In tema di rapporti pendenti al momento della dichiarazione di fallimento, l’esercizio da parte del curatore del promissario acquirente della facoltà di scioglimento dal contratto preliminare di vendita pendente, ai sensi dell’art. 72 legge fall. (nel testo, vigente ratione temporis, anteriore alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 5 del 2006), non richiede un negozio formale né la necessità dell’autorizzazione del giudice delegato, trattandosi di una prerogativa discrezionale, rimessa all’autonomia del curatore fallimentare. Non è, pertanto, corretta la decisione della Corte territoriale nella parte in cui ha ritenuto che la Curatela fallimentare avesse errato a richiedere la restituzione delle somme già corrisposte dall’imprenditore promissario acquirente in bonis al promittente venditore, in quanto mancante del titolo a richiederle
Qualora un contratto preliminare abbia ad oggetto un bene in comunione, si deve presumere, salvo che risulti il contrario, che le parti lo abbiano considerato un unicum inscindibile, sicché la mancanza originaria o la caducazione del vincolo contrattuale di uno dei comproprietari preclude al promissario la possibilità di esercitare l’azione di esecuzione in forma specifica nei confronti degli altri.
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Suprema Corte di Cassazione
sezione I civile
sentenza 16 maggio 2016, n. 12462
Svolgimento del processo
1. La Corte d’appello di Firenze ha accolto gli appelli proposti dai signori R.V. (che con contratto del 1996 si era posto come promittente venditore di un immobile in corso di costruzione) e C.M. (promissaria acquirente dello stesso immobile unitamente al coniuge, S.V. , dichiarato fallito nel (omissis)) avverso la sentenza del Tribunale di Pistoia che, a sua volta, in accoglimento della domanda giudiziale della curatela fallimentare dell’anzidetto signor S. , aveva dichiarato il promittente venditore tenuto alla restituzione della somma già incassata (corrispondente alla pressoché totalità del prezzo) ed escluso l’ammissibilità della domanda riconvenzionale, proposta dal R. nei confronti della C. , per l’esecuzione in forma specifica, ai sensi dell’art. 2932 c.c., del preliminare, condannando gli attori in riconvenzionale al pagamento delle spese giudiziali in favore della procedura.
2. Secondo la Corte territoriale, la domanda introduttiva, svolta sul presupposto della dichiarazione di scioglimento dal contratto alla condizione sospensiva “richiedere al signor R.V. la restituzione del prezzo preliminare”, non era fondata in quanto svolta sull’erroneo presupposto che: a) il solvens dell’obbligazione di pagamento del prezzo fosse solo il fallito e non anche il coniuge, signora C. , che aveva corrisposto, invece, una parte cospicua del prezzo; b) lo scioglimento del contratto era stato domando alla condizione sospensiva – il cui evento non si era verificato – del recupero dell’intero prezzo corrisposto dai due coniugi promissari acquirenti al promittente venditore (e, del resto, il recupero di una sola parte del prezzo, ossia quella pagata dal fallito, sarebbe stato contrario alla previsione condizionale).
3. Avverso tale decisione ricorre per cassazione la Curatela fallimentare con impugnazione affidata a sette mezzi, illustrati anche con memoria.
4. I signori R. e C. resistono con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo mezzo di ricorso (Violazione e falsa applicazione dell’art. 72 LF, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.) la curatela ricorrente lamenta che i giudici di merito abbiano violato o falsamente applicato l’art. 72 LF nel suo tenore originario che, imponendo al curatore la necessità dell’autorizzazione del GD solo in caso di esercizio della volontà di subentrare nel contratto, in difetto di tale opzione farebbe automaticamente seguire lo scioglimento del rapporto contrattuale, senza la necessità di una manifestazione espressa di volontà.
1.1. Inoltre, la clausola condizionale, in realtà imposta dal GD al fallimento, sarebbe stata interpretata erroneamente poiché il suo contenuto non era il conseguimento ma semplicemente la richiesta di restituzione delle somme incassate dal percipiente, ciò che non sarebbe stato vincolante per il curatore e, comunque, ove ritenuta erroneamente come un evento condizionale, si sarebbe convertita in una richiesta pura, con la semplice notifica dell’atto di citazione del giudizio, che del resto gli stessi convenuti avrebbero considerato come espressa ed incondizionata.
2. Con il secondo mezzo (Nullità del procedimento per violazione del giudicato interno ed esterno, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.) la ricorrente ha censurato la decisione della Corte d’Appello perché avrebbe introdotto un thema d’indagine contrastante con l’accertamento, non impugnato, compiuto dal Tribunale, secondo il quale si era verificato lo scioglimento del contratto preliminare. Tale accertamento, divenuto giudicato interno per la mancata impugnazione di tale punto da parte degli appellanti, sarebbe stato affermato anche da altri provvedimenti giurisdizionali, compreso quello di questa Corte regolativo della competenza del giudice di primo grado (ordinanza n. 8238 del 2002).
3.Con il terzo (Nullità del procedimento per ultrapetizione ed extrapetizione, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.) la ricorrente ha censurato la decisione della Corte d’Appello perché avrebbe accertato il mancato scioglimento del contratto, oltre quanto eccepito e domandato dagli appellanti, ovvero operando una qualificazione giuridica circa il mancato scioglimento del preliminare, oltre le richieste delle parti.
4. Con il quarto (Violazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.) la curatela ricorrente lamenta che i giudici di merito abbiano violato il principio di integrazione tra motivazione e dispositivo della sentenza, contenuto nel menzionato dispositivo di legge, secondo cui non costituisce errore del giudice la mancata enunciazione in dispositivo di un accertamento che da questo è presupposto (nella specie: l’avvenuto scioglimento del contratto non enunciato espressamente nel dispositivo della sentenza di primo grado ma in essa implicitamente contenuto).
5. Con il quinto mezzo (Omessa motivazione un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.) la ricorrente ha censurato la decisione della Corte d’Appello perché l’avrebbe privata del diritto di difesa impedendole l’ingresso della prova liberatoria circa l’inesistenza del pregiudizio e circa le modalità di svolgimento dei rapporti contrattuali tra la fallita ed essa ricorrente.
6. Con il sesto mezzo (Insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.) la ricorrente ha censurato la decisione della Corte d’Appello perché non avrebbe adeguatamente valutato documenti ed elementi determinanti acquisiti al processo.
7. Con il settimo (Violazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.) la curatela, considerata la parziale riforma della sentenza di primo grado, si duole della integrale soccombenza nelle spese di lite.
8. Il primo mezzo, con il quale si chiede di annullare decisione impugnata perché avrebbe fatto malgoverno dell’art. 72 LF, nel testo anteriore alla riforma del 2006, è fondato nella parte in cui propone una diversa interpretazione della disposizione di legge, conforme ai principi di diritto elaborati da questa Corte (sia pure esplicitati a proposito dello scioglimento del curatore del fallimento del promittente venditore: cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 25876 del 2011), a tenore dei quali: “L’esercizio da parte del curatore della facoltà di scelta tra lo scioglimento o il subingresso nel contratto preliminare di vendita pendente, ai sensi dell’art. 72 legge fall. (nel testo, vigente ratione temporis, anteriore alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 5 del 2006), può anche essere tacito, ovvero espresso per fatti concludenti, non essendo necessario un negozio formale, né un atto di straordinaria amministrazione e dunque non ricorrendo la necessità dell’autorizzazione del giudice delegato, trattandosi di una prerogativa discrezionale del curatore”.
8.1. Questa Corte, ancora una volta, intende ribadire tale orientamento e con riferimento anche alla posizione del fallimento del promissario acquirente, per le ragioni già espresse nella richiamata sentenza, e poste a base del riferito diritto vivente, non essendo stati addotti argomenti decisivi in senso contrario e non sussistendo alcuna ragione logico-giuridica per differenziare il potere di scioglimento del curatore, a seconda che si tratti di procedura concorsuale riguardante il promittente venditore ovvero il promissario acquirente di un immobile.
8.2. Non è, pertanto, corretta la decisione della Corte territoriale nella parte in cui ha ritenuto che la Curatela fallimentare avesse errato a richiedere la restituzione delle somme già corrisposte dall’imprenditore promissario acquirente in bonis al promittente venditore, in quanto mancante del titolo a richiederle, poiché come si è detto, nella materia vale esattamente il principio opposto, ossia:
“In tema di rapporti pendenti al momento della dichiarazione di fallimento, l’esercizio da parte del curatore del promissario acquirente della facoltà di scioglimento dal contratto preliminare di vendita pendente, ai sensi dell’art. 72 legge fall. (nel testo, vigente ratione temporis, anteriore alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 5 del 2006), non richiede un negozio formale né la necessità dell’autorizzazione del giudice delegato, trattandosi di una prerogativa discrezionale, rimessa all’autonomia del curatore fallimentare”
8.3. Quanto alla condizione che, in concreto, il curatore aveva posto per l’esercizio della facoltà di scioglimento dal rapporto contrattuale essa, come correttamente argomenta la curatela ricorrente, non era affatto ancorata al conseguimento della restituzione del prezzo, ma – com’è evidenza logico giuridica – solo alla sua richiesta.
8.3.1. Interpretare quella clausola, così come ha fatto il giudice distrettuale, nei termini dello scioglimento condizionato al conseguimento del prezzo già versato, significa caricare la richiesta di una palese contraddizione ed in insanabile contrasto con il principio di cui all’art. 1367 c.c..
8.3.2. Infatti, secondo l’ammonimento di questa Corte (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 19994 del 2004), “il criterio ermeneutico contenuto nell’art. 1367 cod. civ. – secondo il quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno – va inteso non già nel senso che è sufficiente il conseguimento di qualsiasi effetto utile per una clausola, per legittimarne una qualsivoglia interpretazione pur contraria alle locuzioni impiegate dai contraenti, ma che, nei casi dubbi, tra possibili interpretazioni, deve tenersi conto degli inconvenienti cui può portare una (o più) di esse e perciò evitando di adottare una soluzione che la renda improduttiva di effetti“.
8.3.3. E nella specie, un’interpretazione della condizione che la facesse avverare solo con il conseguimento della restituzione del prezzo sarebbe illogica ed al contempo impossibile poiché, dire “mi sciolgo solo se conseguo il prezzo a suo tempo versato” significa affermare che “se non conseguo il prezzo non mi sono sciolto dal contratto”, ciò che è impossibile perché per verificare se posso conseguire il prezzo debbo necessariamente proporre la domanda restitutoria proprio sulla base della verificazione dell’avvenuto scioglimento del rapporto che, solo in questo caso, giustificherebbe la restituzione di ciò che, altrimenti, verrebbe mantenuto indebitamente.
9. Il secondo mezzo è, invece, infondato, in quanto pretende di ricavare dalla pronuncia di questa Corte, regolativa della competenza giudiziale (dell’organo che si doveva occupare della controversia volta a regolare il rapporto pendente), l’esistenza di un giudicato esterno che la giurisprudenza di questa Corte ha sempre escluso, in casi consimili, facendo applicazione del principio di diritto secondo il quale la decisione sulla competenza non può avere effetti di giudicato sul rapporto controverso (cfr. da ultimo, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 25144 del 2014: “La sentenza del giudice che statuisca unicamente sulla competenza non contiene alcuna pronuncia di merito, né esplicita né implicita, idonea a passare in giudicato, anche nell’ipotesi che abbia esaminato e deciso delle questioni preliminari di merito ai fini dell’accertamento della competenza, sicché dà luogo ad un giudicato solo formale e non preclude al giudice dichiarato competente l’esame e l’applicazione, per la decisione di merito, delle norme di diritto sostanziale, ancorché in contrasto con le premesse della sentenza sulla competenza“).
9.1. Né un tale giudicato emerge dagli ulteriori provvedimenti menzionati con il detto mezzo d’impugnazione, tutti non idonei a raggiungere tale conclusione, così come esso va escluso (nella forma del giudicato interno) come conseguenza delle domande svolte nel giudizio di appello di questo procedimento dalle altre parti di esso, atteso che le stesse vanno interpretate alla luce del principio di diritto relativo allo scioglimento complessivo del rapporto contrattuale nonostante la parte promissaria acquirente sia complessa (comprendendo entrambi i coniugi, uno solo dei quali fallito), come si dirà tra breve.
10. In tale ambito, infatti, non appare fondato il terzo mezzo (che denuncia ultra ed extrapetizione rispetto alle richieste delle parti litiganti), da trattarsi congiuntamente al secondo perché con esso connesso, in quanto entrambe le altre parti del giudizio (C. e R. ) avevano impugnato la sentenza di primo grado, chiedendone la riforma anche sulla base della tesi (particolarmente svolta dal R. ) dello scioglimento del rapporto contrattuale limitatamente alla sola posizione dello S. , e quindi la pronuncia di una sentenza costitutiva che tenesse luogo del contratto definitivo non concluso tra R. e la C. (coniuge dello S. e con lui promissaria acquirente).
10.1. Principio erroneo, invero, quello dello scioglimento del rapporto con la parte complessa limitatamente ad uno solo dei soggetti che la costituivano, in quanto questa Corte ha, all’opposto, sostenuto che non sia possibile lo scioglimento limitatamente ad uno solo dei coacquirenti senza pregiudizio anche per gli altri.
10.2. Infatti, “qualora un contratto preliminare abbia ad oggetto un bene in comunione, si deve presumere, salvo che risulti il contrario, che le parti lo abbiano considerato un unicum inscindibile, sicché la mancanza originaria o la caducazione del vincolo contrattuale di uno dei comproprietari preclude al promissario la possibilità di esercitare l’azione di esecuzione in forma specifica nei confronti degli altri“. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9458 del 2004).
10.3. In ragione di tale principio, non solo non si è formato il giudicato riguardo all’avvenuto scioglimento del rapporto riguardo alla sola posizione del fallito ma la richiesta delle altre parti del rapporto contrattuale hanno rilievo, anche se devono essere regolate alla luce del menzionato principio di diritto. Con il conseguente rigetto del terzo mezzo, contenente l’infondata censura di ultrapetizione da parte del giudice di appello.
11. Il quarto mezzo (con il quale si lamenta che i giudici di merito abbiano violato il principio di integrazione tra motivazione e dispositivo della sentenza), appare inammissibile non comprendendosi (dal suo tenore testuale) la sua incidenza e rilevanza nell’ambito del giudizio (quasi che fosse posto a verifica di un enunciato scollegato con la concreta utilità dello stesso).
12. Il quinto ed il sesto mezzo sono fondati per l’omesso esame, da parte del giudice, degli elementi probatori portati dalla curatela fallimentare a sostegno delle proprie affermazioni relative all’effettività dei pagamenti eseguiti dal fallito, a favore del promittente acquirente (fatture quietanzate, dichiarazioni reddituali positive per lui e mancanti per il coniuge, ecc.), piuttosto che da parte della promissaria C. , in ordine alla quale erano stati allegati il difetto di redditi propri e le inconsistenti risultanze reddituali e patrimoniali.
13. In conclusione, il ricorso è fondato con riferimento ai mezzi 1, 5 e 6, respinto il secondo e terzo e dichiarato inammissibile il quarto, con assorbimento del settimo, relativo alle spese giudiziali (da definirsi alla luce del nuovo esame dei punti accolti).
14. La sentenza impugnata deve essere cassata per un nuovo esame, unitamente alle spese di questa fase, che dovrà essere svolto, da parte della Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, alla luce dei principi di diritto sopra enunciati.
P.Q.M.
Accoglie il primo, quinto e sesto motivo di ricorso, assorbito il settimo, inammissibile il quarto e respinti i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, e rinvia la causa, anche per le spese di questa fase, alla Corte d’Appello di Firenze, in diversa composizione.
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