Il giudice investito dalla richiesta di applicazione della misura cautelare, anche quando è previsto indirettamente un termine da una specifica disposizione, la cui osservanza imponga l’immediata liberazione dell’interessato, conserva comunque, anche dopo la dead line, il potere di provvedere sull’originaria richiesta del Pm.
Suprema Corte di Cassazione
sezione I penale
sentenza 2 marzo 2017, n. 10465
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CORTESE Arturo – Presidente
Dott. BONITO Francesco M.S – Consigliere
Dott. SARACENO Rosa A. – Consigliere
Dott. APRILE Stefano – rel. Consigliere
Dott. MINCHELLA Antonio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 18 maggio 2016 pronunciata da Tribunale di Venezia;
Visti gli atti, il provvedimento denunziato, il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Stefano Aprile;
sentite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. VIOLA Alfredo Pompeo, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso;
udito il difensore di ufficio Avv. (OMISSIS), che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di Venezia, in funzione di tribunale del riesame, ha rigettato la richiesta di riesame avanzata da (OMISSIS) avverso l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari di Treviso del 27 aprile 2016 con la quale era stata applicata alla medesima la misura della custodia cautelare in carcere in relazione all’omicidio commesso il (OMISSIS) e al furto di una autovettura commesso in pari data.
1.1. La ricorrente e’ stata attinta in data 20 aprile 2016 dal provvedimento di fermo di indiziato di delitto, in relazione ai fatti di cui sopra, emesso dal Pubblico ministero in pari data, venendo tempestivamente ristretta in carcere; il giudice per le indagini preliminari di Treviso, cui il Pubblico ministero ha trasmesso la richiesta di convalida del provvedimento pre-cautelare, ha celebrato l’udienza di convalida in data 21 aprile 2016, contestualmente emettendo nel corso dell’udienza medesima l’ordinanza di convalida del fermo, riservandosi di depositare l’ordinanza sulla richiesta di applicazione della misura cautelare; il successivo 27 aprile 2016 il giudice per le indagini preliminari di Treviso emetteva l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per i delitti sopra richiamati.
1.2. Avverso l’ordinanza cautelare, come si e’ detto, veniva proposta istanza di riesame in relazione a otto motivi; i primi due motivi coincidono con quelli oggetto dell’odierno ricorso; nel prosieguo saranno analizzati unicamente tali censure.
1.2.1. Il Tribunale del riesame di Venezia, come si e’ detto, ha rigettato la richiesta di riesame ritenendo che il termine di cinque giorni, previsto – secondo la prospettazione difensiva – dalla legge per l’adozione dei provvedimenti giurisdizionali, abbia natura meramente ordinatoria, richiamando alcune pronunce di legittimita’, nonche’ escludendo, in relazione alla paventata questione di legittimita’ costituzionale, la rilevanza della stessa sotto il profilo del difetto di pregiudizialita’ e/o di strumentalita’ della questione, tenuto conto della assenza di un termine legale per il deposito dei provvedimenti concernenti la richiesta di applicazione di misura cautelare e, comunque, tenuto presente che, semmai, la indicata violazione avrebbe avuto durata insignificante pari a un solo giorno.
1.2.2. Il Tribunale di Venezia ha, poi, escluso la sussistenza della ipotesi della legittima difesa ricordando, innanzitutto, che non vi e’ contestazione sulla materialita’ del fatto (accoltellamento mortale), mentre la difesa deduce di avere subito una violenza sessuale dalla vittima, cosicche’ l’accoltellamento sarebbe stato finalizzato alla difesa da una azione illegittima.
Il Tribunale ha ritenuto che l’allegazione dell’esistenza di una causa di giustificazione fosse meramente ipotetica e sfornita di qualunque riscontro negli atti di indagine, tanto che ha escluso la rilevanza della dichiarazione resa da (OMISSIS) secondo la quale la ricorrente, il giorno precedente l’esecuzione del provvedimento di fermo, nel confidarle l’omicidio avrebbe riferito “cercava di giustificarsi dicendomi: “io non volevo, lui ha cercato di violentarmi, mi ha trascinata per i capelli e ne e’ nata una colluttazione, lui ha cercato di accoltellarmi, io urlavo ma nessuno mi sentiva, gli ho preso il coltello e gli ho dato contro”.
2. Ricorre (OMISSIS), personalmente, che chiede l’annullamento del provvedimento impugnato formulando due distinti motivi di ricorso, nonche’, in subordine, sollecitando il Collegio a sollevare la questione di legittimita’ costituzionale degli articoli 291 e 292, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono un termine perentorio per la decisione del giudice sulla richiesta di misura cautelare avanzata dal pubblico ministero.
2.1. Osserva, con il primo motivo, che l’ordinanza impugnata sarebbe affetta da manifesta illogicita’ della motivazione con riferimento al primo motivo di riesame attinente la dedotta caducazione della misura cautelare, adottata dal giudice per le indagini preliminari oltre cinque giorni dalla richiesta avanzata dal Pubblico ministero in occasione della richiesta di convalida del fermo, ordinato dal medesimo Pubblico ministero, con contestuale richiesta di applicazione della misura cautelare; il giudice per le indagini preliminari avrebbe tardivamente, rispetto al termine di cinque giorni previsto dalla legge, emesso l’ordinanza custodiale, dopo aver provveduto in data 21 aprile 2016 a convalidare il fermo. Osserva, altresi’, che, in difetto dell’accoglimento della sopra esposta censura, risulterebbe evidente la sussistenza di un vizio di costituzionalita’ delle denunciate norme per violazione del diritto di difesa e del principio di ragionevolezza, restando rimessa alla mera discrezionalita’ del giudice, investito della richiesta di misura cautelare, l’osservanza di un termine per la decisione sulla stessa.
2.2. Osserva, con il secondo motivo, che l’ordinanza impugnata sarebbe affetta da manifesta illogicita’ della motivazione in punto di insussistenza dell’allegazione dei presupposti della causa di giustificazione della legittima difesa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva il Collegio che il ricorso appare complessivamente infondato.
1.1. E’ opportuno premettere un breve inquadramento dei principi che tutelano la liberta’ personale dalle ingiuste privazioni.
Va, innanzitutto, fatto riferimento all’articolo 13 Cost., il quale, dopo avere affermato al primo comma il principio che “la liberta’ personale e’ inviolabile”, precisa al successivo secondo comma che “non e’ ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, ne’ qualsiasi altra restrizione della liberta’ personale, se non per atto motivato dall’autorita’ giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”, cosi’ enunciando il principio di riserva di legge, in ordine ai casi e modi, e quello di riserva all’autorita’ giudiziaria del motivato ordine limitativo della liberta’.
La Carta costituzionale introduce, al successivo terzo comma, un limitato ed eccezionale potere da parte dell’autorita’ di pubblica sicurezza di interferire sulla liberta’ personale; e’, infatti, previsto che “in casi eccezionali di necessita’ ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorita’ di pubblica sicurezza puo’ adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorita’ giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto”.
Sulla base di quanto sopra ricordato, nell’ordinamento repubblicano e’ possibile limitare la liberta’ personale dell’individuo soltanto in forza: 1) di un atto motivato emesso dall’autorita’ giudiziaria nei casi e modi previsti dalla legge; 2) di un atto provvisorio della polizia, adottato in casi eccezionali di necessita’ ed urgenza stabiliti dalla legge, sottoposto a rigidi termini di efficacia per la comunicazione (quarantotto ore) e la successiva convalida (quarantotto ore) da parte dell’autorita’ giudiziaria.
Nello schema costituzionale, dunque, l’unico atto idoneo a determinare la compressione della liberta’ personale dell’individuo e’ quello emesso motivatamente dall’autorita’ giudiziaria nei casi previsti dalla legge, restando in esso assorbito quello assunto dalla polizia in via di urgenza e convalidato dalla prima.
1.1.1. I principi stabiliti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo non differiscono affatto da quelli costituzionali.
La Convenzione EDU stabilisce, all’articolo 5, che “1. Ogni persona ha diritto alla liberta’ e alla sicurezza” e che “nessuno puo’ essere privato della liberta’, se non nei casi seguenti e nei modi previsti dalla legge: (a) se e’ detenuto regolarmente in seguito a condanna da parte di un tribunale competente; (b) se si trova in regolare stato di arresto o di detenzione per violazione di un provvedimento emesso, conformemente alla legge, da un tribunale o allo scopo di garantire l’esecuzione di un obbligo prescritto dalla legge; (c) se e’ stato arrestato o detenuto per essere tradotto dinanzi all’autorita’ giudiziaria competente, quando vi sono motivi plausibili di sospettare che egli abbia commesso un reato o vi sono motivi fondati di ritenere che sia necessario impedirgli di commettere un reato o di darsi alla fuga dopo averlo commesso; – omissis -. 3. Ogni persona arrestata o detenuta, conformemente alle condizioni previste dal paragrafo 1 c del presente articolo, deve essere tradotta al piu’ presto dinanzi a un giudice o a un altro magistrato autorizzato dalla legge a esercitare funzioni giudiziarie omissis -“.
1.2. Le vigenti norme processuali poste a presidio degli indicati principi di liberta’ dell’individuo, quando e’ esso attinto dalla attivita’ della polizia giudiziaria, stabiliscono i casi in cui e’ obbligatorio o possibile procedere all’arresto o al fermo, enumerando dettagliatamente le condizioni di legalita’ dell’azione amministrativa (articoli 380, 381 e 384 c.p.p.).
Allo stesso modo, il codice di rito regola, in perfetta aderenza ai precetti costituzionali, la scansione temporale entro la quale si esplica il potere della polizia giudiziaria di limitare la liberta’ personale dell’individuo, con la espressa previsione del termine di ventiquattro ore entro il quale detta autorita’ deve porre a disposizione dell’autorita’ giudiziaria la persona arrestata o fermata (articolo 386 c.p.p.), nonche’ il termine di quarantotto ore dall’arresto entro il quale il Pubblico ministero debba richiedere la convalida dell’atto limitativo della liberta’ personale (articolo 390 c.p.p., comma 1) e l’ulteriore termine di quarantotto ore dalla richiesta del Pubblico ministero per la celebrazione dell’udienza di convalida da parte del giudice (articolo 390 c.p.p., comma 2).
Con riguardo alla convalida del provvedimento pre-cautelare, l’articolo 391 c.p.p., comma 4, stabilisce che “Quando risulta che l’arresto o il fermo e’ stato legittimamente eseguito e sono stati osservati i termini previsti dagli articolo 386, comma 3, e articolo 390, comma 1, il giudice provvede alla convalida con ordinanza – omissis -“).
La giurisprudenza di legittimita’ ha stabilito che “in tema di convalida dell’arresto o del fermo l’articolo 391 c.p.p., comma 7, nella parte in cui prevede che “l’arresto o il fermo cessa di avere efficacia se l’ordinanza di convalida non e’ pronunciata o depositata nelle quarantotto ore successive al momento in cui l’arrestato o il fermato e’ stato posto a disposizione del giudice”, va interpretato nel senso che, quando l’ordinanza venga “pronunciata” senza soluzione di continuita’ all’esito dell’udienza camerale, il termine deve ritenersi rispettato anche se, per il protrarsi dell’interrogatorio, dovuto alla complessita’ del medesimo, all’atto della pronuncia siano passate oltre 48 ore dalla messa dell’arrestato o fermato a disposizione del giudice, atteso che una tale situazione non viola (avuto riguardo al principio per cui ad impossibilia nemo tenetur) la sostanza dell’articolo 13 Cost., comma 2, ove si stabilisce il doppio limite delle novantasei ore (quarantotto piu’ quarantotto) entro il quale l’autorita’ di pubblica sicurezza deve comunicare all’autorita’ giudiziaria l’avvenuto arresto o fermo di una persona ed il giudice deve convalidarlo” (Sez. 1, Sentenza n. 35706 del 04/07/2001, Mauro, Rv. 219755).
La medesima decisione ha anche stabilito che quando “l’ordinanza non venga “pronunciata” all’esito dell’udienza, ma venga “depositata” successivamente, tale deposito deve necessariamente essere effettuato entro le 48 ore decorrenti dal momento in cui l’arrestato o fermato e’ stato posto a disposizione del giudice, giacche’ l’intervenuta soluzione di continuita’ tra udienza di convalida e deposito del provvedimento, non presentando carattere di necessita’ ed essendo, quindi, evitabile, non giustificherebbe l’inosservanza del predetto termine perentorio” (Sez. 1, Sentenza n. 35706 del 04/07/2001, Mauro, Rv. 219755; si veda anche Sez. 6, Sentenza n. 46063 del 25/11/2008, Torcasio, Rv. 242044).
1.2.1. Formalmente non si rinvengono all’interno dell’ordinamento processuale disposizioni concernenti il termine entro il quale debba essere emessa l’ordinanza cautelare richiesta dal Pubblico ministero unitamente alla richiesta di convalida dell’arresto.
Il tema, che appare centrale per la questione oggetto del giudizio, deve essere analizzato attentamente poiche’ impinge i riferiti principi di liberta’ dell’individuo.
A tale proposito deve rammentarsi, con riferimento all’emissione dell’ordinanza cautelare a seguito dell’udienza di convalida, il disposto dell’articolo 391 c.p.p., comma 5, il quale stabilisce che “se ricorrono le condizioni di applicabilita’ previste dall’articolo 273, e taluna delle esigenze cautelari previste dall’articolo 274, il giudice dispone l’applicazione di una misura coercitiva a norma dell’articolo 291 – omissis -“.
Ad avviso del Collegio, la chiave di volta del problema risiede nella disposizione di cui all’articolo 391 c.p.p., comma 6.
La norma prevede, infatti, che “quando non provvede a norma del comma 5, il giudice dispone con ordinanza la immediata liberazione dell’arrestato o del fermato”.
Appare evidente, quindi, che il giudice, entro la fine dell’udienza di convalida ovvero entro il termine di 48 ore dalla richiesta di convalida avanzata dal Pubblico ministero, deve procedere alla convalida ed e’ tenuto a disporre la liberazione del prevenuto se non assume contestualmente l’ordinanza cautelare.
Nell’ordinamento processuale vigente, percio’, e’ previsto che in caso di arresto o fermo il mantenimento dello stato di privazione della liberta’ personale possa avvenire soltanto a seguito della conversione, da adottare senza soluzione di continuita’, della misura pre-cautelare in una vera e propria misura cautelare adottata dal giudice.
Non puo’ ammettersi, cioe’, la prosecuzione della limitazione della liberta’ personale in presenza di una cesura tra la convalida dell’arresto o del fermo e l’adozione della misura cautelare.
La indicata lettura dell’articolo 391 c.p.p., commi 5 e 6, e’, peraltro, necessitata alla luce dei parametri costituzionali e convenzionali che si sono dianzi ricordati, nonche’ perfettamente aderente al principio espresso dal legislatore delegante alla L. 16 febbraio 1987, n. 81, articolo 2, comma 1, n. 34), laddove e’ prevista una stretta correlazione tra il termine entro cui il giudice deve procedere alla convalida dell’arresto e del fermo e la loro “conversione” in una misura cautelare.
Il principio di delega stabilisce, infatti, l'”obbligo del giudice di decidere nelle successive quarantotto ore, sentito l’arrestato o il fermato, sulla convalida o meno dell’arresto o del fermo e sulla loro eventuale conversione, ai sensi del n. 59), in una delle misure di coercizione ivi previste – omissis – “.
1.3. Essendosi, cosi’, chiarito, che il giudice investito della convalida deve procedere, entro quarantotto ore, alla convalida della misura pre-cautelare e, contestualmente, all’adozione della misura cautelare richiesta dal Pubblico ministero, e’ necessario domandarsi quali siano le conseguenze della mancata tempestiva emissione del titolo cautelare giudiziario.
La questione, a ben vedere, va posta secondo un duplice punto di vista: il primo attiene lo status libertatis del prevenuto; il secondo concerne la consumazione o meno del potere del giudice di emettere l’ordinanza cautelare oltre il termine di quarantotto ore.
1.3.1. Sotto il primo angolo visuale va ribadito che si rinviene una puntuale indicazione normativa nell’articolo 391 c.p.p., comma 6.
L’articolo 391 c.p.p., comma 7, stabilisce, per parte sua, che “l’arresto o il fermo cessa di avere efficacia se l’ordinanza di convalida non e’ pronunciata o depositata nelle quarantotto ore successive al momento in cui l’arrestato o il fermato e’ stato posto a disposizione del giudice”, senza nulla prevedere con riferimento all’ordinanza cautelare.
E’ evidente, pero’, che in caso di mancata tempestiva adozione della misura cautelare il giudice che ha proceduto alla convalida deve, in forza dell’espressa previsione contenuta nel citato articolo 391 c.p.p., comma 6, ordinare la liberazione del prevenuto che, diversamente, si troverebbe ristretto senza titolo.
1.3.1.1. In proposito va esaminato un remoto, ma autorevole, precedente giurisprudenziale concernente l’abrogato giudizio direttissimo pretorile che sembra consentire una piu’ ampia dilatazione del termine per l’adozione dell’ordinanza cautelare nel caso sia stato convalidato l’arresto nel giudizio direttissimo.
In detto contesto, SU (OMISSIS) ha affermato che il giudice “dopo aver sentito l’arrestato deve limitarsi a provvedere in ordine alla convalida dell’arresto, procrastinando l’adozione delle misure cautelari all’esito del contestuale giudizio direttissimo, con la sentenza di condanna, o all’adozione di autonomo provvedimento, nell’esercizio del potere di cui all’articolo 279 c.p.p., e nell’osservanza delle condizioni stabilite dagli articoli 273, 274 e 280 c.p.p.. La detta convalida e’ funzionalmente diretta alla celebrazione del giudizio direttissimo e legittima la procrastinazione dello status detentionis dell’imputato fino alla emanazione del successivo provvedimento coercitivo che puo’ essere emesso in ogni fase o grado del processo e anche durante la pendenza del ricorso per Cassazione” (Sez. U, Sentenza n. 19 del 01/10/1991, (OMISSIS), Rv. 188583).
Una frettolosa lettura della massima potrebbe indurre a ritenere che, disposta la convalida dell’arresto, il giudice non abbia alcun termine per adottare l’ordinanza cautelare e che possa, senza provvedimento formale e senza limite temporale, limitare la liberta’ personale dell’arrestato.
Tuttavia, esaminando la motivazione si apprende che la misura fu adottata lo stesso giorno della convalida dell’arresto e, anzi, lo stesso giorno dell’arresto, dunque nel pieno rispetto del termine di quarantotto ore, tanto che la misura pre-cautelare convalidata si saldava con la diretta disponibilita’ dell’arrestato da parte del giudice che procedeva al giudizio direttissimo (cosi’ si legge nella motivazione: ” (OMISSIS) e (OMISSIS) tratti in arresto dalla polizia giudiziaria nella flagranza del reato di tentato furto aggravato ex articolo 625 c.p., n. 2, e articolo 61 c.p., n. 5, commesso in (OMISSIS) in un negozio di generi alimentari nel quale i predetti erano penetrati mediante effrazione della saracinesca ed approfittando di circostanze di tempo tali da ostacolare la privata difesa, venivano presentati al locale Pretore dal P.M. presso la Pretura Circondariale di Napoli per la convalida dell’arresto ed il contestuale giudizio direttissimo. Con ordinanza dello stesso 23 febbraio 1991 il Pretore convalidava l’arresto dei due (OMISSIS) e disponeva procedersi immediatamente a giudizio, rilevando, in particolare, che “l’arresto e’ titolo autonomo e sufficiente ai fini del mantenimento in vinculis dell’arrestato per la durata del procedimento penale da celebrarsi con il rito direttissimo”. Su richiesta degli imputati e dietro consenso del P.M. il Pretore procedeva con giudizio abbreviato e dichiarava, con sentenza 23 febbraio 1991, i predetti colpevoli del reato loro ascritto – omissis -. Con ordinanza in pari data il giudicante, in accoglimento della richiesta avanzata dal P.M., applicava agli imputati la misura della custodia cautelare in carcere”).
Il caso deciso da SU (OMISSIS) deve essere, quindi, valutato nella sua specificita’ e ponendo in evidenza la stretta interrelazione esistente tra la convalida dell’arresto e l’immediata e contestuale celebrazione del giudizio direttissimo, tanto che l’arrestato e’ rimasto effettivamente e costantemente nella diretta disponibilita’ del giudice che procede il quale, nel medesimo contesto temporale, ha emesso l’ordinanza cautelare.
In realta’, a ben guardare, nel caso SU (OMISSIS) si e’ unicamente affermato che la limitazione della liberta’ personale disposta dalla polizia giudiziaria e convalidata dal giudice puo’ essere protratta, anche in assenza di un nuovo titolo cautelare, per poche ore in quanto detta limitazione e’ posta in essere in udienza, alla costante presenza del giudice e per esigenze processuali attinenti lo speciale procedimento per direttissima instauratosi.
1.3.2. E’ necessario ora esaminare la seconda questione la quale concerne la eventuale caducazione del potere del giudice di applicare la misura cautelare richiesta dal pubblico ministero unitamente alla richiesta di convalida dell’arresto, una volta che sia decorso il termine per l’adozione dell’ordinanza di convalida, ovvero la nullita’ o inefficacia di detta ordinanza.
E’ noto che nell’ordinamento processuale vigente, da un lato, non e’ espressamente previsto un termine per l’adozione da parte del giudice della misura cautelare richiesta dal pubblico ministero e, dall’altro, non e’ consentito che una richiesta legittimamente avanzata dal Pubblico ministero resti inevasa.
Quanto al termine di cinque giorni previsto dall’articolo 128 c.p.p., il quale stabilisce che “salvo quanto disposto per i provvedimenti emessi nell’udienza preliminare e nel dibattimento, gli originali dei provvedimenti del giudice sono depositati in cancelleria entro cinque giorni dalla deliberazione omissis -“, esso si riferisce solo al deposito di provvedimenti gia’ deliberati ed e’ pacificamente considerato meramente ordinatorio.
Deve, quindi, concludersi che il giudice investito della richiesta di applicazione della misura cautelare, pur quando sia previsto indirettamente un termine da una specifica disposizione di legge, la cui inosservanza imponga, come nel caso dell’articolo 391 c.p.p., l’immediata liberazione dell’interessato, conserva comunque, anche dopo la scadenza del detto termine, il potere di provvedere sull’originaria richiesta del Pubblico ministero, non essendo, in ogni caso, previste sanzioni concernenti specificamente l’atto eventualmente assunto oltre il suddetto termine.
1.4. Concludendo va affermato il seguente principio di diritto:
“il giudice investito della convalida deve procedere, entro quarantotto ore, alla convalida della misura pre-cautelare e, contestualmente, all’adozione della misura cautelare richiesta dal Pubblico ministero, essendo tenuto, in mancanza di tale decisione, a disporre l’immediata scarcerazione del prevenuto” “il giudice investito della richiesta di applicazione della misura cautelare, pur quando sia previsto indirettamente un termine da una specifica disposizione di legge, la cui inosservanza imponga, come nel caso dell’articolo 391 c.p.p., l’immediata liberazione dell’interessato, conserva comunque, anche dopo la scadenza del detto termine, il potere di provvedere sull’originaria richiesta del Pubblico ministero, non essendo, in ogni caso, previste sanzioni concernenti specificamente l’atto eventualmente assunto oltre il suddetto termine”.
2. Poste le sopra esposte necessarie premesse concernenti l’adozione di misure cautelari in occasione della convalida dell’arresto o del fermo, che implicano evidentemente l’irrilevanza della questione di costituzionalita’, cosi’ come subordinatamente sollevata, puo’ ora procedersi ad esaminare il caso oggetto del giudizio.
Appare non controverso che il giudice:
– investito della richiesta di convalida del fermo e contestuale richiesta di applicazione di misura cautelare nei confronti della ricorrente abbia provveduto tempestivamente alla sola convalida della misura pre-cautelare senza adottare contestualmente, ovvero nel termine massimo di quarantotto ore dalla richiesta avanzata dal Pubblico ministero, la misura cautelare;
– abbia adottato la misura cautelare soltanto il sesto giorno successivo a quello di celebrazione dell’udienza di convalida, e comunque oltre le quarantotto ore successive dalla messa a disposizione del giudice della persona fermata.
– non abbia disposto la immediata scarcerazione della ricorrente a norma dell’articolo 391 c.p.p., comma 6.
Alla luce dei principi che si sono in precedenza esposti, tuttavia, non si rinvengono vizi della ordinanza cautelare derivanti dalla sopra illustrata violazione della scansione procedimentale, essendo stata validamente emessa l’ordinanza cautelare, anche se oltre il termine previsto dall’articolo 391 c.p.p..
La restrizione della liberta’ personale mantenuta in assenza di titolo giustificativo, nel periodo intercorrente tra la pronuncia dell’ordinanza di convalida del fermo e la data di emissione dell’ordinanza cautelare, non esplica alcun effetto sulla ordinanza custodiale, poi legittimamente emessa, ne’ spetta al Collegio valutare le conseguenze di tale detenzione rispetto ad altri fini.
2.1. Essendosi sgombrato il campo dal lamentato vizio dell’ordinanza cautelare genetica, confermata dal Tribunale di Venezia, per quello che concerne la pretesa nullita’ del titolo poiche’ emesso tardivamente, va affermata la manifesta infondatezza della questione di legittimita’ costituzionale affacciata dalla difesa con riferimento alla mancanza di un termine perentorio per l’adozione da parte del giudice della decisione attinente la richiesta di misura cautelare, posto che si e’ ampiamente illustrato come nel caso oggetto del giudizio il termine sia in realta’ previsto espressamente, ai fini della remissione in liberta’, dall’articolo 391 c.p.p., comma 6.
3. Passando ad esaminare il secondo motivo di ricorso che concerne il mancato riconoscimento della causa di giustificazione della legittima difesa, dall’analisi della motivazione dei due provvedimenti (quello impugnato del Tribunale e quello del Giudice delle indagini preliminari) non si rinvengono carenze motivazionali e la tesi prospettata dalla ricorrente non trova elementi certi negli atti, ne’ gli stessi, del resto, sono indicati nell’atto di impugnazione. Si tratta solo di ipotesi teoriche, non valutabili in sede di legittimita’ (vedi espressamente Cass. Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014, C e altro, Rv. 260409: “La regola dell’ “al di la’ di ogni ragionevole dubbio”, secondo cui il giudice pronuncia sentenza di condanna solo se e’ possibile escludere ipotesi alternative dotate di razionalita’ e plausibilita’, impone all’imputato che, deducendo il vizio di motivazione della decisione impugnata, intenda prospettare, in sede di legittimita’, attraverso una diversa ricostruzione dei fatti, l’esistenza di un ragionevole dubbio sulla colpevolezza, di fare riferimento ad elementi sostenibili, cioe’ desunti dai dati acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali”).
Gli elementi indicati dai due provvedimenti sono gravi, univoci e convergenti nell’indicare la ricorrente gravata da indizi di colpevolezza idonei e sufficienti per la misura cautelare.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter
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