ormai oggetto di prova in ordine alla sua conclusione per iscritto – che non e’ colta dalla ricorrente.

Contrariamente all’assunto della stessa, la corte del merito non ha dichiarato il contratto-quadro nullo d’ufficio proprio in quanto essa afferma esserne stata prodotta la copia in giudizio da ambo le parti, onde la ricorrente e’ altresi’ priva di interesse al motivo.

4. – Il terzo motivo e’ infondato.

Questa Corte ha ormai chiarito che la disposizione dell’articolo 23 t.u.f., secondo cui i contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento debbono essere redatti per iscritto a pena di nullita’ del contratto, deducibile solo dal cliente, attiene al contratto-quadro, che disciplina lo svolgimento successivo del rapporto volto alla prestazione del servizio di negoziazione di strumenti finanziari, e non ai singoli ordini di investimento o disinvestimento che vengano poi impartiti dal cliente all’intermediario, la cui validita’ non e’ soggetta a requisiti di forma (Cass. 19 ottobre 2012, n. 18039; 13 gennaio 2012, n. 384; 22 dicembre 2011, n. 28432).

Quanto al profilo della ratifica dell’ordine, per esso si rimanda all’esame dei motivi dal quinto al settimo.

La censura di violazione dell’articolo 1352 c.c., per violazione di una forma scritta convenzionale degli ordini, infine, e’ nuova, di essa non facendo parola la sentenza impugnata, ne’ avendo la ricorrente dedotto il luogo ed il tempo della precedente deduzione, in modo che questa Corte possa al riguardo apprezzare la censura proposta alla decisione impugnata.

5. – Il quarto motivo e’ infondato.

La sentenza impugnata ha escluso l’inadempimento della banca ai propri obblighi (di informare il cliente, di astenersi dall’eseguire operazioni inadeguate e di non agire in conflitto di interessi): a parte quanto oltre si dira’, cio’ palesa che, difettando un elemento costitutivo della fattispecie risolutoria e risarcitoria, tali domande sono state respinte, come evidenzia anche il dispositivo di integrale conferma della sentenza di primo grado.

6. – Il quinto, sesto e settimo motivo, che possono essere trattati congiuntamente in quanto intimamente connessi riguardando essi l’esistenza degli ordini, in ogni caso “ratificati” dalla ricorrente, sono infondati.

La corte del merito ha accertato che l’ordine verbale, impartito presumibilmente dal padre dell’attrice, e’ stato da essa “ratificato” con il proprio comportamento successivo, avendo la stessa incassato le cedole, ricevuto gli interessi ed omesso di contestare gli estratti conto; in ogni caso, la banca ha provato di avere ricevuto ordine di acquisto telefonico mediante l’apposito modello sottoscritto dall’operatore e di avere annotato l’operazione sul conto corrente della odierna ricorrente.

Dunque, la corte del merito ha esposto una triplice motivazione: da un lato, ha affermato che (OMISSIS) ha ratificato l’ordine con il proprio comportamento successivo; dall’altro, ha rilevato come il padre avesse comunque impartito l’ordine alla banca per conto della figlia; dall’altro lato ancora, ha accertato l’adempimento degli obblighi a posteriori della banca dopo la legittima ricezione dell’ordine telefonico.

La seconda ratio decidendi esposta, la quale accerta nella sostanza l’esistenza di un mandato conferito al padre della investitrice perche’ provvedesse, per conto della figlia, ad impartire l’ordine – circostanza che la sentenza afferma provata – e’, da un lato, rispettosa del ricordato principio che afferma la validita’ dell’ordine non impartito per scritto, e, dall’altro lato, non censurata dalla ricorrente, onde e’ di per se’ idonea a sorreggere la decisione. Va, invero, considerato come il solo rilievo esposto dalla ricorrente – secondo cui il riferimento al padre della medesima, contenuto nella sentenza impugnata, non corrisponde a come si svolsero effettivamente i fatti – costituisce, semmai, un errore revocatorio, la cui deduzione resta inammissibile in questa sede.

Dunque, questa seconda ratio decidendi, non scalfita dalla ricorrente, e’ da sola idonea a sorreggere la decisione.

Cio’, inoltre, palesa l’infondatezza della censura proposta ex articolo 360 c.p.c., 1 comma, n. 5, come modificato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito in Legge 7 agosto 2012, n. 134 ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012 (sesto motivo), nonche’ la dedotta violazione dell’articolo 112 c.p.c. (settimo motivo): invero, la decisione ha esaminato anche la dedotta “ratifica” e si fonda autonomamente sull’esistenza di un valido ordine impartito per conto della figlia, la cui smentita in fatto, operata dal motivo, e’ inammissibile, per quanto sopra esposto.

Infine, la menzione – ora ai fini dell’omessa pronuncia ex articolo 112 c.p.c., ora del vizio di omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti – della dedotta inidoneita’ della “ratifica” a comportare la rinuncia a far valere, da parte della cliente, gli inadempimenti agli obblighi comportamentali della banca non coglie nel segno, non avvedendosi la ricorrente che la sentenza impugnata proprio quegli inadempimenti ha invece valutato, dopo aver stigmatizzato l’errore della sentenza di primo grado, che quella “rinuncia” aveva invece ravvisato.

7. – I motivi ottavo e nono riguardano il dedotto inadempimento della banca ai propri obblighi, onde possono essere unitariamente trattati.

Essi sono in parte infondati ed in parte inammissibili.

La sentenza impugnata – dopo avere censurato il tribunale, laddove aveva ritenuto automaticamente rinunciato dalla cliente il diritto a far valere gli inadempimenti della banca, e dopo, dunque, avere riesaminato i fatti – ha ritenuto positivamente provato l’adempimento della banca agli obblighi di informare il cliente (previsti dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 21, 28 e 94), di non procedere ad operazioni inadeguate (articolo 29 Reg. Consob n. 11522 del 1998) e di non agire in conflitto di interessi (articolo 27-29 e 32 del regolamento).

Non e’ fondata la tesi del giudicato interno circa l’esistenza di condotte inadempienti della banca ai propri obblighi informativi (che il giudice di primo grado avrebbe ravvisato in ragione della mancata prova dell’ordine diretto della cliente, per poi comunque respingere la domanda sulla base della sopravvenuta ratifica): posto che il giudicato, anche interno, si forma su capi della decisione, ossia su domande, o su questioni autonome, non su passaggi logici ed accertamenti parziali della medesima, come nel caso di specie.

Ed invero, costituisce principio consolidato che il giudicato sostanziale, esterno ed interno, si forma sui capi della sentenza non impugnati, concernenti questioni indipendenti da quelle investite dai motivi di gravame: la formazione della cosa giudicata per mancata impugnazione su un determinato capo della sentenza investita dal gravame, infatti, puo’ verificarsi soltanto con riferimento ai capi della stessa sentenza completamente autonomi, in quanto concernenti questioni affatto indipendenti da quelle investite dai motivi di impugnazione, perche’ fondate su autonomi presupposti di fatto e di diritto, tali da consentire che ciascun capo conservi efficacia precettiva anche se gli altri vengono meno, mentre, invece, non puo’ verificarsi sulle affermazioni contenute nella sentenza che costituiscano mera premessa logica della statuizione adottata, ove quest’ultima sia oggetto del gravame (Cass. 23 febbraio 2009, n. 4363; 31 maggio 2006, n. 13003).

Ne’ la corte del merito ha affatto reputato l’odierna ricorrente un’operatrice qualificata (nel significato tecnico-giuridico di cui all’articolo 31 Reg. Consob n. 11522 del 1998), essendosi limitata ad affermare che essa era abitualmente dedita ad operazioni speculative.

Va, al riguardo, ribadito che il contenuto degli obblighi informativi si determina in relazione al loro destinatario, mentre l’investitore ha l’onere di allegare specificamente quali siano gli obblighi rimasti inadempiuti nei suoi confronti, ovvero le specifiche circostanze in cui gli inadempimenti dell’intermediario si sono concretizzate, tali che l’avrebbero indotto, ad esempio, a non acquistare i titoli (fra le altre, cfr. Cass. 25 settembre 2014, n. 20178; 24 maggio 2012, n. 8237). Nel giudizio per risarcimento dei danni promosso dal cliente, grava sull’intermediario l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta (articolo 23, u.c., t.u.f.); ma a carico dell’investitore il quale abbia agito in giudizio resta pur sempre l’onere sia di allegare l’inadempimento delle obbligazioni disciplinate dal t.u.f. e dalla normativa regolamentare, sia di provare il danno ed il nesso di causalita’ che a quell’inadempimento lo lega, mentre compete all’intermediario provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico ed allegate come inadempiute e, sotto il profilo soggettivo, di avere agito con la specifica diligenza richiesta (Cass. 17 febbraio 2009, n. 3773).

La sentenza impugnata ha accertato il profilo dell’investitrice, da lunghi anni cliente della banca, negli anni effettuando investimenti ad “elevato rendimento, cedole a breve, facile negoziabilita’”, tanto da essersi resa acquirente di valori mobiliari esteri ed italiani con rendimento di gran lunga superiore ai titoli di Stato, con conseguente dimostrazione di elevata propensione al rischio, e, dunque, palesandosi un’investitrice abituale di una certa esperienza, in particolare allorche’ aveva acquistato i titoli argentini, che esprimevano nel 1999 rendimento del 6,61%, ed all’epoca valutati ad un rating medio; in definitiva, essa aveva acquistato i titoli, adeguati al suo profilo, con la piena consapevolezza del rischio ivi insito.

Pur essendo demandato a questa Corte il giudizio d’integrazione della fattispecie c.d. elastica con riguardo ai parametri che ne costituiscono la specificazione, in quanto essa si caratterizza per il fatto che il precetto si completa con riferimento alla realta’ sociale ed economica (cfr., fra le altre, Cass. 10 novembre 2015, n. 22950), il profilo della c.d. adeguatezza dell’operazione d’investimento allo specifico cliente e’ oggetto di apprezzamento di merito della corte territoriale, non ripetibile in sede di legittimita’.

A cio’ si aggiunga che la controversia e’ soggetta all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come modificato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito in Legge 7 agosto 2012, n. 134, onde il vizio di motivazione non puo’ essere piu’ sottoposto alla Corte.

8. – Il decimo motivo e’ infondato.

La corte del merito ha escluso che la banca abbia violato gli obblighi d’informazione successiva agli acquisti, perche’ l’investitrice, mediante gli estratti conto, era in grado di verificare il rendimento dei titoli e valutare se ricollocarli sul mercato con la relativa perdita che ne sarebbe seguita, mentre il default del dicembre 2001 non e’ stato preceduto da notizie di stampa o altro, e la banca aveva poi prestato assistenza per aderire alla offerta pubblica.

Il vizio di violazione di legge denunziato non sussiste, pertanto, avendo la corte del merito, nel proprio giudizio qui non ripetibile, ravvisato da parte della banca l’adempimento anche agli obblighi successivi all’acquisto.

9. – I motivi undicesimo e dodicesimo sono infondati.

La corte di merito ha accertato che non sussiste il conflitto di interessi, avendo la banca acquistato i titoli presso terzi ad essa estranei. La commissione applicata rappresenta il compenso lecito della negoziazione in contropartita diretta, ossia uno dei servizi ammessi per l’intermediario. Ha aggiunto che non si applica alla specie il Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 94, perche’ non e’ provato che la banca abbia svolto attivita’ di sollecitazione all’investimento con obbligo di prospetto.

Dunque, essa si e’ posta in coerenza con il principio secondo cui le operazioni in contropartita diretta, cioe’ di acquisto delle obbligazioni (anche in mancanza di un mandato del cliente) e successiva rivendita a quest’ultimo, non generano di per se’ un conflitto di interessi, gia’ enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte, la quale ha ritenuto che la negoziazione in questione costituisca uno dei servizi di investimento al cui esercizio l’intermediario e’ autorizzato, al pari della negoziazione per conto terzi, come si evince dalle definizioni contenute nell’articolo 1 t.u.f., essendo essa una delle modalita’ con le quali l’intermediario puo’ dare corso ad un ordine di acquisto o di vendita di strumenti finanziari impartito dal cliente, con la conseguenza che l’esecuzione dell’ordine in conto proprio non comporta, di per se’ sola, l’annullabilita’ dell’atto ai sensi degli articoli 1394 e 1395 c.c. (Cass. 10 aprile 2014, n. 8462; 19 ottobre 2012, n. 18039; 22 dicembre 2011, n. 28432).

Quanto all’assunto secondo cui, in sostanza, la banca avrebbe realizzato una sollecitazione all’investimento, con conseguente obbligo di pubblicazione di un prospetto informativo, correttamente la corte territoriale ha escluso l’esistenza di tale obbligo, in quanto previsto dagli articolo 94 t.u.f. e 29 del regolamento Consob n. 11971 del 1999 solo per l’ipotesi di sollecitazione all’investimento, diversa da quella, in esame, di negoziazione su base individuale.

La deduzione circa la mancata comunicazione della maggiorazione sul prezzo – tale qualificandolo la stessa ricorrente, onde inammissibile e’ la censura sulla non debenza di commissioni – e’ nuova, dunque inammissibile in questa sede.

10. – Le spese seguono la soccombenza.

Deve provvedersi altresi’ all’accertamento di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla Legge 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, applicabile ai procedimenti iniziati dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge, avvenuta il 30 gennaio 2013.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in euro 5.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie ed agli accessori di legge.

Da atto che sussistono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater.

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