Corte di Cassazione

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

S.U.P

SENTENZA 27 luglio 2015, n.32744

Ritenuto in fatto

Nell’ambito di un procedimento cumulativo concernente la costituzione di un sodalizio criminoso dedito alla consumazione di una pluralità di reati contro la pubblica amministrazione (turbata libertà degli incanti, corruzione propria, falsità ideologica in atti pubblici), incentrati sulla aggiudicazione di gare per l’appalto di lavori e servizi indette dalla Provincia di Salerno, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Salerno, adito da richiesta di giudizio immediato del pubblico ministero, con sentenza emessa il 19 novembre 2012 ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., ha applicato – tra gli altri – a Z.E. la pena, concordata con il pubblico ministero, di due anni e sette mesi di reclusione per i reati, avvinti da continuazione, di associazione per delinquere con il ruolo di organizzatore e promotore (capo A della rubrica) e di concorso in corruzione propria aggravata continuata (capo B della rubrica).

1.1. Tale sentenza è stata impugnata per cassazione da Z.E. , che ha dedotto violazione degli artt. 444 e 129 cod. proc. pen. per intervenuta prescrizione di alcuni dei contestati reati-fine di corruzione (capo B) e segnatamente di quelli consumati negli anni 2005 e 2006, avuto riguardo, in assenza di cause interruttive ex art. 160 cod. pen., al decorso del termine ordinario di prescrizione (sei anni) previsto dall’art. 157 cod. proc. pen.. Causa estintiva di alcune delle contestate ipotesi criminose non rilevata dal giudice di merito e non elisa da presunte valenze di implicita rinuncia alla prescrizione riferibili alla richiesta di applicazione della pena, un siffatto effetto abdicativo richiedendo una espressa manifestazione di volontà dell’imputato.

1.2. La Sezione Feriale di questa Corte, assegnataria del ricorso dello Z. e dei congiunti ricorsi di altri sei coimputati, preso atto delle omologhe censure in tema di prescrizione di alcune fattispecie di corruzione e di turbata libertà degli incanti formulate da altri ricorrenti (e ribadite dai difensori in udienza), ha rilevato l’esistenza di un perdurante contrasto giurisprudenziale sulla efficacia abdicativa della eventuale prescrizione dei reati da riconoscersi o meno alla richiesta di applicazione della pena avanzata dall’imputato. Contrasto reso vieppiù attuale, ad avviso della Sezione Feriale, dalla recente decisione con cui le Sezioni Unite (Sez. U, n. 43055 del 30/09/2010, Dalla Serra, Rv. 248379) hanno affermato, sebbene con riferimento a diversa casistica giudiziaria, che la rinuncia alla prescrizione, secondo il testuale dettato dell’art. 157, comma 7, cod. pen., richiede una dichiarazione di volontà espressa e specifica che non ammette equipollenti.

La Sezione Feriale ha pertanto ritenuto opportuno rimettere alle Sezioni Unite, con ordinanza n. 32843/13 del 6 agosto 2013, la questione di diritto volta a stabilire “se la presentazione della richiesta di applicazione della pena da parte dell’imputato o il consenso a quella proposta dal pubblico ministero costituiscano una dichiarazione legale tipica di rinuncia alla prescrizione non più revocabile”.

Con sentenza n. 5838/2014 del 28 novembre 2013 le Sezioni Unite hanno dichiarato i ricorsi di Z.E. e dei coimputati inammissibili, senza affrontare il tema oggetto di rimessione, perché reso irrilevante dalla constatata insussistenza del presupposto fattuale della quaestio iuris costituito dal reale prodursi della causa estintiva prescrizionale per alcuni dei reati-fine (artt. 319 e 353 cod. pen.) dell’associazione delinquenziale commessi (a far data dal giugno/luglio 2005) negli anni 2005 e 2006. Causa estintiva soltanto in presenza della quale potrebbe affrontarsi la problematica del valore di tacita rinuncia a farla valere da riconoscersi o non alla richiesta di patteggiamento dell’imputato assentita dal pubblico ministero.

Per un verso le Sezioni Unite hanno evidenziato l’esistenza nel procedimento penale di specifici atti muniti di effetti interruttivi del corso della prescrizione, tali da rendere operativo il termine di prescrizione c.d. prorogata (sette anni e sei mesi: art. 161, comma 2, cod. pen.), non spirato alla data della sentenza di applicazione della pena (19 novembre 2012) nemmeno per i più remoti episodi criminosi di corruzione e turbativa d’asta risalenti al giugno/luglio 2005. Atti interruttivi rappresentati dalle spontanee dichiarazioni confessorie rese al pubblico ministero (nel maggio 2008) dagli imputati C.G. e Gi. ; dichiarazioni formalmente volte – in virtù della specifica contestazione dei fatti integranti l’associazione criminosa e i connessi reati scopo ex artt. 353 e 319 cod. pen. già accertati – a formale interrogatorio dei prevenuti ai sensi del combinato disposto degli artt. 374, comma 2, cod. proc. pen. e 160, secondo comma, cod. pen. Esiti interruttivi della prescrizione, cui si sono sovrapposti gli interrogatori resi da tutti gli imputati nel giugno del 2012 (dopo l’emissione nei loro confronti della misura cautelare della custodia inframurale eseguita il 12 giugno 2012), da ritenersi efficaci, a norma dell’art. 161, comma 1, cod. pen. nei riguardi di tutti i coimputati concorrenti nei reati di corruzione e turbativa d’asta ascritti agli imputati ‘interrogati’ ai sensi dell’art. 374, comma 2, cod. proc. pen.. Concorso criminoso ipotizzato dalle imputazioni di corruzione e turbativa d’asta più remote (anno 2005 in riferimento alle singole gare di appalto manipolate dagli imputati) e contemplate anche dal capo B), ascritte a quasi tutti i ricorrenti e comunque sicuramente, quanto al capo B) della rubrica, ad Z.E. .

Per altro verso le Sezioni Unite, segnalando la ‘indeterminatezza’ della contestazione delle date di consumazione di alcuni reati-fine (diversi da quelli di falsità ideologica in atti pubblici assistiti da fede privilegiata) relativi a fatti riguardanti gare manipolate nella prima metà del 2005, per i quali potrebbe reputarsi maturata la prescrizione alla data della sentenza di patteggiamento, hanno rimarcato come i ricorrenti, diversi dallo Z. , interessati da tali reati non soltanto non abbiano offerto alcuna allegazione o valida indicazione di elementi dai quali desumere l’effettiva data di commissione dei reati, ma neppure abbiano sollevato con i ricorsi contro la sentenza di patteggiamento la questione della rinuncia alla prescrizione, in situazione di palese assenza di “motivi ritualmente proposti da altri [ricorrenti], che possano loro estendersi, stante l’inammissibilità dei ricorsi che li contengono”.

Avverso la descritta decisione delle Sezioni Unite i difensori del condannato Z.E. , avvocati Anacleto Dolce e Michele Barbato, hanno proposto, ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen., ricorso straordinario (‘richiesta’) per la correzione di un errore di fatto contenuto nella sentenza, causato da “una svista o da un equivoco” determinanti una “inesatta percezione delle risultanze processuali” da parte dei giudici di legittimità, che ne ha alterato il processo di formazione della volontà decisoria. Volontà che, in assenza di detto errore percettivo, sarebbe stata diversa da quella adottata.

Il ricorso straordinario censura la parte della motivazione della sentenza delle Sezioni Unite dedicata, nella pagina 6 del provvedimento (rectius pagina 15), all’analisi della posizione dello Z. , laddove si precisa: “anche per lui il primo atto interruttivo coinciderebbe con la data di emissione del titolo custodiale; nondimeno, in virtù del contestato concorso con Ci.Gi. e C.G. , nessuno dei reati ascritti ai capi 2, 16, 20-bis, 16, 21, 29, 30, 35, 39, 39-bis, 39-ter e 39-quater era prescritto al 01/06/2012, all’atto dell’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare e, quindi, alla data della sentenza di patteggiamento”.

Con tale enunciato le Sezioni Unite, indicando specifiche ipotesi di reato che non erano state oggetto dell’accordo sulla pena intervenuto tra l’imputato e il p.m., accordo limitato al reato associativo (art. 416, comma 1, cod. pen.) sub A) e al reato di corruzione continuata sub B), sarebbero incorse in un errore emendabile con la procedura prevista dall’art. 625-bis cod. proc. pen..

 Considerato in diritto

La ‘richiesta’ di correzione del prefigurato errore di fatto deve essere dichiarata inammissibile per ragioni di natura formale e sostanziale.

Sotto il primo aspetto viene in rilievo in limine la verifica dei requisiti formali di ammissibilità del ricorso straordinario con specifico riguardo ai termini, alla legittimazione processuale e alle modalità di proposizione della particolare impugnazione disciplinata dall’art. 625-bis cod. proc. pen..

2.1. Quanto ai termini per la presentazione della richiesta di correzione dell’errore di fatto che si sostiene ricorrere nella decisione di legittimità, il ricorso proposto nell’interesse di Z.E. risulta tempestivo, essendo stato proposto entro il previsto terrmine di presentazione di centottanta giorni dall’avvenuto deposito della motivazione della decisione impugnata. La sentenza emessa il 28 novembre 2013 dalle Sezioni Unite penali è stata depositata nella cancelleria della Corte il 6 febbraio 2014. Il ricorso straordinario proposto dagli avvocati Dolce e Barbato (sottoscrittori) nell’interesse di Z. è stato depositato il 30 luglio 2014 nella cancelleria del Tribunale di Vallo della Lucania dall’avv. Enrico Greco (‘noto’ al funzionario di cancelleria che ha ricevuto l’atto), su verosimile delega orale dei legali Dolce e Barbato, entrambi aventi studio professionale anche a Vallo della Lucania.

Sul piano formale il ricorso straordinario risulta depositato, dunque, nel rispetto del perentorio termine di impugnazione previsto dalla legge, decorrente dal momento del deposito della decisione impugnata e non da quello, eventualmente successivo, in cui il soggetto interessato (condannato) ne abbia acquisito effettiva conoscenza (v.: Sez. 4, n. 15717 del 07/03/2008, Spagnuolo, Rv. 239813; Sez. 5, n. 37814 del 27/05/2009, Nunziata, Rv. 245131; Sez. 2, n. 29050 del 27/06/2014, Parnasso, Rv. 260264).

Inoltre nel caso in esame, non è inutile aggiungere, la procedura rescindente straordinaria è stata attivata in sostanziale coincidenza (ultimo giorno anteriore) con la fase di sospensione dei termini processuali in periodo feriale dell’anno 2014. Ciò che, scadendo il termine per presentare la richiesta il 7 agosto 2014 (180 giorni dal deposito della sentenza), avrebbe consentito il rituale tempestivo deposito della richiesta di correzione dell’errore di fatto fino alla data del 22 settembre 2014. Come già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte regolatrice, la palese natura di mezzo di impugnazione pur eccezionale (‘straordinario’) del rimedio previsto dall’art. 625 bis cod. proc. pen. implica che l’indicato termine di decadenza di centottanta giorni debba ritenersi soggetto, al pari di tutti gli altri mezzi di impugnazione, alla generale sospensione dei termini processuali sancita per il periodo feriale (nel 2014 dal 1 agosto al 15 settembre) dall’art. 1 legge 7 ottobre 1969, n. 742 (cfr., in motivazione, Sez. 1, n. 19366 del 22/04/2009, Andrisani, con ampi richiami a precedenti in termini, non massimati sul punto, tra cui: Sez. 2, n. 37385 del 13/04/2005, Pappalardo; Sez. 3, n. 35509 del 21/06/2007, Fusi).

2.2. Al contrario irrituale e senz’altro invalida, sì da divenire causa di inammissibilità dell’impugnazione, non può non considerarsi la formale proposizione del ricorso straordinario sotto i congiunti profili del difetto di legittimazione processuale dei proponenti (i difensori di fiducia del condannato Z. ) e delle stesse modalità di deposito del ricorso.

La tipologia delle decisioni della Corte di cassazione suscettibili di essere emendate con il ricorso straordinario è circoscritta ai soli provvedimenti decisori che rendono definitiva una sentenza di condanna in tutto o in parte (Sez. U, n. 28717 del 21/06/2012, Brunetto, Rv. 252935; Sez. U, n. 28719 del 21/06/2012, Marani, Rv. 252695; Sez. 6, n. 26485 del 27/04/2010, Chiatante, Rv. 247816). In base a quanto già statuito da questa Corte, stante il connotato di straordinarietà del mezzo impugnatorio, il ricorso (‘richiesta’) è atto strettamente personale (art. 625-bis, comma 2, cod. proc. pen.), del solo soggetto ‘condannato’, quale strumento eccezionale volto ad emendare possibili pregiudizievoli errori di fatto contenuti in una decisione di legittimità a lui comunque sfavorevole (ex plurimis: Sez. 2, n. 28629 del 05/07/2007, Brandimarte, Rv. 237171; Sez. 6, n. 91 del 22/10/2013, dep. 2014, Fredesvinda, Rv. 258453). Ne discende che, in base a quanto chiarito da un prevalente e condivisibile indirizzo interpretativo della giurisprudenza di legittimità, il ricorso-richiesta deve essere presentato di persona dal condannato ovvero da un difensore munito di specifica procura speciale presso la cancelleria della Corte di cassazione o presso altro ufficio giudiziario a sua volta tenuto ad inoltrare l’impugnazione alla Corte di cassazione.

L’art. 625-bis cod. proc. pen. è, per la peculiarità (‘straordinarietà’) dell’istituto correttivo di errori di fatto delle decisioni di legittimità, norma di stretta interpretazione che preclude l’applicabilità del disposto dell’art. 571, comma 3, cod. proc. pen. (espressamente riferito al difensore ‘dell’imputato’ e non al difensore del ‘condannato’) legittimante il difensore dell’imputato a proporre impugnazioni nell’interesse di esso assistito. La descritta particolarità del ricorso straordinario rende indispensabile, in sintonia con quanto previsto per un altro tipico mezzo di impugnazione straordinario quale la richiesta di revisione (art. 633 cod. proc. pen.) latamente assimilabile – per i possibili effetti rescindenti e rescissori – all’istituto ex art. 625-bis cod. proc. pen., una specifica procura del condannato che, ai sensi dell’art. 122, comma 1, cod. proc. pen., autorizzi il difensore a proporre e presentare l’atto impugnatorio diretto alla correzione di un errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità (cfr.: Sez. 4, n. 34923 del 27/06/2002, Abanto, Rv. 222917; Sez. 2, n. 47848 del 05/11/2003, Lodigiani, Rv. 227694; Sez. 4, n. 13918 del 05/07/2011, Tempesta, Rv. 252456; Sez. 6, n. 28713 del 11/05/2012, Carlevaris, Rv. 253246). Di conseguenza deve essere riaffermato il principio di diritto secondo cui ‘è inammissibile, per difetto di legittimazione soggettiva, cioè di rappresentanza, il ricorso straordinario per la correzione di un errore di fatto proposto ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen. dal difensore del condannato che non sia munito di procura speciale ex art. 122 cod. proc. pen. per la proposizione dell’impugnazione straordinaria’.

Ora nel caso oggetto della presente decisione evidente si delinea l’inammissibilità del ricorso straordinario proposto nell’interesse di Z.E. da soggetti palesemente privi di rappresentanza, vale a dire dai suoi due difensori avvocati Dolce e Barbato, ai quali – per quanto emerge ex actis – è stato conferito dallo Z. un semplice mandato difensivo (art. 96 cod. proc. pen.) per la sua assistenza e difesa in giudizio, ma non una indispensabile procura speciale ex art. 122 cod. proc. pen. (procura speciale per ‘atto determinato’ espressamente riservato dalla legge ad una parte processuale privata) volta a formalizzare la ‘richiesta’ rescindente di cui all’art. 625-bis cod. proc. pen.. Cioè uno specifico atto che conferisca la rappresentanza del soggetto attivo (legittimato sostanziale) per il compimento di un particolare atto processuale, in ciò distinguendosi strutturalmente dal mandato difensivo ex art. 96 cod. proc. pen., che ne può costituire eventuale presupposto o condizione genetica e che ha esaurito i suoi contenuti e il suo scopo con il concludersi della fase giudiziale di cognizione e la definitività (giudicato) della pronuncia di condanna afferente alla res iudicata (ex plurimis: Sez. 4, n. 7372 del 14/01/2014, Guida, Rv. 259319; Sez. 6, n. 2899 del 12/12/2013, dep. 2014, Scino, Rv. 258332; Sez. 5, n. 24687 del 17/03/2010, Rizzo, Rv. 248385; Sez. 6, n. 23804 del 29/05/2009, Izzo, Rv. 244289). È perfino superfluo aggiungere, per chiarezza inferenziale, che ai fini della validità e regolarità formale della procura speciale ad litem conferita ad un difensore (abilitato ad autenticare la sottoscrizione dell’interessato-mandante: art. 122, comma 1, cod. proc. pen.) non si rende necessario l’impiego di termini ed espressioni particolari o l’uso di “formule sacramentali”, allorché il contenuto dell’atto renda chiara la volontà del mandante (imputato condannato) e non residuino margini di incertezza sugli effetti dell’incarico conferito, così da rendere chiara e subito rilevabile “la determinazione dell’oggetto per cui è conferita e dei fatti ai quali si riferisce” la procura speciale, come espressamente richiede l’art. 122, comma 1, cod. proc. pen. (cfr. in termini: Sez. 4, n. 48571 del 05/11/2013, Cervone, Rv. 258089; Sez. 2, n. 46159 del 11/07/2013 Ferrari, Rv. 257335; Sez. 4, n. 40293 del 10/06/2008, Allegrino, Rv. 241471).

2.3. Ma non basta. Nel caso del ricorso straordinario in esame alla invalidità della ‘proposizione’ dell’atto impugnatorio (formato dai due difensori di fiducia del ricorrente Z. privi di necessaria procura speciale) si coniuga la non meno evidente invalidità delle modalità di ‘presentazione’ del ricorso-richiesta ex art. 625-bis cod. proc. pen..

L’atto di impugnazione straordinario è stato presentato, infatti, senza rispettare i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, in base ai quali la richiesta di correzione dell’errore materiale o di fatto deve essere ‘proposta e presentata’ personalmente dal condannato presso la cancelleria della Corte di cassazione entro il termine stabilito ovvero, qualora sia presentata presso altro ufficio, deve pervenire entro lo stesso termine alla medesima cancelleria. Tale seconda alternativa di deposito o presentazione della richiesta (presso l’ufficio giudiziario del luogo in cui si trovi il ricorrente o il suo procuratore speciale) non può dirsi preclusa, infatti, dalla lettera dell’art. 625-bis cod. proc. pen., che non reca alcuna deroga alla disposizione generale in tema di impugnazioni dettata dall’art. 582, comma 2, cod. proc. pen. per cui, in applicazione del canone del favor impugnationis, “l’impugnazione è validamente presentata dalle parti private e dai difensori non solo nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, ma anche nella cancelleria del tribunale o del giudice di pace in cui essi si trovano, se tale luogo è diverso da quello in cui fu emesso il provvedimento” (così Sez. 2, n. 37385 del 13/04/2005, Pappalardo, Rv. 232688).

Il ricorso straordinario proposto (redatto) per Z.E. dai suoi due difensori non muniti di procura speciale è stato depositato, come detto, presso il Tribunale di Vallo della Lucania dall’avv. Enrico Greco del locale Foro su delega o mandato, unicamente verbali, dei due difensori dello Z. (avvocati Dolce e Barbato), ma senza qualsivoglia attestazione o constatazione dell’esistenza di un rapporto professionale tra il ‘condannato’, il professionista incaricato di fungere da nuncius e i due difensori già nominati (sebbene non muniti di procura speciale per l’impugnazione ex art. 625-bis cod. proc. pen.). Come affermato in tema di ricorso straordinario per errore fattuale da più conformi decisioni di legittimità, “quando l’atto di impugnazione non sia presentato personalmente, ma a mezzo di incaricato, come consentito dall’art. 582, comma 1, cod. proc. pen., è da ritenere necessario che la qualità di incaricato risulti o da una esplicita delega rilasciata dal titolare del diritto di impugnazione ovvero da inequivoca attestazione con la quale il pubblico ufficiale cui l’impugnazione viene presentata dia atto della dichiarazione resagli dal presentatore di agire per delega del suddetto titolare” (così Sez. 6, n. 28713 del 11/05/2012, Carlevaris, Rv. 253246; ed altresì: Sez. 1, n. 641 del 30/01/1997, Sciancalepore, Rv. 207424; Sez. 6, n. 21866 del 12/04/2007, Mancini, Rv. 236696; Sez. 3, n. 26753 del 05/05/2010, A.K., Rv. 247920).

Nel caso in esame non vi è traccia di puntualizzazioni o indicazioni di tal genere, emergendo soltanto – come visto – che il ricorso è stato presentato il 30 luglio 2014 dall’avv. Greco, personalmente conosciuto dal funzionario di cancelleria che ha annotato in calce all’atto la ricezione del ricorso poi trasmesso alla Corte di cassazione. In altri termini i difensori di fiducia dello Z. , senza previo rilascio di specifica procura alle liti o di uno specifico incarico professionale dello Z. per proporre il ricorso ex art. 625-bis cod. proc. pen., hanno demandato in forma orale la presentazione del ricorso straordinario all’avv. Greco, la cui qualità di incaricato o delegato avrebbe invece dovuto essere ben descritta e provata al momento del deposito dell’atto.

È fin troppo ovvio che l’illustrato formalismo modale di presentazione dell’atto si giustifica con la peculiarità e la natura eccezionale della impugnazione straordinaria ex art. 625-bis cod. proc. pen., laddove nei casi ordinari dei normali mezzi di impugnazione esperiti da imputati (ma non da ‘condannati’), parti private e pubblico ministero il rispetto delle individuate formalità non ha ragion d’essere, purché il rapporto tra chi presenta l’atto e chi lo ha sottoscritto sia noto al pubblico ufficiale addetto alla ricezione e non si profili alcun dato ostativo alla presunzione di legittima provenienza dell’atto depositato (cfr. ex plurimis: Sez. U, n. 8141 del 29/05/1992, Caselli, Rv. 191180; Sez. U, n. 20300 del 22/04/2010, Lasala, Rv. 246905).

2.4. Per le ragioni fin qui diffusamente esposte il ricorso straordinario proposto dai difensori di Z.E. deve essere dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. a) e lett. e), cod. proc. pen..

Pur a fronte della descritta pregiudiziale e assorbente causa di inammissibilità del ricorso straordinario, ragioni di completezza espositiva connesse alla funzione nomofilattica del giudice di legittimità impongono di rilevare, ancorché in termini di sintesi, come – con riguardo al merito dell’errore di fatto enunciato con l’impugnazione straordinaria – il ricorso sarebbe parimenti inammissibile per manifesta insussistenza di un errore percettivo della impugnata decisione di queste Sezioni Unite sussumibile nell’area applicativa dell’art. 625-bis cod. proc. pen..

3.1. Brevi notazioni consentono di inquadrare l’ambito referenziale dell’errore di fatto oggetto dell’impugnazione straordinaria in esame, messa da canto, alla luce di quanto statuito dalla fondamentale decisione delle Sezioni Unite n. 16103 del 27/03/2002, Basile, la situazione processuale dell’errore materiale, inclusa (per ragioni di simmetria modulare con l’analoga disciplina contenuta dall’art. 391-bis cod. proc. civ., al cui interno l’errore materiale è regolato insieme all’errore di fatto) nella dicotomica previsione dell’art. 625-bis cod. proc. pen. ma in tutto coincidente con il dettato dell’art. 130 cod. proc. pen.; previsione integrata da un mero divario espressivo tra volontà del giudice e materiale rappresentazione grafica della stessa (Sez. U, cit.: “soltanto il ricorso straordinario per errore di fatto ha natura di vero e proprio mezzo di impugnazione, mentre il ricorso relativo all’errore materiale rappresenta null’altro che uno strumento di correzione, speciale rispetto a quella prevista dall’art. 130 cod. proc. pen., senza incidenza sul contenuto della decisione e con funzione di mera rettifica della forma espressiva della volontà del giudice”).

Alla stregua di un’ormai consolidata esegesi ricompositiva dell’area di operatività del ricorso ex art. 625-bis cod. proc. pen. è qui sufficiente precisare che l’errore di fatto che può verificarsi nel giudizio di legittimità (venendo traslato in una sentenza della Corte di cassazione confermativa di una condanna) è rappresentato da un vizio della volontà decisoria della Corte di legittimità consistente in un errore percettivo o nella sviata prefigurazione di un fatto determinato prodotti da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso; errore qualificato da diretta incidenza sullo sviluppo della volontà decisoria della Corte, tale da dar luogo ad “una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso”. Un’area di rilevanza dell’errore di fatto cui sono estranei le notazioni o deduzioni aventi specifico contenuto valutativo (integranti non un errore di fatto, ma eventualmente di giudizio), gli errori interpretativi di norme giuridiche, sostanziali o processuali, nonché gli errori percettivi (o travisamenti fattuali) in cui sia incorso il giudice di merito, traslitterati nella decisione di legittimità e non resi oggetto degli ordinari mezzi di impugnazione di merito e/o di legittimità (ex pluribus: Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, Basile, Rv. 221280, 221283; Sez. U, n. 28717 del 21/06/2012, Brunetto, Rv. 252935; Sez. U, n. 28719 del 21/06/2012, Marani, Rv. 252695; Sez. U, n. 37503 del 14/07/2011, Corsini, Rv. 250527; Sez. 2, n. 23417 del 23/05/2007, Previti, Rv. 237161; Sez. 6, n. 44637 del 31/10/2013, Stranges, Rv. 257154; Sez. 5, n. 7469 del 28/11/2013, dep. 2014, Misuraca, Rv. 259531).

3.2. Analizzando i motivi di censura delineati con il ricorso straordinario proposto nell’interesse di Z.E. , è agevole rilevarne la inapprezzabilità per gli eventuali effetti di cui all’art. 625-bis cod. proc. pen. In vero le argomentazioni e il ragionamento decisorio espressi dall’impugnata decisione di queste Sezioni Unite non recano traccia di alcun peculiare errore di fatto o di percezione di dati storici nei termini delineati nel ricorso con riferimento all’asserito omesso riconoscimento dell’essere stato l’accordo sanzionatorio raggiunto dallo Z. con il pubblico ministero, divenuto oggetto della sentenza di applicazione 19 novembre 2012 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Salerno (impugnata per cassazione dall’imputato), circoscritto al reato di organizzazione e promozione di una associazione per delinquere e ai plurimi reati fine di corruzione propria aggravata, contestati al ricorrente con i capi A) e B) della rubrica.

A prescindere dalla genericità enunciativa della doglianza, l’evenienza per cui la sentenza delle Sezioni Unite ha preso in considerazione, nell’esame della posizione processuale dello Z. , anche una serie di reati-fine dell’aggregato criminoso rimasti estranei alla sentenza di patteggiamento non ha dispiegato alcuna incidenza sul decisum del giudice di legittimità. Per la semplice ragione che le Sezioni Unite, a fronte della sentenza del G.i.p. salernitano recante in epigrafe l’intera articolazione delle accuse mosse a tutti gli imputati e rese oggetto dell’ordinanza custodiale cautelare emessa nei loro confronti, ha ritenuto di farsi carico – con commendevole acribia, anche in ragione della rilevanza del vaglio per le posizioni di altri imputati ‘patteggiane’ e ricorrenti accusati di concorso negli stessi fatti reato ascritti allo Z. – di operare una generale disamina (vieppiù necessaria, per la sua pregiudizialità rispetto alla questione di diritto devoluta ex art. 618 cod. proc. pen. al giudizio delle Sezioni Unite) del prodursi o meno, nel corso del giudizio di merito (e anteriormente alla data della menzionata pronuncia di patteggiamento della pena), della causa estintiva prescrizionale per tutti gli innumerevoli reati ex artt. 319, 353 e 356 cod. pen. contestati ai vari associati per delinquere ricorrenti. Disamina al cui esito le Sezioni Unite hanno ampiamente argomentato, quanto alla specifica posizione dello Z. , l’insussistenza di ipotesi di reato, tra quelle allo stesso ascritte, raggiunte dalla ridetta causa estintiva. È ben vero che questa Corte regolatrice, con decisione delle Sezioni Unite n. 37505 del 14/07/2011, Corsini, Rv. 250528, ha affermato l’ammissibilità del ricorso straordinario per errore di fatto in tema di prescrizione del reato, ma è altrettanto indiscutibile che l’ha rigorosamente delimitata a situazioni decisorie indotte dalla “esclusiva conseguenza di un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco” (ad esempio nel semplice calcolo aritmetico dei periodi di sospensione del corso della prescrizione verificatisi nel giudizio di merito), senza estenderla ai casi di pretesi errori sulla causa estintiva derivanti da una qualsiasi valutazione giuridica o dalle inferenze di un fatto processuale. Non vi è dubbio, a tacer d’altro e come è appena il caso di osservare, che l’apprezzamento degli effetti temporali, dinamici e sequenziali di una causa sospensiva o interruttiva della prescrizione (ex artt. 159. 160, 161 cod. pen.) implica, quasi per definizione, un tipico atto valutativo e un connesso giudizio. Un vero e proprio giudizio di valore, quindi, che può ben essere opinabile o perfino erroneo, ma che è del tutto incompatibile con i possibili errori percettivi su fatti determinati, sostanziali o processuali, cui è destinato a porre rimedio il mezzo straordinario di impugnazione previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen..

Non può non inferirsi, allora, che la sommaria lettura critica espressa nell’odierno ricorso straordinario si rivela incongrua, quando prospetta come frutto di un apparente errore percettivo su elementi di fatto il complessivo giudizio espresso dall’impugnata sentenza delle Sezioni Unite in tema di valenza ed efficacia di più atti interruttivi verificatisi nel giudizio di merito in rapporto alla ricostruibile data di consumazione dei reati più remoti contestati a tutti i ricorrenti. Prospettazione che, a tutto voler concedere, delinea un ‘errore’ attinente ai contenuti valutativi del giudizio di legittimità. Attinente, cioè, non a uno o più veri errori di fatto, ma – se mai, in tesi – a presunti errori di giudizio, in quanto tali non scrutinabili mediante lo strumento dell’art. 625-bis cod. proc. pen., di cui si delinea, una fuorviata lettura dissimulante un improponibile secondo giudizio di legittimità.

3.3. Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio ed al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che – avuto riguardo al dictum della sentenza della Corte costituzionale n. 186/2000 e ai coefficienti di colpa sottesi alle rilevate cause di inammissibilità del ricorso ex art. 616 cod. proc. pen. – si reputa conforme a giustizia determinare in misura di Euro 2.000 (duemila).

 P.Q.M.

 Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 2.000,00 (duemila) alla cassa delle ammende.

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