Il contenuto delle conversazioni intercettate puo’ essere provato anche mediante deposizione testimoniale, non essendo necessaria la trascrizione delle registrazioni nelle forme della perizia

Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 11 aprile 2018, n. 16040.

Il contenuto delle conversazioni intercettate puo’ essere provato anche mediante deposizione testimoniale, non essendo necessaria la trascrizione delle registrazioni nelle forme della perizia, atteso che la prova e’ costituita dalla bobina-cassetta o supporto digitale, che l’articolo 271 c.p.p, comma 1, non richiama la previsione dell’articolo 268 c.p.p, comma 7, tra le disposizioni la cui inosservanza determina l’inutilizzabilita’ e che la mancata trascrizione non e’ espressamente prevista ne’ come causa di nullita’, ne’ e’ riconducibile alle ipotesi di nullita’ di ordine generale tipizzate dall’articolo 178 c.p.p. 

Sentenza 11 aprile 2018, n. 16040
Data udienza 20 febbraio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NICOLA Vito – Presidente

Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere

Dott. CERRONI Claudio – Consigliere

Dott. SEMERARO Luca – Consigliere

Dott. GAI Emanue – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 24/02/2017 della Corte d’appello di Firenze;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Gai Emanuela;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Salzano Francesco, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 24 febbraio 2017, la Corte d’appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Grosseto di condanna di (OMISSIS), rideterminava la pena al medesimo inflitta, a seguito della modifica intervenuta del Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 5 ad opera del Decreto Legge 3 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 febbraio 2014, n. 10, articolo 1, comma 1, e successivamente modificato dal Decreto Legge 20 marzo 2014, n. 36, convertito con modificazioni dalla L. 16 maggio 2014, n. 79, a mesi dieci di reclusione e Euro 2.000,00 di multa, in relazione al reato continuato di cessione di modiche quantita’ di cocaina a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), fatti commessi in (OMISSIS).

2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso (OMISSIS), a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1:

2.1. Violazione di legge processuale in relazione all’articolo 268 c.p.p., comma 7, e articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c).

I giudici del merito avrebbero posto a base della affermazione di responsabilita’ gli stralci delle conversazioni telefoniche c.d. brogliacci, in assenza di trascrizione ex articolo 268 c.p.p., comma 7 e, dunque, in violazione di legge, per non aver osservato le norme previste per l’acquisizione della prova secondo le modalita’ indicate dal codice di rito e in violazione dell’articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c), con riferimento alla deposizione testimoniale dell’appartenente dalla G.d.F. sul contenuto dei c.d. brogliacci.

Argomenta il ricorrente che l’articolo 268 c.p.p., comma 7 disciplina le modalita’ di inserimento al fascicolo per il dibattimento delle conversazioni intercettate, disponendo l’inserimento della trascrizione delle stesse e non dei brogliacci; l’assunzione della testimonianza sul contenuto delle conversazioni registrate integrerebbe, poi, una nullita’ di ordine generale perche’ diretta ad introdurre nel processo i risultati di una prova al di fuori della modalita’ previste per la sua utilizzazione probatori a nel dibattimento.

2.2. Violazione di legge penale in relazione alla carenza di motivazione in punto determinazione del trattamento sanzionatorio non avendo indicato, il giudice dell’impugnazione, nella rideterminazione del trattamento sanzionatorio, l’iter logico seguito e gli elementi considerati, tra quelli di cui all’articolo 133 c.p., eludendo cosi’ l’obbligo di motivazione, essendosi limitato a ritenere adeguata la pena di mesi dieci in assenza di indicazione del calcolo operato, avendo, peraltro, indicato la pena finale pur in misura superiore al minimo edittale. Parimenti assente sarebbe la motivazione circa il diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso e’ inammissibile per la proposizione di motivi manifestamente infondati.

5. Il primo motivo di ricorso con cui il ricorrente deduce la violazione dell’articolo 268 c.p.p., comma 7 e la nullita’ della sentenza, anche ripetitivo della medesima censura gia’ devoluta e disattesa dal giudice dell’impugnazione, e’ manifestamente infondato.

Come osservato dalla corte territoriale, l’articolo 271 c.p.p., comma 1 non richiama la previsione dell’articolo 268 c.p.p., comma 7 tra le disposizioni la cui inosservanza determina l’inutilizzabilita’ dei risultati delle captazioni.

Deve, al riguardo rammentarsi che e’ assolutamente pacifico nella giurisprudenza di legittimita’ che la prova e’ costituita dalla bobina (ora supporto digitale) che racchiude la conversazione telefonica o ambientale, e dai verbali delle operazioni compiute, e che la trascrizione delle stesse costituisce una mera trasposizione grafica del contenuto del supporto (ex multis Sez. 6, n. 25806 del 20/02/2014, Di Popolo, Rv. 259675; Sez. 2, n. 13463 del 26/02/2013, P.G. in proc. Lagano, Rv. 254910) da cui discende, quale corollario, che e’ sempre consentito al giudice l’ascolto in camera di consiglio dei supporti analogici o digitali recanti le registrazioni, debitamente acquisite e trascritte e l’utilizzo ai fini della decisione dei risultati dell’ascolto medesimo (Sez. 1, n. 22062 del 24/04/2013, Roda’, Rv. 256080).

L’omessa trascrizione delle conversazioni registrate nella fase delle indagini preliminari, senza che la parte ne abbia fatto richiesta, non costituendo essa fonte di prova, non determina alcuna inutilizzabilita’ ne’ tanto meno nullita’ di ordine generale ex articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c) costituendo, la trascrizione effettuata con le forme della perizia, una mera trasposizione grafica del contenuto della prova (conversazione) acquisita mediante registrazione fonica, della quale il difensore puo’, ai sensi dell’articolo 268 c.p.p., comma 8, chiedere la trascrizione espletata secondo le modalita’ di cui all’articolo 267 c.p.p., e acquisita nel fascicolo per il dibattimento (Sez 1 n. 43725 del 2011 e 4243 del 2012 e Corte cost, 204 del 2012). Da cui il mancato esercizio del contraddittorio difensivo non puo’ determinare la nullita’ della sentenza per mancanza di trascrizione delle conversazioni telefoniche, non prevista dalla legge e non riconducibile alle ipotesi di nullita’ di ordine generale tipizzate dall’articolo 178 c.p.p..

Non di meno, non essendo necessaria la trascrizione delle registrazioni nelle forme della perizia, il contenuto delle conversazioni intercettate puo’ essere provato anche mediante deposizione testimoniale, non essendo la deposizione testimoniale sul contenuto di intercettazioni telefoniche inutilizzabile, giacche’ la sanzione processuale dell’inutilizzabilita’ discende da espressi divieti di acquisizione probatoria ex articolo 191 c.p.p. (inutilizzabilita’ generali), ovvero da una specifica previsione – che nel caso non e’ rinvenibile nell’ordinamento – della sanzione in relazione a un’acquisizione difforme dai modelli legali (inutilizzabilita’ speciali). Ora, nel ribadire che non si rinviene nella disciplina della prova testimoniale un espresso divieto di testimonianza sul contenuto di intercettazioni di conversazioni e che, nella disciplina delle intercettazioni, le uniche previsioni di inutilizzabilita’ dei relativi risultati sono quelle di cui all’articolo 271 c.p.p., comma 1, deve concludersi che la prova testimoniale sul contenuto delle intercettazioni di conversazioni non incorre nella sanzione della inutilizzabilita’.

Non ignora il Collegio che, secondo altro indirizzo giurisprudenziale richiamato dal difensore con riferimento peraltro a sentenza non pertinente (sentenza n. 45206 del 2013), la deposizione testimoniale sul contenuto di intercettazioni telefoniche, per la quale va comunque esclusa la sanzione della inutilizzabilita’ per i motivi sopra indicati, deve ritenersi affetta da nullita’ di ordine generale ex articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c), la cui rilevabilita’ e’ soggetta alle preclusioni previste dal capoverso dell’articolo 812 c.p.p., e dall’articolo 180 c.p.p. (Sez. 6, n. 402 del 12/10/1998, Aliu, Rv. 213328; Sez. 5, n. 20824 del 10/01/2013, P.G. in proc. Omoruyi e altro, Rv. 256496).

Peraltro, rileva il Collegio, anche a voler aderire a tale indirizzo, la censura difensiva si rivela del tutto infondata, giacche’ – a quanto emerge dalla sentenza di primo grado e da quella d’appello, non risulta che sia stata tempestivamente formulata eccezione di nullita’ (il ricorso per cassazione contiene una generica indicazione di “opposizione” del difensore), che, ai sensi dell’articolo 182 c.p.p., comma 2 “quando la parte vi assiste, la nullita’ di un atto deve essere eccepita prima del suo compimento ovvero, se cio’ non e’ possibile, immediatamente dopo”.

Dunque, deve ribadirsi il principio secondo cui che il contenuto delle conversazioni intercettate puo’ essere provato anche mediante deposizione testimoniale, non essendo necessaria la trascrizione delle registrazioni nelle forme della perizia, atteso che la prova e’ costituita dalla bobina-cassetta o supporto digitale, che l’articolo 271 c.p.p., comma 1, non richiama la previsione dell’articolo 268 c.p.p., comma 7, tra le disposizioni la cui inosservanza determina l’inutilizzabilita’ e che la mancata trascrizione non e’ espressamente prevista ne’ come causa di nullita’, ne’ e’ riconducibile alle ipotesi di nullita’ di ordine generale tipizzate dall’articolo 178 c.p.p. (Sez. 6, n. 25806 del 20/02/2014, Di Popolo, Rv. 259675; Sez. 2, n. 13463 del 26/02/2013, P.G. in proc. Lagano, Rv. 254910; Sez. 1, n. 12082 del 06/10/2000, Rv. 217345).

Peraltro, mette conto evidenziare che la censura, oltre che manifestamente infondata in diritto, non si confronta con la sentenza impugnata che, con riguardo all’affermazione della responsabilita’ del ricorrente per il reato continuato di cessione di sostanze stupefacenti a (OMISSIS), (OMISSIS), ha posto a fondamento del proprio convincimento le dichiarazioni di costoro (pag. 3 e 4 sentenza del Tribunale).

6. Alla stessa sorte non si sottrae il secondo motivo di ricorso, per un verso inammissibile, con riguardo alla censura di omessa motivazione sulle richiesta di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non essendo stata devoluta la relativa richiesta nei motivi di appello, e manifestamente infondato con riguardo al profilo della carenza di motivazione in relazione al calcolo della pena nella rideterminazione del trattamento sanzionatorio per effetto della novella legislativa sul Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 5 ritenuto adeguato, e sull’omessa motivazione in relazione all’aumento per la continuazione.

Rileva il Collegio che il Tribunale nel pervenire alla determinazione del trattamento sanzionatorio non aveva applicato alcun aumento per la continuazione interna pur contestata (cfr. pag. 7), sicche’ il ricorrente non ha ora interesse a sollevare la censura sulla misura della pena.

In secondo luogo deve rammentarsi che, in presenza di una pena prossima ai minimi edittali l’obbligo della motivazione deve ritenersi sufficientemente osservato qualora il giudice dichiari di ritenere “adeguata” o “congrua” o “equa” la misura della pena applicata o ritenuta applicabile nel caso concreto, essendo la scelta di tali termini sufficiente a far ritenere che il giudice abbia tenuto conto, intuitivamente e globalmente, di tutti gli elementi previsti dall’articolo 133 c.p., essendo necessaria la specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantita’ di pena irrogata soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media edittale (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283; Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, Taurasi, Rv. 256464).

7. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’articolo 616 c.p.p.. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi e’ ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *