Corte di Cassazione, sezione I civile, sentenza 16 maggio 2017, n. 12196

Il coniuge separato ha il diritto di mantenere lo stesso tenore di vita goduto durante il matrimonio. Pertanto, se esso non dispone di redditi adeguati per farlo, l’ex coniuge più facoltoso è tenuto a versagli un assegno adeguato a tal fine

La separazione personale, a differenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicché i “redditi adeguati” cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156 c.c., l’assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione, e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell’assegno di divorzio.

Suprema Corte di Cassazione

sezione I civile

sentenza 16 maggio 2017, n. 12196

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PALMA Salvatore – Presidente

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), Elettivamente domiciliato in (OMISSIS), nello studio dell’avv. (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente agli avv. (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), Elettivamente domiciliata in (OMISSIS), nello studio dell’avv. (OMISSIS), che la rappresenta e difende, unitamente agli avv.ti (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 2740, depositata in data 11 luglio 2014;

Sentita la relazione svolta all’udienza del 16 novembre 2016 dal consigliere dott. Pietro Campanile;

Sentiti per il ricorrente gli avv.ti (OMISSIS);

Sentiti per la controricorrente gli avv.ti (OMISSIS);

Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto dott. CERONI Francesca, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso depositato in data 4 novembre 2009 la signora (OMISSIS) chiedeva che il Tribunale di Milano pronunciasse la separazione personale dal marito (OMISSIS), con il quale era coniugata dal (OMISSIS). Venivano chiesti: la separazione personale con addebito al marito, nonche’ l’assegnazione della casa coniugale e un assegno di mantenimento pari a tre milioni e seicentomila Euro mensili.

2. Il convenuto, costituitosi, contestava la fondatezza della domanda di addebito, che proponeva a sua volta in via riconvenzionale nei confronti della moglie; eccepiva altresi’ la carenza dei presupposti per l’assegnazione della casa coniugale, in quanto i tre figli nati dal matrimonio erano ormai maggiorenni ed autosufficienti sul piano economico, nonche’ la disponibilita’, in capo alla moglie, di risorse patrimoniali tali da escludere un contributo per il proprio mantenimento.

3. Nell’adottare i provvedimenti previsti dall’articolo 708 c.p.c., il Presidente, attesa la permanenza della ricorrente nella casa coniugale in assenza dei presupposti per l’assegnazione, ritenuta la carenza del potere di fissare un termine per il relativo rilascio, determinava in Euro 50.000 mensili il contributo dovuto fino al rilascio dell’abitazione, e in un milione di Euro l’assegno per il periodo successivo.

4. Successivamente, avendo le parti rinunciato alle reciproche domande di addebito, ed essendosi ritenuta la causa matura per la decisione, con sentenza depositata in data 27 dicembre 2012, il Tribunale adito dichiarava la separazione personale dei coniugi, ponendo a carico del marito, a titolo di contributo per il mantenimento della (OMISSIS), un assegno mensile di tre milioni di Euro, con decorrenza dalla data dell’udienza presidenziale.

5. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Milano, in parziale accoglimento del gravame proposto dal (OMISSIS), ha determinato l’assegno di mantenimento in favore della (OMISSIS) in Euro cinquantamila mensili con decorrenza dalla domanda fino al settembre del 2010, ed in due milioni di Euro mensili per il periodo successivo, ponendo a carico dell’appellante le spese processuali, compensate, nel resto, nella misura di due terzi.

6. La Corte distrettuale ha disatteso preliminarmente l’eccezione dell’appellante fondata su un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 156 c.c., nel senso che l’assegno di mantenimento, in considerazione della posizione preminente assegnata alla dignita’ del lavoro nella Costituzione, inconciliabile con l’acquisizione di posizioni economiche immeritate, non potrebbe superare una determinata soglia; ha ritenuto poi manifestamente infondata l’eccezione di illegittimita’ costituzionale di detta norma, sollevata in riferimento agli articoli 1, 4, 36 e 38 Cost., affermando che un bilanciamento dei valori del lavoro e della famiglia non esclude che, in caso di separazione giudiziale, la misura dell’assegno di mantenimento sia stabilita non con riferimento a una determinata attivita’ lavorativa, bensi’ in maniera tale da consentire al coniuge privo di adeguati redditi propri di mantenere, considerate le capacita’ dell’obbligato, un tenore di vita tendenzialmente analogo a quello goduto nel periodo di convivenza matrimoniale.

7. Passando all’esame del merito alla luce delle contestazioni mosse dall’appellante alla sentenza di primo grado, si e’ osservato che non risultava corrispondente al vero che il Tribunale non avesse tenuto conto della posizione reddituale della (OMISSIS) quale socia unica delle societa’ ” (OMISSIS)” e ” (OMISSIS)”, proprietarie di cespiti in (OMISSIS): il giudice di prime cure, all’esito della valutazione comparata delle situazioni patrimoniali e reddituali di entrambi i coniugi, pur non escludendo che i beni dell’appellata producessero un reddito annuo di un milione e 400.000,00 Euro e pur considerando l’entita’ del patrimonio della moglie, aveva correttamente constatato una rilevante disparita’ fra i redditi e i patrimoni dei due coniugi. Sotto tale profilo sono state richiamate le classifiche FORBES, che collocavano, sia pure in maniera differenziata fra le varie annualita’, il (OMISSIS) fra gli uomini piu’ ricchi del mondo, con un patrimonio di vari miliardi di dollari, essendo per altro proprietario di numerose ville prestigiose e usufruendo di un reddito medio annuo, sulla base delle ultime dichiarazioni fiscali, pari a 53 milioni di Euro.

8. La Corte di appello ha inoltre evidenziato che lo stesso appellante, nel corso del giudizio di primo grado, aveva ammesso, a fronte delle deduzioni istruttorie della controparte, di aver garantito alla moglie un tenore di vita assolutamente al di fuori di ogni norma, mettendole a disposizione, nella villa di (OMISSIS), adibita a casa coniugale, un maggiordomo e una segretaria personale, cuochi, autisti, cameriere e guardarobiere, nonche’ versandole ogni mese, solo come “argent de poche”, la somma di Euro cinquantamila.

9. Sulla base di tali dati, pur in assenza della determinazione dell’esatto ammontare dei relativi importi, la Corte territoriale ha confermato il giudizio di inadeguatezza dei mezzi di cui disponeva la (OMISSIS) al fine di conseguire il tenore di vita tenuto durante la convivenza coniugale, con conseguente diritto, tenuto conto delle evidenziate disponibilita’ del coniuge, all’assegno di mantenimento.

10. Passando all’esame delle doglianze relative alla quantificazione del contributo, la Corte di appello le ha condivise in parte, considerando che, essendo uno dei temi centrali della controversia la perdita per la moglie del godimento della casa coniugale, costituita dalla villa (OMISSIS) di (OMISSIS), la stessa non aveva allegato le circostanze inerenti all’abitazione da lei prescelta dopo il rilascio di detta villa, ne’ poteva ritenersi che l’assegno dovesse essere commisurato alle ingenti spese sostenute per la gestione di tale casa coniugale, anche perche’ la stessa era funzionale al soddisfacimento delle esigenze di un’intera famiglia, e non della sola (OMISSIS).

11. Sotto tale profilo, la somma determinata dal Tribunale appariva eccessiva: la Corte di appello ha quindi ritenuto congruo – considerati, da un lato, l’elevatissimo tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale e, dall’altro, la lunga durata del rapporto matrimoniale e il contributo morale e affettivo reso dalla moglie all’intera famiglia, la dedizione alla cura della prole, nonche’ l’impossibilita’ per l’appellata di riprendere l’attivita’ di attrice abbandonata, con il consenso del coniuge, molti anni prima – un assegno di due milioni di Euro mensili, che certamente il (OMISSIS), cosi’ come nel periodo anteriore alla separazione, era in grado di versare.

12. La corresponsione dell’assegno nell’indicata misura e’ stata fatta decorrere, in riforma della decisione di primo grado, dal settembre dell’anno 2010, in coincidenza con la cessazione del godimento della casa coniugale, rimanendo ferma, per il periodo anteriore, la somma determinata all’esito dell’udienza presidenziale.

13. Per la cassazione di tale decisione (OMISSIS) propone ricorso, affidato a tre motivi, cui la parte intimata resiste con controricorso. Sono state depositate memorie da ambedue le parti, ai sensi dell’articolo 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, si denuncia omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riferimento alla ritenuta incapacita’ della moglie di produrre reddito sulla base dell’attivita’ di attrice, senza considerare l’effettiva attivita’ imprenditoriale attualmente svolta dalla stessa.

1.1. In via incidentale, viene riproposta l’eccezione di illegittimita’ costituzionale dell’articolo 156 c.c. in relazione agli articoli 1, 2, 3, 4, 36 e 38 Cost., nella parte in cui detta norma non prevede che l’obbligo solidaristico ivi disciplinato debba essere commisurato ai redditi riconosciuti ai lavoratori e, in ogni caso, in misura non superiore a tali redditi.

2. La natura ancipite della censura impone una distinta disamina dei profili in essa prospettati. Appare in ogni caso opportuno premettere che l’applicabilita’, ratione temporis, dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione introdotta dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, articolo 1, comma 1, che ha ridotto al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimita’ sulla motivazione, nel senso gia’ chiarito da questa Corte (Cass., Sez. U, 7 aprile 2014, n. 8053), secondo cui la lacunosita’ e la contraddittorieta’ della motivazione possono essere censurate solo quando il vizio sia talmente grave da ridondare in una sostanziale omissione, riduce i margini del sindacato di legittimita’, limitato alla verifica dell’esame del “fatto controverso” da parte del giudice del merito.

2.1. In particolare, nella decisione sopra richiamata sono stati affermati i seguenti principi.

2.1.1. La riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 – secondo cui e’ deducibile esclusivamente l'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti” – deve essere interpretata come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimita’, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimita’ e’ solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in se’, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile.

2.1.2. Il nuovo testo dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

2.1.3. L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per se’ vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; la parte ricorrente dovra’ indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e all’articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4 – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisivita’” del fatto stesso.

2.2. La prima doglianza non appare condivisibile, in quanto nella sentenza impugnata la circostanza che costituisce l’oggetto specifico della censura del ricorrente e’ stata accuratamente esaminata.

In particolare, la Corte territoriale, dopo aver richiamato (pag. 23), fra gli altri, il motivo di appello secondo cui il giudice di primo grado “avrebbe erroneamente ritenuto che l’appellata non sia titolare di alcun reddito, nonostante essa sia socia unica della S.r.l. (OMISSIS) avente un patrimonio di 78 milioni di Euro….”, ha disatteso il motivo di gravame, osservando che “non risponde al vero che il primo giudice abbia ritenuto che l’appellata non sia titolare di alcun reddito” e, precisando, al riguardo, che la stessa (OMISSIS) aveva asserito “di essere socia unica della societa’ (OMISSIS), e per il tramite di questa, della societa’ (OMISSIS) di New York, proprietarie entrambe di cespiti in (OMISSIS), pur aggiungendo che uno dei cespiti – il palazzo (OMISSIS) – e’ gravato da un mutuo di venti milioni di Euro e che vari conduttori avevano comunicato la volonta’ di recesso”.

2.3. Il tema del reddito derivante dalla suddetta partecipazione societaria risulta, pertanto, esaminato nella sentenza impugnata e, come si dira’ appresso, valutato nel contesto delle complessive risultanze processuali: assume un aspetto meramente terminologico la differenza fra la prospettazione, nel ricorso in esame, dello svolgimento, da parte dell’intimata, di una vera e propria attivita’ imprenditoriale, rispetto alla percezione dei redditi derivanti dalla suddetta partecipazione societaria. Per il vero, il possesso della qualita’ di socio non equivale ad esercizio di impresa, ne’ il tenore dell’atto di appello (trascritto in parte qua a pag. 17 del ricorso) depone nel senso della qualifica di imprenditrice in capo alla (OMISSIS), essendosi sostenuto, per contestare la dichiarazione della stessa di essere “casalinga”, che “nella sua qualita’ di socio unico di (OMISSIS) S.r.l. ben piu’ opportunamente potrebbe qualificarsi come immobiliarista”.

2.4. Al di la’ degli aspetti di natura formale, deve rimarcarsi che la Corte distrettuale ha esaminato ogni aspetto della posizione patrimoniale e reddituale dell’intimata, rapportandola poi a quella del marito, ed ha conclusivamente osservato che “pur volendo accettare le stime del patrimonio della (OMISSIS) operate dall’odierno appellante; pur tenendo in considerazione anche il valore della villa di (OMISSIS), dalla (OMISSIS) donata alla madre; pur non volendo prestar fede alle asserite disdette dei conduttori, la disparita’ tra i patrimoni e redditi dei due coniugi rimane molto rilevante”. Nell’espressione di tale giudizio si condensa l’essenza della controversia in esame: a seguito delle rinunce alle reciproche domande di addebito e delle ammissioni delle parti in ordine a determinati aspetti di natura fattuale, il contraddittorio si e’ concentrato essenzialmente sulla concreta determinazione del contributo al mantenimento della moglie, nel cui ambito ha assunto un ruolo centrale la questione – esaminata dalla Corte di appello e risolta in termini parzialmente adesivi alla tesi in proposito sostenuta dall’appellante (OMISSIS) – concernente la mancata assegnazione alla moglie della villa di (OMISSIS), sia per l’insussistenza dei presupposti richiesti dall’articolo 337-sexies c.c.., sia per la mancata adesione, da parte della stessa (OMISSIS), all’ipotesi conciliativa che prevedeva la disponibilita’ in suo favore di tale bene immobile e un assegno annuo di otto milioni di Euro.

2.5. Non puo’, pertanto, ritenersi che vi sia stato un omesso esame nei termini lamentati dal ricorrente e riconducibili alla previsione normativa applicabile nel caso, dovendosi ribadire che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, censurabile ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., 10 febbraio 2015, n. 2498).

3. Prescindendo, per ora, dagli ulteriori aspetti inerenti alla ricostruzione dei termini fattuali della vicenda, investiti dai motivi di ricorso che saranno appresso esaminati, va osservato che, sia pure rapportato a una vicenda che, per l’eccezionale rilevanza della consistenza patrimoniale e reddituale dell’obbligato, non trova alcun riscontro, quanto meno sotto il profilo quantitativo, nelle controversie in materia di separazione personale dei coniugi che emergono dalla quotidiana esperienza giurisprudenziale, l’orientamento consolidato di questa Corte in merito all’interpretazione dell’articolo 156 c.c., comma 1, risulta correttamente applicato nella decisione in esame. Tale norma dispone che “il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto e’ necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri”.

3.1. Mette conto di rimarcare sin d’ora la profonda differenza fra il dovere di assistenza materiale fra i coniugi nell’ambito della separazione personale e gli obblighi correlati alla c.d. “solidarieta’ post-coniugale” nel giudizio di divorzio: nel primo caso, il rapporto coniugale non viene meno, determinandosi soltanto una sospensione dei doveri di natura personale, quali la convivenza, la fedelta’ e la collaborazione; al contrario, gli aspetti di natura patrimoniale – con particolare riferimento all’ipotesi, come quella in esame, di non addebitabilita’ della separazione stessa – non vengono meno, pur assumendo forme confacenti alla nuova situazione.

Per quanto in questa sede maggiormente rileva, l’obbligo di assistenza materiale trova di regola attuazione nel riconoscimento di un assegno di mantenimento in favore del coniuge che versa in una posizione economica deteriore e non e’ in grado, con i propri redditi, di mantenere un tenore di vita analogo a quello offerto dalle potenzialita’ economiche dei coniugi. Sotto tale profilo, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, con l’espressione “redditi adeguati” la norma ha inteso riferirsi al tenore di vita consentito dalle possibilita’ economiche dei coniugi (Cass., 24 aprile 2007, n. 9915); tale dato, non ricorrendo la condizione ostativa dell’addebito della separazione, richiede un’ulteriore verifica per appurare se i mezzi economici di cui dispone il coniuge richiedente gli consentano o meno di conservare tale tenore di vita. L’esito negativo di detto accertamento impone, poi, di procedere a una valutazione comparativa dei mezzi di cui dispone ciascun coniuge, nonche’ di particolari circostanze (cfr. articolo 156 c.c., comma 2), quali, ad esempio, la durata della convivenza.

3.2. La Corte di appello si e’ conformata a tale orientamento, in quanto, dopo aver dato atto, in merito al tenore di vita, che l’appellante aveva ammesso, al fine di dimostrare l’inutilita’ delle richieste istruttore della moglie, di aver consentito alla stessa “un tenore di vita assolutamente al di fuori di ogni norma”, definendo poi il proprio patrimonio “ultracapiente”, e’ pervenuta alla conclusione che la (OMISSIS) non potesse con i propri mezzi conseguire il tenore di vita analogo a quello goduto durante la convivenza matrimoniale, escludendo, poi, che tale aspirazione comportasse la realizzazione di una scopo eccessivamente consumistico o comunque destinato alla capitalizzazione o al risparmio.

3.3. Alla luce di quanto sopra evidenziato, deve constatarsi che non risulta violato il dettato normativo di riferimento nell’interpretazione costantemente resane da questa Corte, dovendosi precisare che, una volta verificata la corretta applicazione di tali principi, la determinazione in concreto dell’assegno di mantenimento costituisce una questione riservata al giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimita’ se non sotto il profilo della motivazione, per la quale, per altro, valgano le richiamate limitazioni derivanti dall’attuale formulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

4. Tanto premesso, non puo’ omettersi di evidenziare che, in relazione alla censura in esame, lo stesso ricorrente non ha in alcun modo dedotto, ai sensi dell’articolo 360 c.c., comma 1, n. 3, la violazione o la falsa applicazione della suddetta norma, avendo al contrario prospettato, in termini non dissimili da quelli gia’ indicati nel corso del giudizio di merito, la eccezione di illegittimita’ costituzionale dell’articolo 156 c.c.. Tale disposizione, consentendo al coniuge beneficiario dell’assegno di percepire somme superiori a qualsiasi lavoratore, cosi’ eccedendo la possibilita’ di godere di un’esistenza libera e dignitosa (articolo 36 Cost.), si porrebbe in maniera irrazionale in contrasto con il principio solidaristico sancito dalla Carta costituzionale, privilegiando uno status sociale e cosi’ consentendo al coniuge beneficiario di sottrarsi, per altro percependo, senza espletare alcuna attivita’, somme eccedenti la possibilita’ di mantenere un’esistenza libera e dignitosa, al dovere di contribuire al progresso sociale per il tramite della propria attivita’ lavorativa. Inoltre, ponendosi gli obblighi sanciti da detta norma solo a carico del coniuge onerato, risulterebbe violato il principio di uguaglianza.

4.1. A sostegno della fondatezza della eccezione viene richiamata un’ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale in merito alla L. n. 898 del 1970, articolo 5, comma 6, che in maniera analoga prevede, nell’interpretazione prevalente, il riferimento, ai fini della determinazione dell’assegno di divorzio, al tenore di vita degli ex coniugi durante la convivenza matrimoniale.

4.2. Vale bene evidenziare in via preliminare la sostanziale diversita’ del contributo in favore del coniuge separato dall’assegno divorzile, sia perche’ fondati su presupposti del tutto distinti, sia perche’ disciplinati in maniera autonoma e in termini niente affatto coincidenti.

Premesso che, come gia’ rilevato, la separazione personale dei coniugi, a differenza dello scioglimento del matrimonio o della cessazione dei suoi effetti civili non elide, anzi presuppone, la permanenza del vincolo coniugale, deve ribadirsi che il dovere di assistenza materiale, nel quale si attualizza l’assegno di mantenimento, conserva la sua efficacia e la sua pienezza in quanto costituisce una dei cardini fondamentali del matrimonio e non presenta alcun aspetto di incompatibilita’ con la situazione, in ipotesi anche temporanea, di separazione.

4.3. Altrettanto non puo’ affermarsi in merito alla solidarieta’ post-coniugale alla base dell’assegno di divorzio: al riguardo, e’ sufficiente richiamare la recente sentenza di questa Corte n. 11504 del 10 maggio 2017, le argomentazioni che la sorreggono (e, in particolare, il n. 2.2., lettera A, pag. 8) ed i principi di diritto con essa enunciati.

4.4. Passando all’esame della questione inerente all’assegno di mantenimento previsto dall’articolo 156 c.c., che violerebbe i parametri costituzionali indicati nel ricorso, in quanto includerebbe fra le conseguenze patrimoniali del vincolo matrimoniale – come sopra evidenziato, persistenti nel regime di separazione personale – delle contribuzioni a carico dell’onerato del tutto avulse dall’attivita’ svolta dall’altro coniuge, deve in primo luogo rilevarsi che la norma, nell’interpretazione costantemente resane da questa Corte, non e’ intesa a promuovere, come sembra sostenersi nel ricorso, una colpevole inerzia del beneficiario, in quanto si ritiene che, in relazione all’assegno di mantenimento in esame, debba tenersi dell’attitudine del coniuge al lavoro, la quale viene in rilievo ove venga riscontrata in termini di effettiva possibilita’ di svolgimento di un’ attivita’ lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non gia’ di mere valutazioni astratte ed ipotetiche (Cass., 13 febbraio 2013, n. 3502; Cass., 25 agosto 2006, n. 18547; Cass., 2 luglio 2004, n. 12121).

4.5. Deve poi rilevarsi come l’attribuzione di un assegno di mantenimento al coniuge che non abbia adeguati redditi propri trova la sua fonte nel rilevante ruolo che l’articolo 29 Cost. attribuisce alla famiglia nell’ambito dell’ordinamento. Assume particolare rilevanza il principio di uguaglianza morale e giuridica tra i coniugi, piu’ volte ribadito dalla giurisprudenza costituzionale (Corte cost., 4 maggio 1966, n. 46, proprio con riferimento all’obbligo di consentire al coniuge separato di mantenere lo stesso tenore di vita precedentemente goduto, sia pure con la necessita’ di considerare i mezzi di cui autonomamente disponga; id., 16 dicembre 1968, n. 126; id., 20 marzo 1969, n. 45; id., 27 novembre 1969, n. 147; id., 24 giugno 1970, n. 133, in cui si afferma, in tema di rapporti patrimoniali, che l’uguaglianza dei coniugi garantisce l’unita’ familiare, mentre “e’ la disuguaglianza a metterla in pericolo”; id., 14 giugno 1974, n. 187; id., 18 dicembre 1979, n. 153; id., 4 aprile 1990, n. 215; id., 6 giugno 2006. N. 254; id., 23 marzo 2010, n. 138).

4.6. In considerazione di quanto evidenziato, l’eccezione di illegittimita’ costituzionale in esame, sotto tutti i profili dedotti, appare manifestamente infondata, in quanto la determinazione dell’assegno di mantenimento sulla base del tenore di vita dei coniugi, tenuto conto delle altre circostanze e dei redditi dell’obbligato, costituisce l’espressione di quei valori costituzionali sopra richiamati che, secondo criteri di proporzionalita’ e ragionevolezza, si trovano in rapporto di integrazione reciproca con gli altri principi e diritti fondamentali affermati dalla Costituzione (Corte cost., 7 ottobre 2014, n, 242; id., 9 maggio 2013, n. 85). Vale bene richiamare, in proposito, l’affermazione del Giudice delle leggi secondo cui “tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non e’ possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro”.

5. Con il secondo mezzo si deduce l’omesso esame, evidentemente ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, del peggioramento delle condizioni economiche e reddituali del ricorrente; sotto il medesimo profilo si denuncia la violazione dell’articolo 156 c.c., comma 2, , richiamandosi l’orientamento secondo cui nel corso del giudizio di separazione rilevano le evoluzioni della situazione reddituale dei coniugi, onde adeguare la pronuncia, eventualmente stabilendo una misura dell’assegno diversa per determinati periodi, ai presupposti inerenti alla determinazione della misura dell’assegno.

5.1. La censura e’ infondata, sotto tutti i profili dedotti.

5.2. Deve in primo luogo rilevarsi che la deduzione inerente all’omesso esame della questione inerente al decremento dei redditi dell’onerato non trova riscontro nella motivazione della decisione impugnata.

La Corte di appello, infatti, dopo aver riportato (pag. 25) il motivo di gravame secondo cui il mutamento in peius della condizione reddituale e patrimoniale dell’appellante, dovuto alla crisi economica mondiale, avrebbe imposto una riduzione del contributo, anche al fine di evitare che egli fosse costretto a dismettere parte del suo patrimonio, ha calcolato in 53 milioni di Euro il reddito medio annuo del (OMISSIS), sulla base delle dichiarazioni dei redditi presentate negli anni dal 2006 al 2010, ed ha quindi espresso un giudizio di inattendibilita’ in merito tanto all’ultimo reddito dichiarato, nell’anno 2012, di Euro 4.515.298,00, quanto in ordine alla dedotta riduzione del valore del gruppo (OMISSIS).

5.3. La violazione della norma sopra indicata – per non aver la sentenza impugnata tenuto conto del decremento – puo’ ritenersi esclusa sulla base del rilievo di inattendibilita’ teste’ indicato, essendo evidente che il giudizio di inattendibilita’ in merito alla deduzione esimeva la valutazione delle giuridiche conseguenze della circostanza; mette conto di precisare, per altro, che non e’ sufficiente il verificarsi di una variazione delle condizioni patrimoniali dei coniugi (sia in corso di causa – Cass., 22 ottobre 2002, n. 14886; Cass., 22 aprile 1999, n. 4011 – sia nei giudizi di revisione dell’assegno), essendo necessario procedere al rigoroso accertamento dell’incidenza della nuova situazione patrimoniale sul diritto al contributo o sulla sua entita’ (Cass., 20 giugno 2014, n. 14143; Cass., 15 settembre 2008, n. 236943; Cass., 7 dicembre 2007, n. 25618; Cass., 2 maggio 2007, n. 10133; Cass., 28 agosto 1999, n. 9056; Cass., 28 settembre 1998, n. 8654). Sotto tale profilo, come sopra evidenziato, la Corte territoriale ha posto in evidenza il rilevante divario fra le condizioni patrimoniali e reddituali degli ex coniugi, ponendo in risalto, infine, l’ammissione dello stesso (OMISSIS) di essere “ultracapiente”.

6. La terza censura, con la quale si deduce l’errore del calcolo della media dei redditi dell’appellante, per non essersi considerata la natura straordinaria degli elevati profitti conseguiti nell’anno 2006, con conseguente deduzione della violazione di cui all’articolo 112 c.p.c., presenta evidenti profili di inammissibilita’, per non aver colto la complessiva ratio decidendi della decisione impugnata, fondata non soltanto sulla posizione reddituale dell’appellante, gia’ di per se’ estremamente rilevante, considerato anche il giudizio di inattendibilita’ in merito al reddito piu’ recente, ma, soprattutto, sulla consistenza patrimoniale del ricorrente, che, con varie oscillazioni, lo collocava nel periodo considerato – fra gli uomini piu’ ricchi del mondo, tenuto conto delle partecipazioni azionarie e della proprieta’ di prestigiose ville.

Tale aspetto si associa al richiamo della Corte territoriale al principio, non censurato, secondo cui non e’ necessaria una individuazione precisa degli elementi relativi alla situazione patrimoniale e reddituali dei coniugi, essendo sufficiente una loro ricostruzione attendibile. In proposito questa Corte ha in piu’ occasioni affermato che, benche’ la separazione determini normalmente la cessazione di una serie di benefici e consuetudini di vita e anche il diretto godimento di beni, il tenore di vita goduto in costanza della convivenza va identificato avendo riguardo allo standard di vita reso oggettivamente possibile dal complesso delle risorse economiche dei coniugi, tenendo quindi conto di tutte le potenzialita’ derivanti dalla titolarita’ del patrimonio in termini di redditivita’, di capacita’ di spesa, di garanzie di elevato benessere e di fondate aspettative per il futuro. Inoltre, al fine della determinazione del “quantum” dell’assegno di mantenimento, la valutazione delle condizioni economiche delle parti non richiede necessariamente l’accertamento dei redditi nel loro esatto ammontare, essendo sufficiente un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi (Cass., 22 febbraio 2008, n. 4540; Cass., 7 dicembre 2007, n. 25618; Cass., 12 giugno 2006, n. 13592; Cass., 19 marzo 2002, n. 3974).

7. In definitiva, in disparte la contestazione in apicibus della norma contenuta nell’articolo 145 c.c., il ricorso non appare meritevole di accoglimento, avendo ad oggetto un decisione sostanzialmente incentrata sulla determinazione in concreto dell’assegno di mantenimento, che si fonda sostanzialmente sulla valutazione di circostanze che, avuto anche riguardo alle evidenziate limitazioni concernenti la deducibilita’ in questa sede del vizio di motivazione, e’ affidata all’apprezzamento del giudice del merito.

8. Le spese relative al presente giudizio di legittimita’ seguono la soccombenza, e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimita’, liquidate in Euro 40.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge.

Da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalita’ e gli altri dati identificativi

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