Cassazione 10

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 11 settembre 2015, n. 17962

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FORTE Fabrizio – Presidente

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso l’avv. (OMISSIS), dal quale, unitamente all’avv. (OMISSIS) del foro di Bergamo, e’ rappresentata e difesa in virtu’ di procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso l’avv. (OMISSIS), unitamente all’avv. (OMISSIS)del foro di Bergamo, dalla quale e’ rappresentata e difesa in virtu’ di procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

(OMISSIS), in qualita’ di tutore provvisorio di (OMISSIS), avv. (OMISSIS), in qualita’ di tutrice di (OMISSIS), e PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI BRESCIA;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Brescia n. 1248/13, pubblicata il 13 novembre 2013.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21 aprile 2015 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;

udito l’avv. (OMISSIS) per delega del difensore della controricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. CERONI Francesca la quale ha concluso per la dichiarazione d’inammissibilita’ ed in subordine per il rigetto del ricorso.

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

1. – Con sentenza del 13 novembre 2013, la Corte d’Appello di Brescia ha accolto il gravame interposto da (OMISSIS) avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Bergamo il 30 maggio 2012, revocando la pronuncia d’interdizione adottata nei confronti dell’appellante su ricorso della madre (OMISSIS) e rimettendo gli atti al Giudice tutelare per la nomina di un amministratore di sostegno.

Premesso che l’appellante era una donna di oltre quarant’anni, con una propria vita personale, affettiva e familiare ormai distinta da quella della famiglia di origine, avendo fatto studi scolastici superiori, avendo lavorato per anni come impiegata in un ufficio con mansioni esecutive, ed avendo intrapreso una stabile convivenza con un uomo, con il quale aveva manifestato l’intenzione di contrarre matrimonio, la Corte ha ritenuto privo di riscontro l’assunto secondo cui ella intratteneva una disordinata vita affettiva; ha osservato inoltre che la (OMISSIS) non era totalmente incapace d’intendere e di volere, in quanto dalla c.t.u. espletata nel corso del giudizio era risultato che ella era affetta da una stabile infermita’ di mente, consistente in un disturbo della personalita’ non altrimenti specificato d’innesto su una condizione di ritardo mentale di grado moderato stabilizzata e non reversibile, la quale comportava esclusivamente l’incapacita’ di gestire complesse pratiche amministrative correlate al rilevante patrimonio ereditato dal padre, ma non incideva sulla capacita’ di gestire modesti importi di denaro o di attendere alle necessita’ del vivere quotidiano. Ha quindi confermato l’insussistenza dei presupposti per la pronuncia dell’inabilitazione, non essendo stato provato che l’appellante fosse affetta da prodigalita’ o dedita all’abuso abituale di bevande alcooliche o sostanze stupefacenti, o ancora affetta da sordomutismo o cecita’ dall’infanzia.

Quanto all’interdizione, la Corte ha osservato che l’elemento di differenziazione rispetto all’amministrazione di sostegno non e’ costituito dal diverso grado d’infermita’ richiesto o dall’impossibilita’ di attendere ai propri interessi, ma dalla maggiore flessibilita’ ed adattabilita’ della disciplina del secondo istituto in riferimento alla straordinaria amministrazione, essendo riconosciuta al giudice tutelare la possibilita’ di graduare gli effetti limitativi dell’attivita’ del beneficiario senza che vengano meno quelli protettivi. Ha richiamato in proposito la giurisprudenza costituzionale, secondo cui il ricorso alle misure dell’interdizione o dell’inabilitazione deve ritenersi consentito soltanto nell’ipotesi in cui non possano ravvisarsi interventi di sostegno idonei ad assicurare all’incapace la tutela piu’ adeguata alla fattispecie, limitandone la capacita’ nella minore misura possibile. Ha aggiunto che con l’amministrazione di sostegno il legislatore ha inteso configurare uno strumento elastico, modellato a misura delle esigenze del caso concreto, che non si distingue dall’interdizione sotto il profilo quantitativo, ma sotto quello funzionale, restando l’interdizione riservata, per la gravita degli effetti che ne derivano, a quelle ipotesi in cui una diversa misura non sortirebbe alcuna efficacia protettiva.

Tanto premesso, e valutata la condizione personale e clinica dell’appellante, la Corte ha ritenuto insussistenti i presupposti per la pronuncia dell’interdizione, osservando che la (OMISSIS), oltre ad aver raggiunto una sufficiente preparazione scolare ed un’adeguata autonomia personale, anche mediante lo svolgimento di una soddisfacente attivita’ lavorativa, nel corso dell’esame personale aveva risposto in maniera consona e adeguata alle domande che le erano state poste, in tal modo avvalorando la conclusione del c.t.u., secondo cui la menomazione della capacita’ d’intendere e di volere era soltanto parziale. Ha quindi affermato che la protezione dell’appellante avrebbe potuto essere assicurata piu’ appropriatamente attraverso la nomina dell’amministratore di sostegno e la predisposizione del progetto di sostegno, essendo la (OMISSIS) in grado di provvedere autonomamente alle proprie quotidiane ed ordinarie esigenze di vita, e non potendosi precludere alla stessa il compimento degli atti di gestione ed amministrazione dell’ingente patrimonio posseduto, con il supporto dell’amministratore e se del caso con l’ulteriore ausilio di esperti e qualificati professionisti del settore.

2. – Avverso la predetta sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, illustrati anche con memoria. La (OMISSIS) ha resistito con controricorso. Gli altri intimati non hanno svolto attivita’ difensiva.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

1. – Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli articoli 404, 405, 414 e 427 cod. proc. civ., osservando che, pur avendo correttamente conferito rilievo al criterio funzionale, ai fini della scelta tra interdizione ed amministrazione di sostegno, la sentenza impugnata si e’ limitata a prendere in considerazione il grado d’infermita’ della (OMISSIS) e le sue residue capacita’, senza tener conto di un elemento ulteriore, costituito dalla complessita’ dell’attivita’ richiesta per la gestione degl’interessi dell’incapace e dalla possibilita’ del compimento di atti pregiudizievoli, da valutarsi in relazione alla consistenza del patrimonio, alla vita di relazione intrattenuta dall’incapace ed alla attitudine di quest’ultimo a non porre in discussione i risultati dell’attivita’ di sostegno. La Corte di merito si e’ infatti limitata a dare atto della rilevante consistenza del patrimonio che la (OMISSIS) ha ereditato dal padre, senza spiegare il modo in cui una persona affetta da un grado d’infermita’ tale da arrestarne lo sviluppo mentale all’eta’ di sei/otto anni e da limitarne le capacita’ alla gestione di piccole somme necessarie per le spese quotidiane sia in grado di compiere gli atti necessari per la relativa amministrazione. La sentenza impugnata ha inoltre omesso di valutare l’attivita’ necessaria per la cura personale dell’assistita e la difficolta’ di interagire con quest’ultima sotto il profilo comportamentale, soprattutto con riguardo all’attitudine della (OMISSIS) a relazionarsi con persone interessate esclusivamente al suo patrimonio e a contrapporsi a coloro che cercano di aiutarla.

2. – Con il secondo motivo, la ricorrente deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, rilevando che la sentenza impugnata non si e’ pronunciata in ordine all’incapacita’ a contrarre matrimonio, connessa alle modalita’ di estrinsecazione dell’infermita’ mentale da cui e’ affetta la (OMISSIS), alla luce della quale e’ stata proprio quest’ultima a richiedere, a seguito della nomina dell’amministratore di sostegno, che lo stesso fosse autorizzato a proporre opposizione al matrimonio.

3. – Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, osservando che, nell’attribuire particolare rilievo al livello d’istruzione della (OMISSIS), ai fini della valutazione delle sue capacita’ residue, la sentenza impugnata ha erroneamente affermato che ella ha raggiunto il terzo anno delle scuole superiori, mentre dalla documentazione prodotta risultava che ha lasciato la scuola a seguito del fallimento del terzo tentativo di superare il primo anno. Nel ritenere che la (OMISSIS) abbia raggiunto un’adeguata autonomia personale, anche attraverso lo svolgimento di attivita’ lavorativa, la Corte di merito ha inoltre omesso di considerare che tale attivita’ si e’ svolta in regime protetto, sotto la costante vigilanza della moglie del datore di lavoro, il quale vi ha consentito in cambio del sostegno finanziario assicurato all’impresa dal padre della (OMISSIS). Nel ritenere adeguate le risposte fornite da quest’ultima nel corso dell’esame personale, la sentenza impugnata ha infine omesso di verificarne la rispondenza alla realta’ dei fatti e la collocazione temporale delle vicende riferite, nonche’ di valutare il comportamento della (OMISSIS), volto a creare un’apparenza di normalita’ ed a relegare in un tempo lontano circostanze attuali e negative.

4. – Il primo motivo e’ infondato, mentre il secondo ed il terzo sono inammissibili.

Come riconosce la stessa ricorrente, nell’escludere la sussistenza dei presupposti per la pronuncia dell’interdizione, la sentenza impugnata si e’ correttamente attenuta al principio, piu’ volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimita’, secondo cui, a seguito dell’entrata in vigore della Legge 9 gennaio 2004, n. 6, che ha introdotto nel nostro ordinamento l’amministrazione di sostegno, l’ambito di applicazione di ciascuno dei due istituti deve essere individuato avendo riguardo non gia’ al diverso grado d’infermita’ o d’impossibilita’ di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, in ipotesi piu’ intenso per l’interdizione, ma alla maggiore idoneita’ dell’amministrazione di sostegno ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilita’ ed alla maggiore agilita’ della relativa procedura applicativa: la finalita’ dell’amministrazione di sostegno consiste infatti nell’offrire a chi si trovi nell’impossibilita’, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura possibile la capacita’ di agire, distinguendosi, proprio in virtu’ di tale specifica funzione, dagli altri istituti previsti a tutela degl’incapaci, non soppressi ma solo modificati dalla stessa legge, attraverso la novellazione degli articoli 414 e 427 cod. civ. (cfr. Cass., Sez. 1, 26 ottobre 2011, n. 22332; 22 aprile 2009, n. 9628; 20 dicembre 2006, n. 27268; 29 novembre 2006, n. 25366; 12 giugno 2006, n. 13584).

In quest’ottica, la Corte di merito si e’ opportunamente astenuta dal conferire preminente rilievo al grado dell’infermita’ mentale da cui e’ affetta la (OMISSIS), non contestato dalle parti e ritenuto comunque idoneo a legittimare un giudizio di parziale incapacita’ di provvedere autonomamente a se’ e di autodeterminarsi economicamente, ed ha posto invece in risalto le residue capacita’ della controricorrente e l’esperienza di vita dalla stessa maturata attraverso gli studi scolastici e lo svolgimento di attivita’ lavorativa, per concludere che non le si poteva impedire il compimento, con il supporto dell’amministratore di sostegno, anche degli atti di gestione ed amministrazione dell’ingente patrimonio posseduto, avendo ella dimostrato di essere in grado di provvedere in forma sufficiente alle proprie quotidiane ed ordinarie esigenze di vita. Tale conclusione, ampiamente motivata ed immune da vizi logici, non si discosta apprezzabilmente dallo schema di valutazione emergente dagli articoli 404 e 414 cod. civ., che, nel delineare l’amministrazione di sostegno come strumento elastico, modellato a misura delle esigenze del caso concreto e diversificato dall’interdizione esclusivamente sotto il profilo funzionale, non escludono la possibilita’ di farvi ricorso anche in presenza di patologie particolarmente gravi, in tal modo prefigurando un criterio di scelta tra i due istituti imperniato sulla valutazione delle caratteristiche specifiche delle singole fattispecie e sulla considerazione delle esigenze da soddisfare di volta in volta, fermo restando, pero’, il carattere residuale dell’interdizione, riservata a quelle ipotesi in cui una diversa misura non spiegherebbe alcuna efficacia protettiva (cfr. Corte cost., sent. n. 440 del 2005). In proposito, d’altronde, questa Corte ha gia’ avuto modo di sottolineare come dalla disciplina dettata dalla Legge n. 6 del 2004 emerga incontrovertibilmente l’intento del legislatore di salvaguardare nella massima misura possibile l’autodeterminazione del soggetto in difficolta’, attraverso il superamento concettuale del momento autoritativo, tradizionalmente connesso al divieto di compiere una serie piu’ o meno ampia di attivita’, in correlazione all’accertato grado di incapacita’, a favore di un’effettiva protezione della sua persona, che si attua prestando la massima attenzione alla sua sfera volitiva ed alle sue esigenze, in conformita’ al principio costituzionale del rispetto dei diritti inviolabili dell’uomo (cfr. Cass., Sez. 1, 12 giugno 2006, n. 13584, cit.).

4.1. – E’ pur vero che, nell’individuare le modalita’ di applicazione del predetto criterio, la giurisprudenza di legittimita’ ha precisato che la scelta tra l’interdizione e l’amministrazione di sostegno non puo’ non essere influenzata dal tipo di attivita’ da compiersi in nome del beneficiario della protezione, nel senso che la maggiore semplicita’ delle procedure connesse alla seconda misura e la minore gravita’ delle relative conseguenze sul piano etico-sociale impongono tendenzialmente di preferirla ogni qualvolta, vuoi per la scarsa consistenza del patrimonio disponibile, vuoi per la semplicita’ delle operazioni da compiere e per l’attitudine del soggetto protetto a non porre in discussione i risultati dell’attivita’ di sostegno, non siano messi in pericolo gl’interessi del soggetto, dovendosi invece optare per l’interdizione ove si tratti di gestire un’attivita’ di una certa complessita’ ovvero nei casi in cui occorra impedire al soggetto di compiere atti per se’ pregiudizievoli, anche in considerazione della vita di relazione dallo stesso intrattenuta. Tale possibilita’, tuttavia, e’ stata opportunamente vagliata dalla sentenza impugnata, la quale, pur dando atto della rilevante entita’ del patrimonio personale della (OMISSIS), ulteriormente accresciuto dalla titolarita’ delle quote di una societa’ immobiliare a sua volta in possesso di un ingente patrimonio, nonche’ dell’atteggiamento oppositivo piu’ volte manifestato dalla controricorrente nei confronti del tutore nominato dal Tribunale, ha ritenuto che cio’ non giustificasse l’esclusione, necessariamente collegata alla pronuncia dell’interdizione, finanche della capacita’ di compiere da sola gli atti necessari per la soddisfazione delle esigenze della vita quotidiana, ma solo l’imposizione del supporto di un amministratore di sostegno ed eventualmente dell’ausilio di esperti e qualificati professionisti del settore, ai fini della gestione del predetto patrimonio.

In contrario, non vale sottolineare le difficolta’ derivanti dall’esigenza di un continuo confronto tra il beneficiario, l’amministratore di sostegno ed il giudice tutelare, collegata al disposto dell’articolo 410 cod. civ., che impone all’amministratore di informare tempestivamente il beneficiario degli atti da compiere e, in caso di dissenso con quest’ultimo, d’investire della decisione il giudice tutelare; a tali difficolta’ e’ destinata infatti a sopperire la previsione dell’articolo 405 cod. civ., il quale impone al giudice tutelare d’indicare, nel decreto di nomina, gli atti che l’amministratore ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario e quelli che quest’ultimo puo’ compiere solo con l’assistenza del primo, in tal modo prevedendo la fissazione di una linea di demarcazione, la cui variabilita’ in relazione alle caratteristiche concrete della fattispecie costituisce ulteriore espressione della flessibilita’ dell’istituto. La possibilita’ che il dissenso sfoci in aperto contrasto, impedendo la realizzazione delle finalita’ della misura, e’ poi contemplata dall’articolo 405, comma 2 cit. e dall’articolo 413 cod. civ., u.c. i quali attribuiscono al beneficiario, al pubblico ministero ed agli altri soggetti legittimati a chiedere la misura in questione la facolta’ di sollecitare l’adozione degli opportuni provvedimenti da parte del giudice tutelare, ed a quest’ultimo quella di disporre anche la cessazione dell’amministrazione di sostegno e d’informare il pubblico ministero affinche’ promuova l’interdizione o l’inabilitazione. Quanto infine all’eventualita’, paventata dalla difesa della ricorrente, che i maggiori rischi per gl’interessi personali e patrimoniali della (OMISSIS) possano derivare dal compimento di quegli atti che, come il matrimonio o il testamento, non possono essere demandati all’amministratore di sostegno, costituendo espressione delle scelte piu’ intime e personali dell’interessato, soccorre la previsione dell’articolo 411 c.c., comma 4, il quale attribuisce al giudice tutelare il potere di disporre, nel provvedimento di nomina dell’amministratore o successivamente, che determinati effetti, limitazioni o decadenze, previsti dalla legge per l’interdetto o l’inabilitato, si estendano al beneficiario dell’amministrazione di sostegno, avuto riguardo all’interesse del medesimo ed a quello tutelato dalle predette disposizioni (cfr. al riguardo, Corte cost, sent. n. 440 del 2005).

4.2. – Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui, sulla base di una valutazione complessiva dell’infermita’ mentale da cui e’ affetta la (OMISSIS) e delle residue attitudini della stessa, ha ritenuto ingiustificato il ricorso all’interdizione, disponendo la trasmissione degli atti al giudice tutelare, al quale resta conseguentemente assegnato il compito di conformare i poteri dell’amministratore e le limitazioni da imporre alla capacita’ della beneficiaria, in funzione delle esigenze di protezione della persona di quest’ultima e di gestione dei suoi interessi patrimoniali.

Nel contestare il predetto apprezzamento, riservato al giudice di merito e censurabile in sede di legittimita’ esclusivamente ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass., Sez. 1, 26 luglio 2013, n. 18171; 26 ottobre 2011, n. 22332), la ricorrente non e’ d’altronde in grado d’individuare fatti storici decisivi effettivamente trascurati dalla sentenza impugnata, ma si limita ad insistere su elementi istruttori gia’ scrutinati dalla Corte di merito o su argomentazioni gia’ prese in considerazione dalla stessa, la cui valutazione non e’ sindacabile sotto il profilo della correttezza logica, non assumendo piu’ autonoma rilevanza il vizio di contraddittorieta’ della motivazione (cfr. Cass., Sez. 6, 16 luglio 2014, n. 16300; 9 giugno 2014, n. 12928; Cass., Sez. 1, 4 aprile 2014, n. 7983).

In quanto emessa in data successiva all’entrata in vigore della Legge 7 agosto 2012, n. 134, che ha convertito il Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, la sentenza impugnata e’ infatti soggetta alla disciplina dettata dal nuovo testo dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introdotto dall’articolo 54 del predetto decreto-legge, il quale, circoscrivendo il vizio di motivazione deducibile mediante il ricorso per cassazione all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti, costituisce espressione della volonta’ del legislatore di ridurre al minimo costituzionale l’ambito del sindacato spettante al Giudice di legittimita’ in ordine alla motivazione della sentenza. In tale contesto, restringendosi l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimita’ ai soli casi in cui il vizio si converte in violazione di legge, per mancanza del requisito di cui all’articolo 132 c.p.c., n. 4, deve escludersi la possibilita’ di estendere l’ambito di applicabilita’ articolo 360, comma 1, comma 5 al di fuori delle ipotesi, non ricorrenti nella fattispecie in esame, in cui la motivazione manchi del tutto sotto l’aspetto materiale e grafico, oppure formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddite da non permettere d’individuarla, cioe’ di riconoscerla come giustificazione del decisum e tale vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza (cfr Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, v. 8053 e 8054; Cass., Sez. 6, 8 ottobre 2014 21257).

5. – Il ricorso va pertanto rigettato.

La peculiarita’ della questione trattata ed i rapporti intercorrenti tra le parti giustificano peraltro la dichiarazione dell’integrale compensazione delle spese processuali.

Trattandosi di procedimento esente dal contributo unificato, non trova applicazione il Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dalla Legge 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17.

 

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso, e dichiara interamente compensate tra le parti le spese processuali.

Ai sensi del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 dispone che, in caso di diffusione della presente sentenza, siano omessi le generalita’ e gli altri dati identificativi delle parti.

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