Corte di Cassazione, sezione I penale, sentenza 26 maggio 2016, n. 22133

Nulla la convalida dell’arresto se il pm conduce gli arrestati in udienza senza interprete nonostante sappia che non conoscono la lingua

 

Suprema Corte di Cassazione

sezione I penale

sentenza 26 maggio 2016, n. 22133

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VECCHIO Massimo – Presidente
Dott. NOVIK Adet Toni – rel. Consigliere
Dott. CASA Filippo – Consigliere
Dott. TALERICO Palma – Consigliere
Dott. MAGI Raffaello – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI AREZZO;
nei confronti di:
(OMISSIS), N. IL (OMISSIS);
(OMISSIS), N. IL (OMISSIS);
avverso l’ordinanza n. 1969/2014 TRIBUNALE di AREZZO, del 17/10/2014;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. NOVIK ADET TONI;
lette le conclusioni del P.G. Dott. FRATICELLI Mario, che ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

RILEVATO IN FATTO

1. Il Tribunale di Arezzo, investito della richiesta di convalida dell’arresto (avvenuto il 16/10/2014) e del contestuale giudizio direttissimo (fissato per il giorno successivo) nei confronti dei cittadini austriaci (OMISSIS) e (OMISSIS) ex articolo 449 c.p.p., in relazione al reato di cui alla L. n. 694 del 1974, articoli 2, 4, e 7, in relazione alla L. n. 110 del 1975, articolo 2, comma 3, constatato che gli indagati non avevano conoscenza della lingua italiana, dopo aver esposto che questa situazione era stata fatta presente al Pubblico ministero e che questi, cio’ nonostante, aveva condotto gli arrestati in udienza senza l’assistenza dell’interprete, restituiva gli atti al Pubblico ministero richiamando i principi espressi da questa Corte di Cassazione Sez. 5, Sentenza n. 10517 del 2007.
2. Avverso questa ordinanza ha presentato ricorso per cassazione il sostituto Procuratore della Repubblica del Tribunale di Arezzo sulla base di tre motivi.
2.1. Con il primo il ricorrente deduce violazione dell’articolo 606 c.p.p., lettera b) in relazione all’articolo 449 c.p.p., comma 1 e articolo 558 c.p.p., per essere stati gli arrestati presentati in udienza nei casi in cui l’arresto e’ consentito e nel rispetto dei termini.
2.2. Con il secondo motivo censura l’ordinanza impugnata per contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione. Il Tribunale aveva citato i principi affermati dalla sentenza 10.517 del 2007 della Corte di Cassazione, ma non aveva considerato che in quel caso il pubblico ministero aveva ritenuto non necessario l’intervento dell’interprete per la conoscenza della lingua italiana da parte dell’imputato, mentre in questo caso la necessita’ dell’interprete era condivisa dall’ufficio di procura che aveva fatto tradurre il verbale di arresto. Il ricorrente ritiene quindi che il Tribunale avrebbe dovuto differire l’udienza per un tempo congruo al reperimento di un interprete di lingua tedesca ovvero, all’esito, procedere ugualmente alla convalida.
2.3. Con il terzo motivo infine viene dedotta violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo 4 marzo 2014, n. 32, articolo 1 ed al Decreto Legislativo 1 luglio 2014, n. 101, articolo 1. Secondo il ricorrente, dal momento che “il verbale era stato prodotto il lingua conoscibile (austriaco ed inglese), come in lingua conoscibile era stato, altresi’, tradotto il previsto avvertimento del diritto all’interprete e di essere condotto davanti all’autorita’ giudiziaria per la convalida entro 96 ore dall’arresto”, la presentazione degli arrestati era valida ed il Tribunale avrebbe dovuto procedere alla convalida dell’arresto ed al conseguente giudizio direttissimo.
3. Il Procuratore generale presso questa Corte, richiamando il principio espresso dalle Sezioni Unite 26.03.2009, ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato nei termini e per le ragioni che seguono.
2. Si premette che il Tribunale di Arezzo non ha emesso nessun provvedimento, positivo o negativo, sulla convalida dell’arresto disponendo la restituzione degli atti al pubblico ministero. Ha emesso cioe’ una ordinanza che non e’ ricorribile in cassazione per violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), ma solo per abnormita’. Opera nella materia, infatti, il generale principio di tassativita’ dei “casi” e dei “mezzi” di impugnazione, posto dall’articolo 568 c.p.p., comma 1, secondo cui, appunto, la legge stabilisce i casi nei quali i provvedimenti del giudice sono soggetti ad impugnazione e determina il mezzo con cui possono essere impugnati. Piu’ precisamente opera, ex articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera b), la sanzione della inammissibilita’ per la violazione del principio di tassativita’ dei “casi” di impugnazione (“quando il provvedimento non e’ impugnabile”), essendo, il principio di tassativita’ dei “mezzi” di impugnazione, temperato e regolato dal coesistente principio di necessaria riqualificazione, quando e’ possibile, ai sensi dell’articolo 568 c.p.p., comma 5.
Esclusa quindi l’impugnazione dell’ordinanza di restituzione degli atti, occorre verificare, nell’ottica segnalata dal Procuratore generale, se il provvedimento del Tribunale di Arezzo possa essere qualificato abnorme.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno tracciato le caratteristiche della categoria dell’abnormita’ affermando che e’ affetto da vizio di abnormita’, sotto un primo profilo, il provvedimento che, per singolarita’ e stranezza del suo contenuto risulti avulso dall’intero ordinamento processuale, ovvero quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste al di la’ di ogni ragionevole limite. Sotto altro profilo, si e’ detto che l’abnormita’ puo’ discendere da ragioni di struttura allorche’ l’atto si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, ovvero puo’ riguardare l’aspetto funzionale nel senso che l’atto stesso, pur non essendo estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l’impossibilita’ di proseguirlo. Non si puo’ ricorrere alla categoria dell’abnormita’ invece quando l’atto o il provvedimento che si vuole rimuovere rientri nei poteri del Giudice che lo ha adottato, e cioe’ discende da un potere riconosciuto o attribuito dalla legge, ma sia stato esercitato in assenza dei presupposti che lo legittimano; in tal caso, l’eventuale insussistenza delle stesse ne determina l’illegittimita’ ma non l’abnormita’ e, quindi, si trattera’ di un provvedimento “contro norma” ma non “extra norma”. Non importa quindi che il potere sia stato male esercitato, giacche’ in tal caso esso sfocia in atto illegittimo, ma non in un atto abnorme.
3. La giurisprudenza di legittimita’, citata anche dal Procuratore ricorrente, ha ripetutamente affermato che la mancata presenza dell’interprete, pur se non imputabile all’arrestato, configura ipotesi di forza maggiore che non impedisce la convalida dell’arresto, di cui il giudice deve valutare la regolarita’ formale indipendentemente dall’interrogatorio non possibile (v. tra le ultime Sez. 6, Sentenza n. 38791 del 2014 e Sez. 4, Sentenza n. 4649 del 2015, pronunciata successivamente alle modifiche introdotte dal Decreto Legislativo n. 32 del 2014). Orientamento questo che si ricollega al principio secondo cui in sede di convalida dell’arresto, il giudice, oltre a verificare l’osservanza dei termini previsti dall’articolo 386 c.p.p., comma 3 e articolo 390 c.p.p., comma 1, deve controllare la sussistenza dei presupposti legittimanti l’eseguito arresto, ossia valutare la legittimita’ dell’operato della polizia sulla base di un controllo di ragionevolezza, in relazione allo stato di flagranza ed all’ipotizzabilita’ di uno dei reati richiamati dagli articoli 380 e 381 c.p.p., in una chiave di lettura che non deve riguardare ne’ la gravita’ indiziaria e le esigenze cautelari (valutazione questa riservata all’applicabilita’ delle misure cautelari coercitive), ne’ l’apprezzamento sulla responsabilita’ (riservato alla fase di cognizione del giudizio di merito). (Sez. 6, n. 8341 del 12/02/2015 – dep. 24/02/2015, P.M. in proc. Ahmad, Rv. 262502).
4. A questa giurisprudenza si contrappone quella, erroneamente indicata come conforme a quella sopra riportata, di Sez. 5, n. 10517 del 08/02/2007, Touama, Rv. 235990, richiamata dal Tribunale di Arezzo, cui il Collegio intende aderire perche’ maggiormente rispettosa del diritto dell’indagato all’assistenza linguistica, ancor piu’ a fronte della nuova formulazione dell’articolo 143 c.p.p. “L’imputato che non conosce la lingua italiana ha diritto di farsi assistere gratuitamente, indipendentemente dall’esito del procedimento, da un interprete al fine di poter comprendere l’accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti e lo svolgimento delle udienze cui partecipa. Ha altresi’ diritto all’assistenza gratuita di un interprete per le comunicazioni con il difensore prima di rendere un interrogatorio, ovvero al fine di presentare una richiesta o una memoria nel corso del procedimento.”. In stretto collegamento con la giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 9 del 1993 e 341 del 1999), che a sua volta si ricollega dichiaratamente all’articolo 6, comma 3, lettera a) della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, e all’articolo 14, comma 3, lettera a), del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, reso esecutivo in Italia con la L. 25 ottobre 1977, n. 881, il ricorso all’interprete e’ un diritto della persona arrestata necessario, come insegna la sentenza 341, a rendere possibile “il diritto dell’imputato di svolgere la propria attivita’ difensiva, anche in forma di autodifesa, conformandola, adattandola e sviluppandola in correlazione continua con le esigenze che egli stesso ravvisi e colga a seconda dell’andamento della procedura, ovvero comunicando con il proprio difensore”, atteso che “la peculiare natura del processo penale e degli interessi in esso coinvolti richiede la possibilita’ della diretta e personale partecipazione dell’imputato”, onde l’autodifesa, che “ha riguardo a quel complesso di attivita’ mediante le quali l’imputato e’ posto in grado di influire sullo sviluppo dialettico del processo”, costituisce “diritto primario dell’imputato, immanente a tutto l’iter processuale, dalla fase istruttoria a quella di giudizio” (sentenza n. 99 del 1975; e cfr. anche sentenze n. 205 del 1971, n. 186 del 1973).
Ed allora, non puo’ essere trascurato che nel giudizio direttissimo la convalida dell’arresto, pur prescindendo dall’interrogatorio, non esaurisce la fase, ma introducendo il rito (“se l’arresto e’ convalidato, si procede immediatamente al giudizio”), impone all’imputato di compiere scelte processuali (richiesta di termini a difesa, giudizio ordinario, abbreviato, patteggiamento), cui sono collegate preclusioni, che richiedono un previo contatto con il difensore che, nel caso di imputato alloglotta, non puo’ che avvenire per il tramite dell’interprete. Di tal che, non appare corretto il richiamo alla forza maggiore o al caso fortuito per giustificare il venir meno da parte dell’autorita’ giudiziaria procedente all’obbligo di assicurarsi che la materiale conduzione dell’indagato in vincoli nell’aula d’udienza costituisca valida “presentazione”, ex articoli 558 e 449 c.p.p., al Tribunale. Nel senso che, come insegna la sentenza 10517 del 2007, il richiamo contenuto nell’articolo 449 c.p.p., comma 1, u.p. alle disposizione dell’articolo 391 c.p.p., trova limite nell’inciso “in quanto compatibili” e la partecipazione consapevole dell’arrestato in udienza implica necessariamente, per la corretta instaurazione del rapporto processuale, l’assistenza di un interprete.
5. Nel caso considerato, l’ordinanza impugnata ha dato conto di aver, nello spirito della doverosa collaborazione tra gli uffici, rappresentato tempestivamente al pubblico ministero l’esigenza della presenza dell’interprete, ma ciononostante il pubblico ministero aveva omesso di provvedere. A questa mancanza tuttavia, come si ricava dall’ordinanza, il Giudice per le indagini preliminari ha reagito restituendo gli atti, senza tentare, per rimediare all’omissione del richiedente, di trovare un interprete, pur avendo ancora un ampio margine di tempo a disposizione, atteso che dall’arresto erano trascorse meno di 48 ore. Il Tribunale ha adottato quindi un provvedimento “sanzionatorio” dell’omissione del pubblico ministero non previsto dall’ordinamento e, in questo senso, abnorme.
6. Per tale ragione e limitatamente a tale aspetto il provvedimento impugnato va annullato senza rinvio e gli atti vanno trasmessi al giudice per le indagini preliminari perche’, essendo oramai decorso ogni termine per il rito direttissimo (cfr. sul punto Cass. sez. 6, n. 35828 del 25.9.2006, Campi), provveda sulla convalida.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e dispone la trasmissione degli atti al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Arezzo.

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