Corte di Cassazione

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

S.U.P.

SENTENZA 16 dicembre 2014, n. 52117

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza deliberata l’11 febbraio 2013 e depositata il 25 febbraio 2013, il Tribunale di Bergamo, in composizione monocratica, giudicando col rito abbreviato, instaurato in esito alla convalida dell’arresto e alla presentazione per il giudizio direttissimo, ha condannato, nel concorso della attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità (reputata equivalente alla aggravante dell’uso della violenza sulle cose e alla recidiva), nonché della diminuente del rito, alla pena della reclusione in tre mesi e della multa in cento Euro C.J. e P.G. , dichiarati responsabili del furto tentato, commesso, in concorso tra loro, a danno del centro commerciale (omissis) , così riqualificata la originaria imputazione di furto consumato.
Il Tribunale ha accertato che i giudicabili, entrambi confessi, avevano prelevato dai banchi di esposizione del supermercato tre flaconi di profumo, caffè e biscotti; avevano lacerato le confezioni, rimuovendo la “placchette antitaccheggio”; avevano occultato la refurtiva, celandola dentro una borsa e sotto gli indumenti; avevano, quindi, superato la cassa, senza pagare la merce nascosta, ma esibendo altro prodotto (regolarmente pagato); ed erano usciti dal centro commerciale.
All’esterno del fabbricato l’addetto alla sicurezza, F.M. , il quale si era avveduto in precedenza della azione furtiva, era al fine intervenuto, promovendo l’intervento della polizia giudiziaria che aveva tratto in arresto i due imputati.
2. Con riferimento a quanto serba rilievo nella sede del presente scrutinio di legittimità, sul punto della definizione giuridica del fatto, il Tribunale ha motivato che la concorsuale condotta delittuosa doveva essere derubricata nella ipotesi del tentativo, in quanto tutta la azione si era “svolta sotto gli occhi dell’addetto alla sicurezza il quale [aveva monitorato] ogni spostamento” dei due imputati e aveva deciso “di bloccarli alla [rectius: dopo la] barriera delle casse, anziché durante la sottrazione, per mere ragioni di opportunità”.
3. Il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte territoriale ha proposto ricorso immediato per cassazione con atto recante la data del 27 marzo 2013, dichiarando promiscuamente di denunziare, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 56 cod. pen., nonché mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.
Il ricorrente deduce, anche con richiamo di pertinenti arresti della Corte di cassazione: il giudice a quo ha trascurato di dare conto delle supposte ragioni di opportunità che avrebbero indotto l’addetto alla vigilanza a non intervenire prima che i giudicabili superassero le casse; per vero è “solo al momento in cui gli imputati alla cassa non hanno pagato” la merce, prelevata e occultata, che “è scattata […] la possibilità di contestare con certezza il furto”; un intervento prematuro non avrebbe consentito di stabilire se la condotta fosse stata realmente preordinata al furto, in quanto “molte volte” accade che i clienti dei supermercati aprano le confezioni dei prodotti o, addirittura, li consumino, “prima di raggiungere le casse e [che], poi, li paghino regolarmente”; nella specie, colla materiale apprensione, la refurtiva è “uscita dalla disponibilità della persona offesa […] al momento del passaggio alla barriera delle casse” in mancanza del pagamento della merce; la circostanza che l’addetto alla vigilanza avesse notato la azione dei prevenuti, già prima che costoro avessero raggiunto la cassa, “non trasforma il furto consumato in furto tentato”, in quanto “i responsabili sono stati colti in un momento successivo alla realizzazione del fatto reato”, in una area “diversa da quella dove era stata perpetrata la sottrazione della merce” e in una “fase temporale” distinta e posteriore; peraltro, anche accedendo all’indirizzo minoritario della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale ostano alla consumazione del reato la concomitante osservazione del personale addetto alla sorveglianza e la possibilità di interrompere l’azione furtiva rilevata, nella specie neppure emerge che il controllo fosse stato “così pregnante, capillare e diffuso da consentire di interrompere l’azione criminosa in qualsiasi momento”.
4. La Quarta Sezione penale, assegnataria del ricorso, con ordinanza in data 30 aprile 2014 l’ha rimesso alle Sezioni Unite a norma dell’art. 618 cod. proc. pen..
La ordinanza ha rilevato il contrasto giurisprudenziale in ordine alla questione, oggetto del ricorso, della qualificazione giuridica della condotta furtiva consistente nel prelievo di merce dai banchi di un supermercato e nel successivo occultamento della refurtiva all’atto del passaggio davanti al cassiere, quando tutta la azione delittuosa si è svolta sotto il controllo costante del personale addetto alla vigilanza, intervenuto solo dopo che il soggetto attivo ha superato la barriera delle casse.
4.1. Secondo un primo orientamento, invocato dal Procuratore generale ricorrente e che è stato, da ultimo ribadito con sentenza Sez. 5, n. 20838 del 07/02/2013, Fornella, Rv. 256499, la condotta in parola integra gli estremi del delitto di furto consumato, nulla rilevando, al riguardo, “la circostanza che il fatto sia avvenuto sotto il costante controllo del personale del supermercato incaricato della sorveglianza” (così ex plurimis Sez. 5, n. 7086 del 19/01/2011, Marin, Rv. 249842; Sez. 5, n. 37242 del 13/07/2010, Nasi, Rv. 248650; Sez. 5, n. 27631 del 08/06/2010, Piccolo, Rv. 248388; Sez. 5, n. 23020 del 09/05/2008, Rissotto, Rv. 240493).
L’indirizzo in parola sostiene che il soggetto attivo del reato nel preciso momento nel quale supera la cassa, senza mostrare (né pagare) la refurtiva celata, perfeziona la sottrazione del bene del quale, solo allora, “consegue istantaneamente il possesso illegittimo […] indipendentemente dal monitoraggio svolto dal personale del supermercato”. Mentre, nulla rileva che fino a quell’istante il cliente, autorizzato ad apprendere dal banco di esposizione e a portare con sé la merce prelevata, “non la lasci in vista, avendola riposta nelle tasche dell’abito o in un qualsiasi contenitore”.
4.2. Secondo l’orientamento opposto, pur citato dal ricorrente, la concomitante “sorveglianza continua dell’azione criminosa” da parte del soggetto passivo o dei suoi dipendenti impedisce la consumazione del reato di furto, in quanto la refurtiva, appresa e occultata permane nella “sfera di vigilanza e di controllo diretto dell’offeso, il quale può in ogni momento interrompere” la condotta delittuosa (così Sez. 5, n. 11592 del 28/01/2010, Finizio, Rv. 246893; Sez. 5, n. 21937 del 06/05/2010, Lazaar, Rv. 247410; Sez. 4, n. 38534 del 22/09/2010, Bonora, Rv. 248863; Sez. 5, n. 7042 del 20/12/2010, dep. 2011, D’Aniello, Rv. 249835; e, in tema di rapina impropria, Sez. 2, n. 8445 del 05/02/2013, Niang, n.m.).
4.3. In conclusione, sulla base del rilevato contrasto, la Sezione rimettente ha sottoposto la questione della consumazione del delitto di furto, in costanza del concomitante monitoraggio ad opera degli addetti alla sorveglianza, della condotta dell’agente, il quale, appresa la mercé in esposizione, abbia superato la barriera della cassa, occultando quanto sottratto prima di essere bloccato dal personale di vigilanza.
5. Con decreto del 30 maggio 2014 il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite penali e ne ha fissato la trattazione per la odierna udienza pubblica.
 

Considerato in diritto

 
1. La questione di diritto sottoposta alle Sezioni Unite, siccome formulata dalla Sezione rimettente, si sostanzia nel quesito seguente: “Se la condotta di sottrazione di mercé all’interno di un supermercato, avvenuta sotto il costante controllo del personale di vigilanza, sia qualificabile come furto consumato o tentato allorché l’autore sia fermato dopo il superamento della barriera delle casse con la mercé sottratta”.
2. Deve essere esaminata in limine la questione preliminare, in rito, della esperibilità del ricorso immediato per cassazione proposto dal Pubblico ministero e, conseguentemente, della competenza di questa Corte di legittimità a conoscere la impugnazione, laddove il ricorrente ha denunziato (congiuntamente alla erronea applicazione della legge penale) la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen..
2.1. L’art. 569, comma 3, cod. proc. pen. stabilisce: “La disposizione del comma 1 [recante la previsione della proposizione diretta del ricorso per cassazione avverso le sentenze di primo grado appellabili] non si applica nei casi previsti dell’art. 606, comma 1, lettere d) ed e). In tali casi il ricorso eventualmente proposto si converte in appello”.
La norma comporta che col ricorso c.d. per saltum non possono farsi valere i motivi previsti dalle citate lettere dell’art. 606 cod. proc. pen..
2.2. Nella specie, tuttavia, la questione deve essere risolta in senso positivo. È pur vero che il Pubblico ministero ricorrente ha dichiarato di dedurre vizi di motivazione, ma la relativa denunzia deve considerarsi tanquam non esset e affatto irrilevante, ai fini della qualificazione del ricorso, perché è assorbita dalla concorrente denunzia della erronea applicazione della legge penale.
Giova, in proposito, ricordare che in materia di questioni di diritto circa la interpretazione della legge, non è consentita la deduzione di (ritenuti) vizi di motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in quanto la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione sono configurabili “soltanto con riguardo ad elementi di fatto che il giudice abbia trascurato o di cui abbia dato una valutazione illogica o contraddittoria, e non con riguardo” alle questioni di diritto né alle “argomentazioni giuridiche delle parti”. Se, infatti, le questioni e le argomentazioni in parola sono fondate, “il fatto che il giudice le abbia disattese (motivatamente o meno) da luogo al diverso motivo di censura costituito dalla violazione di legge”, mentre, se “sono infondate, [il fatto che] il giudice le abbia disattese non può dar luogo ad alcun vizio di legittimità della pronuncia giudiziale” (Sez. 1, n. 4931 del 17/12/1991, dep. 1992, Parente, Rv. 188913; Sez. 5, n. 4173 del 22/02/1994, Marzola, Rv. 197993; Sez. 2, n. 3706 del 21/01/2009, P.C. in proc. Haggag, Rv. 242634; Sez. 2, n. 19696 del 20/05/2010, Maugeri, Rv. 247123).
3. Superata la questione preliminare in rito, lo scrutinio del quesito di diritto proposto involge, innanzi tutto, l’analisi dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità (invocato dal ricorrente) nel senso della ritenuta consumazione del furto, nelle circostanze indicate, a dispetto della concomitante vigilanza del soggetto passivo del reato (o di suoi addetti) e dell’immediato recupero della refurtiva.
3.1. Oltre alle sentenze Rissotto, Piccolo, Nasi, Marin e Fornella, citate nella ordinanza di rimessione, la tesi della consumazione è stata affermata da pronunce della Cassazione sia risalenti nel tempo, che recentissime: tra le altre, Sez. 2, n. 938 del 24/05/1966, Delfino, Rv. 102532; Sez. 2, n. 2088 del 18/06/1973, dep. 1974, Mucci, Rv. 126456; Sez. 4, n. 7235 del 16/01/2004, Coniglio, Rv. 227347; Sez. 2, n. 48206 del 12/01/2011, Pezzuolo; Sez. 5, n. 25555 del 15/06/2012, Magliulo, n.m.; Sez. 5, n. 41327 del 10/07/2013, Caci, Rv. 257944; Sez. 5, n. 8395 del 2/10/2013, dep. 2014, La Cognata, n.m.; Sez. 5, n. 1701 del 23/10/2013, dep. 2014, Nichiforenco, Rv. 258671; Sez. 7, n. 6832 del 20/11/2013, dep. 2014, Pulsoni, n.m.; Sez. 5 n. 677 del 21/11/2013, dep. 2014, Flauto, n.m.; Sez. 4, n. 8079 del 12/12/2013, dep. 2014, Molinari, n.m.; Sez. 4, n. 7062 del 09/01/2014, Bergantino, Rv. 259263.
Nell’ambito di tale indirizzo talune pronunce hanno ravvisato la consumazione del furto ancor prima del superamento della barriera delle casse, allorché l’agente, prelevata la mercé dal banco, “l’abbia nascosta sulla propria persona oppure in una borsa o, comunque, l’abbia occultata” (Sez. 2, Delfino, Rv. 102532, cit.), sulla base della considerazione che la condotta in parola “oltre alla amotio […] determina l’impossessamento della res (non importa se per lungo tempo o per pochi secondi) e, dunque, integra, in presenza del relativo elemento psicologico gli elementi costitutivi del delitto di furto” (Sez. 5, Marin, Rv. 249842, cit.).
Altre sentenze hanno distinto: per un verso hanno ammesso la possibilità del tentativo (praticamente esclusa dalle decisioni testé citate in considerazione della immediatezza della consumazione), circoscrivendo la relativa ipotesi al caso dell’intervento della persona offesa o dei suoi incaricati, là dove costoro, avendo sorvegliato tutte le fasi della azione furtiva, la interrompano prima che l’agente abbia oltrepassato la barriera delle casse; per altro verso hanno ribadito che, in ogni caso, “il momento consumativo” del reato si realizza indefettibilmente quando il soggetto attivo sia passato davanti all’addetto alla cassa senza pagare, a prescindere dal concomitante monitoraggio della condotta delittuosa (Sez. 4, Coniglio, cit., richiamata, tra altre, da Sez. 4, Molinari, cit.).
3.2. La tesi della consumazione è, in generale, sostenuta dalla duplice affermazione: a) del perfezionamento della condotta tipizzata dello impossessamento della refurtiva, per effetto del prelievo della mercé, senza il successivo pagamento dovuto all’atto del passaggio davanti alla cassa; b) della irrilevanza della circostanza che “il fatto sia avvenuto sotto il costante controllo del personale del supermercato incaricato della sorveglianza” (così, da ultimo, Sez. 4, Bergantino, cit.).
La citata sentenza Sez. 5, n. 25555 del 2012, Magliulo, ha offerto un contributo di approfondimento, postulando essere condizione “necessaria e sufficiente perché il […] reato possa dirsi consumato che la persona offesa sia stata privata della detenzione e, per ciò, stesso sia stata posta nella condizione di doversi attivare, se vuole recuperala, nei confronti del soggetto che l’ha acquisita” e, in proposito, argomentando che l’agente, tosto che abbia “oltrepassato la barriera delle casse senza pagare la merce”, consegue “da quel momento la detenzione esclusiva e illecita” della refurtiva, “mentre, in precedenza, salvo il caso dell’occultamento, detta detenzione non poteva dirsi, né esclusiva, né illecita”.
La sentenza n. 8395 del 2013, La Cognata, cit., ha negato che il concomitante “controllo” dello sviluppo della azione delittuosa da parte del personale del personale di vigilanza impedisca la consumazione del furto, motivando: la circostanza è “del tutto estranea all’operato dell’agente”; la sorveglianza non ha impedito la violazione della norma; il recupero della refurtiva, in seguito all’eventuale intervento degli addetti alla sorveglianza, si colloca “nella fase post delictum”.
4. Anche il contrario orientamento trova ancoraggio (oltre che nelle più recenti sentenze Finizio, Lazaar, Bonora, D’Aniello e Niang, menzionate nella ordinanza di rimessione) in altre pronunce di legittimità, scandite nell’ampio arco temporale durante il quale si è protratto il contrasto di giurisprudenza: Sez. 5, n. 398 del 27/10/1992, dep. 1993, De Simone, Rv. 193177; Sez. 5, n. 11947 del 30 ottobre 1992, Di Chiara, Rv. 192608; Sez. 5, n. 837 del 03/11/1992, dep. 1993, Zizzo, Rv. 193486; Sez. 5, n. 3642 del 21 gennaio 1999, Imbrogno, Rv. 213315; nonché (non massimate sul punto in esame) Sez. 4, n. 31461 del 03/07/2002, Carbone; Sez. 4, n. 24232 del 27/04/2006, Giordano.
L’indirizzo si fonda sulla considerazione che la concomitante osservazione da parte della persona offesa, ovvero del dipendente personale di sorveglianza, dell’avviata azione delittuosa (al pari dei controlli strumentali mediante apparati elettronici di rilevazione automatica del movimento della merce, scilicet: sensori, placche antitaccheggio) e la correlata e immanente possibilità di intervento nella immediatezza, a tutela della detenzione, impediscono la consumazione del reato, per non essersi perfezionata la fattispecie tipizzata – dell’impossessamento, mediante sottrazione, della cosa altrui – in quanto l’agente non ha conseguito l’autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo diretto del soggetto passivo, la cui “signoria sulla cosa” non è stata eliminata.
In proposito la sentenza n. 31461 del 2002, Carbone, cit., distingue, opportunamente, “l’intervento in re ipsa” a difesa della detenzione esercitato dalla persona offesa, dai dipendenti della stessa addetti alla vigilanza (o, quale atto dovuto, dalle forze dell’ordine) dall’intervento (meramente eventuale) dispiegato da un terzo estraneo (a tutela dell’altrui possesso); ed esclude che quest’ultimo tipo di intervento, connotato da accidentalità e “aleatorietà”, sia di ostacolo al riconoscimento della consumazione del reato, in quanto il recupero della refurtiva a opera del terzo estraneo presuppone la intervenuta perdita della signoria sulla cosa da parte del derubato.
Incisivamente la sentenza n. 8445 del 2013, Niang, cit., ha argomentato a sostegno dell’orientamento in esame che è da “ritenersi preferibile la tesi che tende a privilegiare un connotato di “effettività” che deve caratterizzare l’impossessamento quale momento consumativo del delitto di furto, rispetto al semplice momento sottrattivo, con la conseguenza che l’autonoma disponibilità del bene potrà dirsi realizzata solo ove sia stata correlativamente rescissa la altrettanto autonoma signoria che sul bene esercitava il detentore”.
5. Le Sezioni Unite ritengono di dover comporre il contrasto giurisprudenziale mediante la riaffermazione di tale secondo orientamento, nel senso della qualificazione giuridica della condotta in esame in termini di furto tentato.
La soluzione si colloca, peraltro, in linea di continuità col dictum della sentenza Sez. U, n. 34952 del 19/04/2012, Reina, Rv. 253153.
Nel risolvere positivamente la questione della configurabilità del tentativo di rapina impropria (anche) in difetto della materiale sottrazione del bene all’impossessamento del quale l’azione delittuosa era finalizzata, la citata sentenza ha argomentato, proprio con espresso riferimento al furto: “finché la cosa non sia uscita dalla sfera di sorveglianza del possessore” e “questi è ancora in grado di recuperala” tanto fa “degradare la condotta di apprensione del bene a mero tentativo”.
5.1. La quaestio iuris in esame involge il più ampio tema della definizione giuridica della azione di impossessamento della cosa altrui, tipizzata dalla norma incriminatrice.
5.2. L’art. 624, primo comma, cod. pen. contempla la condotta di chi “si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trame profitto per se o per altri”.
La formulazione normativa riecheggia e riproduce nel nucleo essenziale la previsione dell’art. 402, primo comma, del codice Zanardelli del 1889, salvo che per la significativa sostituzione dell’inciso modale del predicato verbale, contenuto nella previgente disposizione, che recitava “togliendola dal luogo in cui si trova”, avendo in tali termini il legislatore del 1989 recepito la teoria della amotio, eletta dalla dottrina dell’epoca per denotare l’impossessamento mediante, appunto, l’adozione del criterio c.d. spaziale.
La norma vigente ha espunto siffatto criterio introducendo quello personale o funzionale della sottrazione.
Sicché la descrizione della condotta delittuosa risulta scandita dal sintagma impossessamento-sottrazione.
5.3. L’analisi della dottrina in punto di definizione e di rapporto reciproco dei due segmenti della condotta delittuosa, sinergicamente configurati nel costrutto sintattico della norma incriminatrice, caratterizzato dalla adozione del verbo “sottrarre” nella subordinata, non ha, per vero, approdato a condivise conclusioni, ora accentuandosi la distinzione cronologica e logica dei momenti della sottrazione e dell’impossessamento, ora controvertendosi in ordine alla relativa sequenza, ora enfatizzando la pregnanza dell’uno piuttosto che dell’altro.
Nel caso in esame le difficoltà sono acuite da due ordini di fattori: a) la sovrapposizione, rilevata in talune delle sentenze citate, dei piani affatto diversi della qualificazione della condotta e della prova del reato e, segnatamente, dell’elemento psicologico; b) la relazione di tipo prenegoziale, presupposta dalla condotta delittuosa, che lega l’agente al soggetto passivo, offerente in vendita della mercé esposta, e che abilita il primo al prelievo dei beni dai banchi di esposizione.
In tale prospettiva la condotta dell’agente il quale oltrepassi la cassa, senza pagare la merce prelevata, rende difficilmente contestabile l’intento furtivo, ma lascia impregiudicata la questione se la circostanza comporti di per sé sola la consumazione del reato, quando l’azione delittuosa sia stata rilevata nel suo divenire dalla persona offesa, o dagli addetti alla vigilanza, i quali, nella immediatezza intervengano a difesa della proprietà della mercé prelevata.
5.4. Decisiva è, al riguardo, la premessa che in difetto del perfezionamento del possesso della refurtiva in capo all’agente è, comunque, certamente da escludere che il reato possa ritenersi consumato.
La considerazione assorbe la disamina del controverso rapporto tra la sottrazione e l’impossessamento.
Orbene, appare difficilmente confutabile – e il dato deve ritenersi acquisito per generale consenso e in carenza di veruna apprezzabile obiezione – che l’impossessamento del soggetto attivo del delitto di furto postuli il conseguimento della signoria del bene sottratto, intesa come piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva da parte dell’agente.
Sicché, laddove esso è escluso dalla concomitante vigilanza, attuale e immanente, della persona offesa e dall’intervento esercitato in continenti a difesa della detenzione del bene materialmente appreso, ma ancora non uscito dalla sfera del controllo del soggetto passivo, la incompiutezza dell’impossessamento osta alla consumazione del reato e circoscrive la condotta delittuosa nell’ambito del tentativo.
La conclusione riceve conforto dalla considerazione dell’oggetto giuridico del reato alla luce del principio di offensività.
In tale prospettiva, di recente valorizzata quale canone ermeneutico di ricostruzione dei “singoli tipi di reato” da Sez. U, n. 40354 del 18/07/2013, Sciuscio, il fondamento della giustapposizione tra il delitto tentato e quello consumato (e del differenziato regime sanzionatorio) risiede nella compromissione dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice.
Affatto coerente risulta, pertanto, l’aggancio della consumazione del furto alla completa rescissione (anche se istantanea) della “signoria che sul bene esercitava il detentore”, come esattamente individuato dalla citata sentenza n. 8445 del 2013, Niang. Mentre, di converso, se lo sviluppo dell’azione delittuosa non abbia comportato ancora la uscita del bene dalla sfera di vigilanza e di controllo dell’offeso, è per vero confacente, alla stregua del parametro della offensività, la qualificazione della condotta in termini di tentativo.
6. La conclusione raggiunta resiste alle obiezioni espresse nelle sentenze che si sono uniformate al contrario indirizzo.
6.1. Sono ricorrenti nelle pronunce in parola i riferimenti alla amotio della refurtiva da parte dell’agente.
La teoria della amotio, in linea generale, appare anacronistica in quanto non è confortata dall’addentellato normativo, in precedenza offerto dell’art. 402, primo comma, del codice Zanardelli del 1889.
Inoltre, con specifico riferimento al caso in esame, il criterio spaziale dello spostamento della cosa “dal luogo in cui si trova” non è certamente applicabile alla apprensione della mercé dal banco di esposizione del negozio in quanto il sistema di vendita selfservice abilita l’avventore al prelievo.
6.2. L’argomento che la sorveglianza dell’offeso non ha impedito la violazione della norma penale non è né concludente, né oltretutto pertinente.
Ciò che è in discussione non è la sussistenza della attività delittuosa, bensì la relativa definizione giuridica.
6.3. Neppure appare calzante, per confutare la qualificazione della condotta de qua in termini di tentativo, la obiezione che la concomitante sorveglianza della persona offesa e la correlata possibilità di intervento immediato, a tutela della detenzione, costituiscano “circostanza del tutto estranea all’operato dell’agente”: per vero il delitto tentato si caratterizza per la mancata verificazione dell’evento dovuta a cause indipendenti dalla volontà dell’agente (Sez. U, n. 7523 del 21/05/1983, Andreis, Rv. 160247; Sez. U, n. 34952 del 19/04/2012, Reina, Rv. 253153), ricorrendo altrimenti la ipotesi alternativa della desistenza prevista dall’art. 56, terzo comma, cod. pen..
6.4. Gli ulteriori argomenti (non privi di suggestione) in ordine al rilievo della attivazione della persona offesa per il recupero della refurtiva e in ordine alla collocazione della relativa attività “nella fase post delictum” devono essere disattesi per la petizione di principio che sottendono: assumono a premessa la tesi da dimostrare della consumazione del furto colla intervenuta perdita del bene da parte del soggetto passivo; mentre si tratta della difesa della detenzione esercitata dall’offeso in continenti e resa possibile dalla perdurante presenza della res nella sfera di vigilanza e di controllo del detentore.
7. Le considerazioni che precedono consentono di formulare il seguente principio di diritto: “il monitoraggio nella attualità della azione furtiva avviata, esercitato sia mediante la diretta osservazione della persona offesa (o dei dipendenti addetti alla sorveglianza o delle forze dell’ordine presenti in loco,), sia mediante appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della mercé, e il conseguente intervento difensivo in continenti, a tutela della detenzione, impediscono la consumazione del delitto di furto, che resta allo stadio del tentativo, in quanto l’agente non ha conseguito, neppure momentaneamente, l’autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo diretto del soggetto passivo”.
8. In conclusione, alla stregua del principio di diritto enunciato, il ricorso risulta infondato, sicché esso deve essere rigettato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

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