coniglio

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza  10 luglio 2013, n. 29487

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza resa il 9 gennaio 2012 la Corte di Appello di Firenze confermava la sentenza del Tribunale di Firenze, sezione distaccata di Empoli, del 10 giugno 2010, che aveva ritenuto l’imputato M.D. responsabile dei reati di cui all’art. 544-bis cod. pen. per avere sparato con una carabina SLB 2000 cal. 308 win n. matricola (omissis), avente una gittata di un chilometro ed un tiro utile di 500 metri circa, ad un coniglio domestico, allevato dal padre, di cui cagionava la morte per provare il funzionamento dell’arma dopo avergli legato una zampa ad un arbusto, nonché di detenzione illegale di arma da fuoco per avere detenuto presso la propria abitazione la carabina ad aria compressa Diana cal. 5.5/22 con ottica, da considerarsi arma e come tale in precedenza denunciata da D.G. , fatti commessi in (omissis) , e, unificati detti reati per continuazione, concesse le attenuanti generiche e per il reato di cui al capo C) l’attenuante di cui all’art. 5 e 7 l. 895/67, lo aveva condannato alla pena di mesi due di reclusione per quello sub A) e di mesi quattro di reclusione ed Euro 50,00 di multa per quello sub C), erroneamente indicato nel dispositivo come sub B), con la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena e con l’ordine di confisca e devoluzione alla locale direzione di Artiglieria della carabina ad aria compressa e della carabina SLB 2000 in sequestro. L’imputato era stato, invece, prosciolto dai reati sub B) e D) contestati ai sensi degli artt. 703 cod. pen. e 38 e 221 T.U.L.P.S. perché estinti per intervenuta oblazione.
1.1 Entrambe le sentenze di merito ritenevano di dover disattendere la tesi difensiva secondo la quale l’imputato aveva sparato al coniglio, fuggito dall’allevamento del padre, per farne uso alimentare e la carabina SLB era stata ricevuta dal nipote soltanto la sera prima perché egli la pulisse, rilevando che lo sparo di più colpi con arma di grosso calibro, adatta alla caccia al cinghiale, con appropriato munizionamento aveva reso l’animaletto inservibile ad usi alimentari, la cui soppressione era avvenuta senza necessità, ma, per essere stato lasciato agonizzante sul luogo, non costituiva un atto di caccia, quanto fonte di inutili crudeltà e sofferenze per la morte lenta inflitta, anche perché il coniglio era stato previamente legato ad un arbusto per impedirne la fuga, consentirgli di muoversi e di fungere da bersaglio per provare l’arma, mentre alle ore 18.00 l’imputato non aveva ancora provveduto a pulire la carabina conservata nella sua abitazione all’interno dell’apposito armadio-fuciliera come fosse di sua proprietà, sicché doveva ritenersi essere stata oggetto di comodato, richiedente la denuncia all’autorità di p.s. rastrelliera arma, sicché doveva ritenersi che egli l’avesse ricevuta per farne uso e non per la manutenzione.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato a mezzo del suo difensore, il quale si duole – Con riferimento al reato di cui al capo A), si duole di:
a) carenza assoluta, contraddittorietà e manifesta illogicità di motivazione, per non avere la Corte di Appello rilevato che, come dimostrato dai rilievi fotografici e confermato dalla testimonianza del G. , il coniglio non era stato affatto devastato dai colpi sparati, in realtà uno soltanto che l’aveva ucciso all’istante senza averne cagionato l’agonia e sofferenze inutili, sicché la carcassa dell’animale non era affatto devastata e poteva essere utilizzata a scopi nutritivi, sicché l’aver utilizzato arma di grosso calibro per uno scopo incongruo costituiva affermazione frutto di travisamento delle risultanze probatorie, così come era illogico assegnare rilevanza alla tipologia di arma a canna liscia, da utilizzare con singolo proiettile e non con munizionamento spezzato, che poteva essere impiegata a fini venatori anche per la caccia alla lepre o al coniglio selvatico. Inoltre, non rispondeva al vero che gli spari contro il coniglio fossero stati numerosi, perché, nonostante il rinvenimento di tredici bossoli, dodici colpi erano stati diretti contro la tavoletta di legno, usata quale bersaglio e soltanto uno contro il coniglio, non rinvenuto ancora vivo dal teste G. , ma esanime, senza che nulla indicasse l’intenzione dell’imputato di continuare a sparare altri colpi, conclusione smentita dalla testimonianza predetta, secondo la quale il M. aveva riposto la carabina all’interno della vettura, richiuso il treppiedi e cercato a terra qualcosa.
b) e c) Violazione ed erronea interpretazione della legge con riferimento all’elemento oggettivo del reato ed in relazione al disposto dell’art. 19-ter R.D. 28/5/1931 n. 601 per l’assenza dei caratteri di crudeltà e non necessità della soppressione dell’animale, il quale era stato allevato per scopi alimentari e doveva essere macellato sicché sussisteva la speciale scriminante di cui all’art. 19-ter R.D. 28/5/1931 n. 601, introdotto dall’art. 3 comma 1 della legge 20/7/2004 n. 189 e le modalità prescelte dell’unico colpo letale, sparato con arma da fuoco – lo stesso strumento con il quale è consentita la caccia alla lepre ed al coniglio selvatico -, non avevano cagionato alcuna sofferenza per la morte immediata.
– Con riferimento al reato di cui al capo C) deduce:
a) carenza assoluta, contraddittorietà e manifesta illogicità di motivazione, per avere la Corte di Appello rilevato costituisse prova inequivocabile della stabile ed illegale detenzione della carabina ad aria compressa la circostanza della sua conservazione, riscontrata all’atto dell’intervento della p.g., all’interno dell’apposito armadio fuciliera nell’abitazione dell’imputato, senza che da tale dato potesse ricavarsi la prova dell’acquisizione dell’arma da tempo antecedente la sera prima del controllo, dato non oggetto di verifiche da parte del teste G. , e senza che l’essere stato l’imputato impegnato a sparare alle ore 18.00 di quel giorno dimostrasse la mancata esecuzione dell’intervento di pulizia sulla carabina del nipote e che questi quella sera stessa non si sarebbe recato a riprenderla, b) Violazione ed erronea interpretazione della legge in riferimento alle norme di cui agli artt. 10 e 14 della legge n. 497/74 per avere ritenuto irrilevante la Corte di Appello che non fosse ancora scaduto il termine di 72 ore dall’acquisizione della disponibilità dell’arma per la presentazione della denuncia, stante la natura istantanea del reato e l’entrata in vigore del D.Lgs. 204/2010 in epoca successiva alla commissione della condotta senza che il nuovo regime giuridico potesse esplicare effetti retroattivi: al contrario, secondo la giurisprudenza di legittimità, il reato ha natura permanente e si protrae nella sua consumazione sino al sequestro dell’arma, mentre la nuova formulazione dell’art. 38 T.U.L.P.S., introdotta dal D.Lgs. 204/2010, doveva essere applicata quale norma integratrice del precetto penale ai sensi dell’art. 2 cod. pen., comma 4, introducendo una regolamentazione del fatto in termini incompatibili con la precedente disciplina o comunque incidenti sulla struttura della fattispecie criminosa, cosa verificatasi nel caso in esame con la previsione di un elemento temporale, in precedenza inesistente, sicché doveva ritenersi verificata un’ipotesi di successione nel tempo di leggi dal contenuto precettivo più favorevole per l’imputato. Inoltre, nel caso in esame avrebbe dovuto ravvisarsi il comodato temporaneo dell’arma, non rilevante ai fini dell’operatività dell’obbligo di denuncia all’autorità di p.s., che richiede una disponibilità, una relazione stabile con l’arma per un lasso di tempo apprezzabile, tale da consentire di assolvere all’obbligo di denuncia.

Considerato in diritto

Il ricorso è parzialmente fondato e va accolto nei limiti in seguito specificati.
1. L’impugnazione investe il giudizio di responsabilità formulato a carico dell’imputato in ordine alle due residue fattispecie di reato, contestategli ai capi A) e C).
1.1 Quanto alla prima, la decisione impugnata, conformandosi a quanto esposto nella sentenza di primo grado, ha fondato la condanna sul rilievo delle modalità fattuali della condotta, consistenti nell’avere l’imputato utilizzato un coniglio, proveniente dall’allevamento nella titolarità del padre dell’imputato, quale bersaglio per provare il funzionamento della carabina, la quale, oltre ad essere di grosso calibro ed impiegata usualmente nella caccia al cinghiale, era stata collocata su un treppiede artigianale per garantire maggiore stabilità e precisione del tiro, come accade in tale tipo di attività venatoria, ed era stata già utilizzata per sparare più colpi, tanto da aver rilasciato tredici bossoli esplosi, mentre un colpo aveva attinto il coniglio, previamente legato per una zampa posteriore ad un arbusto per consentirgli di muoversi senza però poter fuggire, in modo da costituire un bersaglio animato, ma raggiungibile. Risulta riportato nella sentenza di primo grado che la guardia G. , autore dell’accertamento, allertato dal rumore di spari avvertito come proveniente da fabbricati rurali siti nei pressi della superstrada Firenze – Pisa – Livorno, aveva notato l’imputato sparare in direzione della sede viaria ma verso la scarpata sottostante e poi portare una carabina verso un’autovettura sita nei pressi, per cui, avvicinatosi, a circa 40 metri dalla postazione dalla quale il M. aveva sparato, aveva scorto un coniglio bianco morente, attinto da un colpo di arma da fuoco reso visibile dal foro di entrata di un proiettile.
1.2 Da tali circostanze di fatto, riferite da teste ritenuto attendibile e la cui affidabilità non è stata nemmeno contestata dalla difesa, si è desunto che l’imputato in quel frangente non aveva esercitato attività venatoria, né era dedito alla macellazione con metodo più indolore possibile di un animale appositamente allevato per usi alimentari, ma si era esercitato al tiro, dapprima mirando ad una tavoletta di legno, quindi sparando su un bersaglio relativamente mobile, che riproducesse almeno alcune delle condizioni affrontagli nella caccia al cinghiale, ossia il movimento dell’animale a distanza considerevole di circa 40 metri in mezzo alta vegetazione, ma in modo tale da non sfuggire del tutto nella boscaglia. Non vi è alcun dubbio che quanto sostenuto dai giudici di merito abbia ricevuto adeguato riscontro, per come riportato nel testo motivazionale delle due pronunce, dalla compiuta istruttoria, mentre l’avvenuta uccisione per fini di macellazione costituisce una spiegazione non coerente con le modalità dell’azione, sia per lo sparo a notevole distanza e col buio, essendo avvenuto verso le ore 18.00 in pieno inverno in zona di campagna, il che rendeva incerta la possibilità di colpire il bersaglio ed avrebbe potuto richiedere più colpi col solo ferimento dell’animaletto con munizioni idonee a bersaglio di ben maggiore stazza, sia per avere previamente legato la bestiola all’arbusto con una corda, accorgimento incoerente con la sua rapida uccisione per poi destinarlo a scopi nutritivi, sia per essere stato lasciato a terra ferito ed ormai morente, senza essere stato subito recuperato.
1.3 Non è dunque soltanto dalla scelta di sparare con arma dalle elevate capacità lesiveffensive e più adeguata alla caccia di selvaggina di grosso taglio o dalla devastazione delle carni, prodotta dall’impatto con i proiettili, che è stato dedotto il compimento dell’azione antigiuridica, quanto dalle modalità pratiche, dalle condizioni ambientali e dalle circostanze di tempo e luogo in cui era avvenuta la soppressione con metodo certamente eccedente le usuali esigenze di soppressione di un coniglio da allevamento, univocamente indicative di un proposito diverso dalla macellazione.
1.4 Quanto al profilo dell’avere agito con crudeltà e senza necessità contro l’animale, l’aspetto ludico o comunque sperimentativo del funzionamento della nuova arma priva di necessità l’uccisione dell’animale con modalità che erano state causa di sofferenza superflua e lo avevano ferito senza averne determinato la morte istantanea, mentre le contrarie deduzioni contenute in ricorso, secondo il quale il teste G. avrebbe riferito che il coniglio era esanime, restano smentite dalla citazione del passaggio, operata dalla sentenza di primo grado, ove si era indicato che l’animale era ancora vivo al momento del controllo.
2. I motivi di gravame che investono il reato sub C), riguardano sia la ricostruzione in punto di fatto della condotta, sia la configurabilità del reato contestato.
2.1 Sotto il primo profilo si rileva che i giudici di merito hanno ritenuto non credibile la versione riferita dall’imputato ed avvalorata dalle dichiarazioni del nipote, secondo la quale l’arma sarebbe stata consegnata al primo al secondo soltanto la sera prima dell’accertamento per essere pulita e riconsegnata quella sera stessa. Hanno fondato tale valutazione sulle circostanze della conservazione dell’arma all’interno dell’abitazione dell’imputato, riposta in un armadio apposito con gli altri fucili di sua proprietà, sulla mancata esecuzione di alcun intervento manutentivo e sulla permanenza dell’imputato alle 18.00 in campagna intento a provare la nuova carabina per concludere che l’arma era detenuta già da tempo dal M. , che ne aveva avuto la disponibilità assoluta.
2.2 Ebbene, che egli avesse disposto in via di fatto dell’arma costituisce un dato assodato e dimostrato senza incertezze dagli esiti del controllo operato dalla polizia giudiziaria, mentre le contestazioni mosse dalla difesa sulla corretta custodia della carabina sono effettivamente fondate, non essendo stata dimostrata dall’istruttoria l’avvenuta acquisizione della disponibilità dell’arma in tempi differenti da quanto dedotto dall’imputato e dal di lui nipote, tale da rendere operativo l’obbligo della denuncia.
2.3 Invero, il proprietario dell’arma ha reso dichiarazioni circa la necessità di un intervento manutentivo da realizzare in quella giornata senza che alcun elemento probatorio contrario sia stato acquisito.
Invero, per quanto l’imputato fosse stato colto alle ore 18.00 in campagna, la giornata non era ancora conclusa e quindi la manutenzione avrebbe potuto essere realizzata in seguito, anche in serata, mentre risulta inconferente l’argomento speso dai Giudici di appello circa la conservazione all’interno della fuciliera nell’abitazione del M. , posto che tale modalità deve ritenersi corretta e diligente, ma non è univocamente dimostrativa di un atteggiamento di disponibilità esclusiva ed autonoma.
2.3 Resta poi da affrontare la questione in punto di diritto, relativa all’incidenza sulla fattispecie di reato contestata ai sensi degli artt. 10 e 14 del D.Lgs. n. 204/2010 della nuova previsione dell’art. 38 T.U.L.P.S., la quale impone di effettuare la denuncia all’autorità di p,s. della disponibilità a qualsiasi titolo di un’arma entro settantadue ore dall’avvenuta acquisizione.
2.3.1 Non v’è dubbio che la norma ha introdotto con una previsione specifica e di chiarissimo contenuto un requisito temporale incidente sull’obbligo di denuncia imposto a chiunque sia detentore di arma e che tale prescrizione, consentendo di posporre sino a settantadue ore l’adempimento rispetto all’acquisizione dell’arma, condiziona la possibilità di ravvisare il reato, perché incide su uno degli elementi oggettivi della fattispecie, ossia la mancata presentazione della denuncia all’autorità di p.s..

Pertanto, del tutto correttamente la difesa ne indica la natura di norma sostanziale integratrice del precetto penale (Cass. 1, n. 7862 del 24/6/1982, Comerci, rv. 155026), dal momento che la condotta omissiva sanzionata può ravvisarsi in tanto in quanto non siano rispettate le prescrizioni delle leggi di pubblica sicurezza che regolano la denuncia quanto al suo contenuto ed alle modalità ed ai tempi di presentazione; ne discende come conseguenza che la detenzione per un lasso di tempo sino a settantadue ore dall’acquisizione della arma, secondo la vigente formulazione dell’art. 38 T.U.L.P.S., non costituisce reato, ma fatto lecito, non essendo ancora venuto a scadere il termine previsto per legge per denunciare l’arma stessa.
2.3.2 L’intervento legislativo non ha quindi determinato l’abrogazione della fattispecie di cui all’art. 10 e 14 l. 497/74, ma ha diversamente disciplinato i presupposti della condotta.
2.3.3 Quanto sopra rilevato rende erronea l’interpretazione proposta dalla sentenza impugnata sotto vari profili; in primo luogo, il reato contestato non è istantaneo, ma permanente, dal momento che l’azione antigiuridica continua ad essere consumata per tutto il periodo nel quale si conservi la detenzione in assenza dell’obbligatoria denuncia, venendo a cessare per effetto di una volontaria determinazione dell’agente, oppure per un fatto esterno quale il sequestro (Cass. sez. 1, n. 7929 del 22/01/2010, Santanieilo, rv. 246247; sez. 1, n. 4523 del 16/3/1998, Reale, rv. 210414; sez. l, n. 4266 del 23/2/1982, Crescimanno, rv. 153380).
2.3.4 Inoltre, la sentenza impugnata trascura l’applicabilità al caso del disposto dell’art. 2 cod. pen., comma 4, secondo il quale la norma successiva al fatto più favorevole va applicata con efficacia retroattiva ed a tale principio restano soggette anche le norme integratrici della legge penale, da individuarsi nelle disposizioni di altri settori giuridici “che intervengano nell’area di rilevanza penale di un fatto umano, escludendola, riducendola o comunque modificandola in senso meltorativo per l’agente; e, ciò, quand’anche la nuova norma non rechi testuale statuizione in tal senso ma, comunque, regoli significativamente il fatto in termini incompatibili con la precedente disciplina penalistica ovvero incidenti, per il nuovo caso regolato, nella struttura della norma incriminatrice o, quanto meno, sul giudizio di disvalore in essa espresso” (Cass. sez. 5, n. 8045 del 2/3/2005, Battaglia ed altri, rv. 230567; nonché sez. 2 n. 46669 del 23/11/2011, PG in proc Masi, rv. 252194; sez. 3, n. 9482 dell’1/2/2005, Pitrella, rv. 231228).
2.3.5 Ciò induce a ritenere che la nuova disciplina dell’art. 38 T.U.L.P.S. esplica refluenza decisiva nella soluzione del caso in esame, restando comunque pregiudicata dall’accertamento in punto di fatto circa l’avvenuto o meno superamento al momento del controllo operato nei confronti dell’imputato del termine di settantadue ore per l’effettuazione della denuncia, profilo che, per quanto già detto, non ha ricevuto univoca e sicura dimostrazione con la conseguente impossibile configurazione della fattispecie criminosa contestata.
S’impone dunque l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata quanto al reato ascritto al M. al capo C) perché il fatto non sussiste, mentre nel resto il ricorso va respinto perché infondato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata relativamente al reato di cui al capo C) perché il fatto non sussiste; rigetta nel resto il ricorso.

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