Corte di Cassazione, sezione I civile, sentenza 27 settembre 2016, n. 19018

Il termine annuale ha natura sostanziale e l’azione di reintegrazione (o di manutenzione) deve essere esperita entro l’anno, decorrente dallo spoglio o dalla molestia, spettando al ricorrente la prova della tempestivita’ dell’azione, regola dell’onere della prova che deve essere adattata ai particolari aspetti della presente fattispecie, per cui quando lo spoglio sia stato clandestino, l’onere dell’attore in possessoria non si esaurisce nella dimostrazione della clandestinita’ dell’atto violatore del possesso, ma deve riguardare anche la data della scoperta di esso da parte dello spogliato

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Le azioni a difesa del possesso

Suprema Corte di Cassazione

sezione II civile

sentenza 27 settembre 2016, n. 19018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere
Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere
Dott. CRISCUOLO Aldo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 22813/11) proposto da:
(OMISSIS), rappresentata e difesa, in forza di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv.to (OMISSIS) del foro di Trani ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv.to (OMISSIS) in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avv.to (OMISSIS) del foro di Foggia, in virtu’ di procura speciale apposta in calce al controricorso, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv.to (OMISSIS) in (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari n. 453 depositata il 19 maggio 2011;
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 20 aprile 2016 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;
udito l’Avv.to (OMISSIS) (con delega dell’Avv.to (OMISSIS)), per parte ricorrente;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 23 gennaio 2001 (OMISSIS) evocava, dinanzi al Tribunale di Trani, (OMISSIS) assumendo di essere proprietaria dell’appartamento sito al secondo piano dell’edificio sito in (OMISSIS) e della corrispondente porzione di lastrico solare, mentre il convenuto era proprietario dell’altro appartamento posto al secondo piano, avente anche mansarda edificata su lastrico di proprieta’ comune; aggiungeva che in data 17.11.1999 il convenuto aveva inoltrato al Comune richiesta di autorizzazione per lavori di ristrutturazione, rilasciata il 18.2.2000, ma nell’esecuzione dei lavori aveva arbitrariamente aumentato l’altezza interna della mansarda, elevando con tre file di mattoni il muro di proprieta’ esclusiva della ricorrente ed inglobandolo nella sua proprieta’ cosi’ limitando anche la facolta’ di affaccio sul terrazzo; assumeva, altresi’, che il (OMISSIS) aveva sollevato di 40 cm. il piano di calpestio del proprio appartamento, si’ che la apertura esistente sul muro di confine, avente in origine le caratteristiche di luce, era stata trasformata in veduta con possibilita’ per il resistente di esercitare veduta verso il cortile. Per quanto sopra esposto chiedeva che il giudice adito ordinasse l’immediata reintegrazione o manutenzione nel possesso del muro di sua proprieta’ esclusiva ovvero quanto meno che fosse disposto l’abbassamento del muro e l’arretramento del tetto della mansarda fino alla meta’ dello stesso; infine che fosse disposto il ripristino dell’altezza della luce. Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del (OMISSIS), che eccepiva l’intempestivita’ dell’azione esperita, oltre ad intervenuta usucapione sia della proprieta’ del muro sia del diritto di veduta, il giudice adito, con ordinanza del 10.2.2003, espletata istruttoria, rigettava la richiesta di provvedimenti provvisori, disponendo la prosecuzione del giudizio possessorio. Con sentenza n. 723 del 28.7.2005 il Tribunale di Trani rigettava la domanda, confermati i provvedimenti assunti in fase cautelare, in assenza di elementi nuovi.
In virtu’ di rituale appello interposto dalla (OMISSIS), la Corte di appello di Bari, nella resistenza dell’appellato, respingeva il gravame, previa correzione della motivazione della decisione del giudice di prime cure.
A sostegno della decisione adottata la code territoriale, quanto alla tutela possessoria avente ad oggetto il muro divisorio, evidenziava che dall’incarto processuale – in particolare dalla richiesta e dal rilascio dell’autorizzazione amministrativa, dal raffronto comparativo delle foto dei luoghi nello stato iniziale e in quello successivo a seguito della esecuzione dei lavori, dalla ordinanza di ripristino emessa il 27.9.2000 dal Comune di Trani e dalla c.t.u. – emergeva che con i lavori de quibus il (OMISSIS) aveva proceduto alla ristrutturazione della mansarda, sia quanto al solaio sia quanto alla copertura, con eliminazione della porta di accesso prima collocata sul lastrico solare, mettendo in comunicazione la mansarda con l’appartamento a mezzo di scala interna e con apertura, nel tratto terminale, verso l’esterno di un terrazzino di servizio. Aggiungeva che l’appellante non aveva offerto la prova della proprieta’ esclusiva ovvero del possesso esclusivo del muro, per cui operava la presunzione di comproprieta’ sia per le caratteristiche della mansarda, che nel tratto terminale ricomprendeva il muro divisorio con il lastrico (OMISSIS), per cui fungeva comunque da parete del vecchio manufatto, sia per le caratteristiche del muro avente nella sommita’ un doppio spiovente (ex articolo 880 c.c.). Inoltre dagli accertamenti del c.t.u. risultava che l’innalzamento della quota del tetto corrispondeva a soli cm. 20, dovuto al pacchetto di coibentazione e impermeabilizzazione autorizzato ed alla finitura a coronamento, per cui corrispondeva ad una modalita’ legittima di esercizio della contitolarita’ del muro a norma dell’articolo 885 c.c.. Ne’ l’innalzamento poteva essere considerato lesivo del possesso della servitu’ di veduta a causa della reciprocita’ della possibilita’ di affaccio esistente da entrambi i fondi confinanti, non provato dalla (OMISSIS) una specifica modalita’ di godimento del muro comune.
Quanto, infine, alla invocata tutela del possesso del lastrico solare contiguo al suo appartamento, limitato dalla trasformazione in veduta della luce aprentesi sulla parete della camera da letto del (OMISSIS) sito ugualmente al secondo piano, ne affermava la inammissibilita’ per mancanza di prova della tempestivita’ dell’azione possessoria, desumendosi dalla lettera del 28.5.2000 della (OMISSIS) che le modifiche alle finestre erano state gia’ eseguite, almeno prima del 23.1.2000, avendo fatto riferimento nella lettera a precedenti diffide quanto alla trasformazione della luce; mentre non veniva riproposta in sede di conclusioni la questione della eccessivita’ delle spese.
Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Bari ha proposto ricorso per cassazione la (OMISSIS), sulla base di tre motivi, illustrati anche da memoria ex articolo 378 c.p.c., al quale ha replicato il (OMISSIS) con controricorso.
Alla pubblica udienza del 19 gennaio 2016 la causa veniva rinviata a nuovo ruolo per mancata comunicazione alla parte controricorrente del decreto di fissazione dell’udienza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Occorre preliminarmente risolvere l’eccezione di inammissibilita’ del controricorso per tardivita’, sollevata dalla difesa della (OMISSIS) nella memoria ex articolo 378 c.p.c.: sostiene, infatti, la parte ricorrente che essendo stato il ricorso notificato in data 29 settembre 2011, deve ritenersi tardivo, ai sensi dell’articolo 370 c.p.c., comma 1, il controricorso notificato il 9 novembre 2011. L’eccezione non e’ fondata. Si deve, infatti, osservare che, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 477 del 2002, sia rintracciabile nell’ordinamento una regola di diritto positivo, che sancisce il principio della scissione soggettiva del momento perfezionativo del procedimento notificatorio: per quanto riguarda il notificante, tale procedimento si perfeziona alla consegna dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario; per quanto riguarda il destinatario, invece, il perfezionamento della notificazione avviene solo alla data di ricezione dell’atto.
Nel caso di specie, risulta indubitabile che la parte controricorrente abbia affidato all’ufficiale giudiziario l’atto da notificare – il controricorso – entro il termine previsto dall’articolo 370 c.p.c., comma 1, termine che scadeva il giorno 8 novembre 2011 (ossia quaranta giorni dopo l’avvenuta ricezione il 29 settembre 2011 del ricorso per Cassazione): infatti, l’ufficiale giudiziario certifica di aver ricevuto l’incarico di notificare il controricorso (che con tutta evidenza gli era gia’ stato affidato dalla parte controricorrente) in data 8 novembre 2011, all’indirizzo indicato nel ricorso per Cassazione come domicilio eletto dalla parte ricorrente – e cioe’ in “(OMISSIS)” presso lo studio dell’avv. (OMISSIS), atto poi effettivamente recapitato il giorno successivo e cioe’ il 9 novembre 2011. Pertanto, il controricorso non puo’ ritenersi tardivo. Affermata cosi’ l’ammissibilita’ del controricorso e’ possibile procedere all’esame del ricorso.
Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 116 c.p.c., articoli 2697 e 1168 c.c., nonche’ vizio di motivazione, per avere la corte di merito ritenuto non tempestivamente esercitata l’azione possessoria con riferimento al ripristino dell’altezza della luce che dall’appartamento del (OMISSIS) si immette nel cortile interno del suo appartamento. In altri termini, la corte distrettuale avrebbe affermato di non potersi basare su elementi presuntivi (diversamente dai lavori relativi alla suppenna), per non avere parte attrice assolto al relativo onere, dal momento che la tempestivita’ risultava evidente nella specie, ricorrendo l’ipotesi dello spossessamento clandestino, dovendo computarsi il termine dalla data della scoperta dell’atto violatore del possesso.
Il motivo e’ privo di pregio.
Ad avviso del Collegio il rilievo dirimente e’ quello contenuto nella sentenza impugnata (pag. 16) dove si afferma che la ricorrente gia’ con la lettera del 28 maggio 2000 aveva dedotto come lesive del possesso le modifiche della finestra riscontrate, per essere al tempo in corso di esecuzione solo i lavori al piano superiore, ossia alla mansarda.
Sta di fatto che la Corte territoriale ha ritenuto che i due interventi effettuati dal controricorrente, l’uno, con la sopraelevazione della suppenna, posta all’altezza del lastrico solare l’altro, con la trasformazione in veduta della luce che si apriva sulla parte della camera da letto dell’appartamento del (OMISSIS), sito al secondo piano, fossero autonomi e staccati fra loro, per cui costituivano teleologicamente, oltre che temporalmente, espressione di un diverso disegno di spoglio. Detta ratio decidendi non e’ criticata dalla ricorrente che si limita ad asserire che a lei spettava solo la prova della clandestinita’ dell’atto di spoglio quanto alla servitu’ di veduta, regolarmente fornita.
La tutela possessoria richiesta dalla (OMISSIS) aveva ad oggetto sia la servitu’ di veduta sia il diverso diritto di servitus altius non tollendi, dal momento che in tema di servitu’ il concetto di utilitas puo’ comprendere ogni vantaggio di qualsivoglia natura, economica e non, come, nella specie, anche quello d’assicurare semplicemente un maggiore arieggiamento dell’edificio e, pertanto, va tutelata da ogni forma di compressione o ingerenza. Quanto alla sussistenza di autonomia di dette servitu’ quale ragione posta dal giudice a quo a fondamento del diverso momento di decorrenza del termine annuale, la ricorrente non solleva contestazione alcuna.
Nella specie, la ratio della decisione della corte d’appello, in ordine all’affermata intempestivita’ dell’azione esercitata con il deposito del ricorso il 23 gennaio 2001, si esprime, partendo dal dato che dell’avvenuto spoglio – anche quanto alla veduta – vi era riferimento nella lettera del 28 maggio 2000, in cui si richiamavano precedenti diffide, che ben potevano essere state inoltrate prima del 23 gennaio 2000; con la conseguenza che il primo atto di spoglio e’ stato configurato nello spossessamento intervenuto al tempo delle “precedenti diffide”, il cui richiamo ha fatto ritenere cessata la clandestinita’ dello spoglio per detta servitu’ e in ordine alle quali la ricorrente non ha fornito alcuna dimostrazione, pur trattandosi di atti provenienti dalla stessa.
Va, infatti, richiamato il ripetuto insegnamento di questa Corte per cui il termine annuale ha natura sostanziale e l’azione di reintegrazione (o di manutenzione) deve essere esperita entro l’anno, decorrente dallo spoglio o dalla molestia, spettando al ricorrente la prova della tempestivita’ dell’azione, regola dell’onere della prova che deve essere adattata ai particolari aspetti della presente fattispecie, per cui quando lo spoglio sia stato clandestino, l’onere dell’attore in possessoria non si esaurisce nella dimostrazione della clandestinita’ dell’atto violatore del possesso, ma deve riguardare anche la data della scoperta di esso da parte dello spogliato (in tale senso Cass. n. 1036 del 1995, nonche’ la stessa pronuncia invocata da parte ricorrente: Cass. n. 20228 del 2009).
Pertanto, la sentenza impugnata non merita la censura mossale.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c., nonche’ vizio di motivazione, per l’omessa pronuncia sulla censura di appello relativa alla liquidazione delle spese di giustizia da parte del giudice di prime cure.
Il motivo e’ manifestamente infondato.
La Corte di Appello, bell’esaminare la censura “inerente la eccessivita’ delle spese”, oltre a ritenere assolutamente generica la doglianza, ha precisato che non era stata riproposta nelle conclusioni dell’atto di appello.
Orbene, osserva il Collegio che non sussiste il dedotto vizio di omessa pronuncia, il quale e’ configurabile solo con riguardo alla mancanza di una decisione da parte del giudice in ordine ad una domanda che richieda una pronuncia di accoglimento o di rigetto, ed il motivo non si confronta con alcuna delle rationes decidendi, oltre a contenere un evidente difetto di specificita’. Infatti in tema di controllo della legittimita’ della pronuncia di condanna alle spese del giudizio, e’ inammissibile il ricorso per cassazione che si limiti alla generica denuncia dell’avvenuta violazione del principio di inderogabilita’ della tariffa professionale, atteso che devono essere specificati gli errori commessi dal giudice e precisate le voci di tabella degli onorari e dei diritti di procuratore che si ritengono violate (Cass. 26 giugno 2007 n. 14744; Cass. 19 giugno 2009 n. 14445, ed altre).
Con il terzo ed ultimo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c., e dell’articolo 885 c.c., oltre ad errata valutazione delle prove acquisite in giudizio, per avere la corte territoriale ritenuto che la (OMISSIS) non avrebbe riportato la domanda subordinata relativa alla richiesta di arretramento e di abbassamento della mansarda nella memoria ex articolo 183 c.p.c., comma 5.
Il motivo e’ inammissibile prima che infondato.
La ricorrente travisa la ratio decidendi laddove la corte distrettuale, una volta accertata la comunione del muro divisorio, per non avere la (OMISSIS) fornito la prova dell’asserito possesso e/o proprieta’ esclusiva, ha fatto corretta applicazione del principio statuito nell’articolo 885 c.c., nel riconoscere ai comproprietari la facolta’ di sopraelevare detto muro e nel ritenere che tale facolta’ non fosse impedita dalla dedotta preesistenza di una servitu’ di veduta, anch’essa non dimostrata. E’ quindi immune da errori di diritto il riferimento fatto dalla Corte del merito all’articolo 885 c.c., in relazione al quale questo Supremo Collegio ha sempre ritenuto che costituisce “lex specialis” rispetto al regime della comproprieta’, per cui si puo’ sopraelevare senza il consenso del condominio e senza che il potere sia condizionato da una particolare destinazione, salvo ovviamente il limite costituito dall’atto emulativo (nel caso specifico neppure adombrato o evocato) e il rispetto del principio del contemperamento dei reciproci interessi, in base al quale l’immutazione derivante dalla soprelevazione si deve risolvere con il minore sacrificio di chi la deve subire (ipotesi quest’ultima parimenti mai dedotta) e non trova, in particolare, alcuna restrizione nei principi posti dagli ara, 1102 e 1108 c.c. (cfr. Cass. 20 aprile 1963 n. 979; Cass. 24 agosto 1966 n. 2271; Cass. 18 aprile 1969 n. 1225), con la conseguenza che correttamente e’ stata negata tutela all’azione di manutenzione non potendosi configurare alcuno spoglio.
Inoltre se e’ vero che la facolta’ di innalzamento del muro non e’ esercitabile quando con cio’ si impedisce agli altri compartecipi di esercitare la veduta ai sensi dell’articolo 907 c.c., nel caso specifico il giudice del merito motivatamente ha escluso tale ipotesi con riferimento all’articolo 900 c.c., posto che la veduta presuppone l’esistenza di una finestra, di un parapetto o altra apertura sul fondo del vicino, di cui non e’ stata fornita alcuna prova (Cass. 7 luglio 1994 n. 6407).
In definitiva, il ricorso va respinto, con condanna della ricorrente alle spese del giudizio, in applicazione del principio della soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese forfettarie e degli accessori come per legge.

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