Corte di Cassazione

Suprema Corte di Cassazione

S.U.P.

sentenza 14 aprile 2015, n. 15232

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE PENALI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SANTACROCE Giorgio – Presidente

Dott. ESPOSITO Antonio – Consigliere

Dott. MILO Nicola – Consigliere

Dott. ZAMPETTI Umberto – Consigliere

Dott. FRANCO Amedeo – rel. Consigliere

Dott. CONTI Giovanni – Consigliere

Dott. BIANCHI Luisa – Consigliere

Dott. FUMO Maurizio – Consigliere

Dott. DAVIGO Piercamillo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1. (OMISSIS), nata a (OMISSIS), in proprio e quale presidente del “Comitato di Montale contro l’inceneritore”;

2. (OMISSIS), nato a (OMISSIS), in proprio e quale erede di (OMISSIS) entrambi quali persone offese nel procedimento nei confronti di:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS), e di (OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso l’ordinanza del 17/11/2011 e l’ordinanza del 18/11/2011 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pistoia;

visti gli atti, i provvedimenti impugnati e i ricorsi;

sentita la relazione svolta dal componente Amedeo Franco;

letta la requisitoria del Procuratore generale Aldo Policastro, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;

lette le memorie dei difensori delle persone offese ricorrenti avv. (OMISSIS) per (OMISSIS) e avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), che chiedono l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pistoia chiese l’archiviazione, per infondatezza della notizia di reato, del procedimento n. 2869/09 R.G.N.R. a carico di (OMISSIS) e di (OMISSIS), indagati per i reati di cui al Decreto Legislativo n. 133 del 1959, articolo 19 (recte: Decreto Legislativo 11 maggio 2005, n. 133, articolo 19), Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 159, articolo 279 e articolo 590 cod. pen., loro ascritti in relazione, rispettivamente, alle caratteristiche qualitative e quantitative delle emissioni del termovalorizzatore sito in (OMISSIS), nonche’ alle patologie insorte in alcuni cittadini, ritenute – nella denuncia – querela del (OMISSIS), che aveva dato origine al procedimento – riconducibili alle predette emissioni.

A seguito di opposizione alla richiesta di archiviazione presentata dalle persone offese dal reato di lesioni colpose, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pistoia fisso’ per il 17 novembre 2011 l’udienza camerale di cui all’articolo 409 c.p.p., comma 3.

Il 14 novembre 2011, gli avv.ti (OMISSIS) ed (OMISSIS), difensori delle persone offese, depositarono una dichiarazione di adesione all’astensione dalle udienze e dalle altre attivita’ giudiziarie, proclamata per i giorni 14-18 novembre 2011 dalla Giunta dell’Unione Camere Penali con Delib. 24 ottobre 2011.

Il 17 novembre 2011 il procedimento venne trattato in udienza in camera di consiglio. Dal relativo verbale risulta:

– che l’avv. (OMISSIS), presente anche in sostituzione dell’avv. (OMISSIS) e di altri difensori delle persone offese, ribadi’ la dichiarazione di astensione, chiedendo un rinvio della trattazione;

– che l’avv. (OMISSIS), in sostituzione del difensore di fiducia degli indagati, dichiaro’, a propria volta, di aderire all’astensione dalle udienze;

– che il G.i.p. emise ordinanza con cui rigetto’ la richiesta di rinvio e dispose procedersi, osservando che il legittimo impedimento del difensore, quale causa di rinvio dell’udienza, non rileva nei procedimenti in camera di consiglio, per i quali e’ previsto che le parti siano sentite solo se compaiono;

– che il difensore delle persone offese formulo’ una ulteriore richiesta di rinvio, rigettata dal G.i.p. con richiamo all’ordinanza appena emessa;

– che il difensore degli indagati, invece, rinuncio’ alla dichiarazione di astensione e chiese di discutere la causa, insistendo per l’accoglimento della richiesta di archiviazione.

Con ordinanza del 18 novembre 2011 il G.i.p. dispose l’archiviazione per insussistenza di elementi sufficienti per sostenere l’accusa in giudizio, sia per le contravvenzioni e sia per lesioni colpose, difettando elementi univocamente idonei a provare l’esistenza di un nesso eziologico tra il danno lamentato e le violazioni contestate agli indagati, avuto anche riguardo all’epoca di insorgenza del danno stesso.

2. Avverso questa ordinanza e quella camerale del 17 novembre 2011, le persone offese (OMISSIS) e (OMISSIS), con atto sottoscritto personalmente nonche’ dal difensore e procuratore speciale avv. (OMISSIS), hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo i seguenti due motivi:

1) violazione dell’articolo 127 c.p.p., commi 3 e 5, per non avere il giudice rispettato l’adesione all’astensione dei difensori delle persone offese, che solo a tal fine avevano presenziato all’udienza camerale, con conseguente lesione sia del diritto di difesa delle persone offese (articolo 24 Cost.), sia della liberta’ di associazione del difensore (articoli 18 e 2 Cost.). Osservano che i principi espressi dalla sentenza n. 171 del 1996 della Corte costituzionale evidenziano l’erroneita’ dell’ordinanza del G.i.p. di rigetto dell’istanza di rinvio, sia in ordine alla assimilabilita’ dell’adesione all’astensione ad un mero legittimo impedimento, sia alla sua conseguente irrilevanza nei procedimenti in cui la presenza del difensore e’ solo facoltativa. Cio’ anche in considerazione del fatto che la materia e’ ormai disciplinata dalla Legge n. 146 del 1990, come modificata dalla Legge n. 83 del 2000, e che, con Delib. 13 dicembre 2007 della Commissione di garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, e’ stato adottato il regolamento che disciplina le modalita’ dell’astensione collettiva dall’attivita’ giudiziaria degli avvocati.

2) violazione dell’articolo 3, comma 2, del vigente codice di autoregolamentazione dell’astensione forense, valutato idoneo (ai sensi della Legge n. 146 del 1990, articolo 13) dalla Commissione di garanzia. Ricordano, innanzitutto, che l’adesione all’astensione e’ consentita, in forza del citato articolo 3, anche ai difensori della persona offesa, ancorche’ non costituita parte civile, circostanza indicativa, tra l’altro, del fatto che alla locuzione – secondo cui l’astensione costituisce legittimo impedimento – deve conferirsi valore meramente esemplificativo, non risultando applicabili in materia le norme del codice di rito (che prendono in considerazione, ai fini del legittimo impedimento, il solo difensore dell’imputato). Osservano poi che l’infondatezza dell’assimilazione dell’astensione al legittimo impedimento del difensore, e’ confermata dal medesimo articolo 3 del codice di autoregolamentazione, laddove prevede la facolta’ per il difensore di astenersi con riferimento all’udienza o all’atto di indagine preliminare o a qualsiasi altro atto o adempimento per il quale sia prevista la sua presenza, ancorche’ non obbligatoria. Proprio quest’ultimo riferimento depone inequivocabilmente per la legittimita’ dell’astensione anche nelle udienze camerali, dove appunto la presenza del difensore non e’ obbligatoria.

I ricorrenti concludono per l’annullamento dell’ordinanza di archiviazione del 18 novembre 2011, previa declaratoria di illegittimita’ dell’ordinanza emessa nell’udienza camerale del 17 novembre 2011.

3. In data 7 marzo 2014, i difensori delle persone offese ricorrenti hanno depositato memoria ex articolo 611 cod. proc. pen., con cui osservano che la fondatezza dei motivi di ricorso e’ stata confermata anche dalla recente sentenza della Sez. 6, n. 1826 del 24/10/2013, dep. 2014, S., sulla base della rilevanza costituzionale del diritto del difensore all’astensione, della non assimilabilita’ di tale diritto al legittimo impedimento, della valenza di normativa secondaria di cui il giudice deve tener conto, riconosciuta dalle Sezioni Unite al codice di autoregolamentazione.

4. In data 17 luglio 2013, il Procuratore generale ha depositato requisitoria con cui chiedeva il rigetto del ricorso, richiamando l’orientamento interpretativo fatto proprio dalla impugnata ordinanza del G.i.p. e citando una decisione (Sez. 1, n. 5722 del 20/12/2012, dep. 5/2/2013, Morano, Rv. 254807) che aveva escluso che il codice di autoregolamentazione avesse introdotto una specifica disciplina processuale in deroga all’articolo 127 cod. proc. pen..

5. La Quarta Sezione penale, cui il ricorso era stato assegnato, con ordinanza del 25 marzo 2014 lo ha rimesso alle Sezioni Unite.

Osserva innanzitutto l’ordinanza che la decisione del G.i.p. di rigetto dell’istanza di rinvio per adesione all’astensione forense risulta conforme alla prevalente giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il legittimo impedimento del difensore non rileva nei procedimenti camerali disciplinati dall’articolo 127 cod. proc. pen., nei quali le parti interessate sono sentite solo se compaiono. In tali casi – fra i quali rientra anche il procedimento di archiviazione, poiche’ l’articolo 409 c.p.p., comma 2 richiama espressamente l’articolo 127 – il contraddittorio si ritiene correttamente instaurato con la sola notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza camerale, sicche’ nessun rilievo puo’ attribuirsi all’impedimento a comparire del difensore, pur in presenza di una dichiarazione di adesione all’astensione.

L’ordinanza di remissione rileva peraltro che questo orientamento e’ stato di recente ritenuto non piu’ attuale, e quindi non condivisibile, dalla sentenza di Sez. 6, n. 1826 del 2014, gia’ citata, la quale e’ stato affermato che l’astensione forense non puo’ essere considerata un semplice impedimento partecipativo, consistendo invece (come chiarito dalla sentenza n. 171 del 1996 della Corte costituzionale) nell’esercizio di un diritto di liberta’ avente sicuro fondamento costituzionale. La dichiarazione di astensione, costituisce dunque l’esercizio di un diritto costituzionale, che il giudice deve riconoscere, se sono rispettate le condizioni di legge. La sentenza n. 1826 del 2014 ha anche valorizzato l’affermazione contenuta nella recente sentenza Sez. U, n. 26711, del 30/05/2013, Ucciero, Rv. 255346, secondo cui deve attribuirsi valore di normativa secondaria al codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze, adottato il 4 aprile 2007 e ritenuto idoneo dalla Commissione di garanzia con Delib. 13 dicembre 2007. Il giudice, pertanto, nella verifica del corretto esercizio del diritto di astensione, ha l’obbligo di prendere in considerazione anche le disposizioni del predetto codice, tra cui quelle dell’articolo 3, che fissano i termini e le modalita’ per la presentazione delle dichiarazioni di astensione, senza alcuna distinzione tra le udienze a partecipazione necessaria del difensore e quelle a partecipazione facoltativa.

L’ordinanza di rimessione, quindi, prospetta la necessita’ di un intervento delle Sezioni Unite a fronte di tale radicale contrasto, concernente peraltro il regolamento di diritti di rilievo costituzionale, contrasto ancor piu’ di recente ribadito dalla sentenza della Sez. 3, n. 19856 del 19/03/2014, Pierri, Rv. 259439-259440, che ha confermato il diritto del difensore di astenersi anche nelle udienze il cui la sua partecipazione e’ facoltativa.

6. In data 29 luglio 2014, il Procuratore generale ha depositato atto di integrazione della precedente requisitoria scritta, ribadendo la richiesta di rigetto del ricorso, ma con una diversa motivazione.

In particolare, il Procuratore generale ritiene ormai convincente la svolta interpretativa inaugurata dalle Sezioni Unite con la sentenza Ucciero e dalla Sez. 6 con la sentenza n. 1826 del 2014, sia in relazione alla natura di vero e proprio diritto costituzionalmente garantito, che deve essere riconosciuto all’astensione forense, sia in ordine alla attribuzione di valore di normativa secondaria ai codici di autoregolamentazione, che il giudice non puo’ quindi disattendere.

Il P.g., peraltro, evidenzia un profilo di criticita’ in relazione alla possibilita’ di ritenere che la normativa secondaria posta dal codice di autoregolamentazione possa “modificare una norma primaria come l’articolo 127 c.p.p., comma 3 che rende irrilevante la presenza delle parti nel rito camerale”. Del resto, lo stesso richiamo al “legittimo impedimento”, contenuto nell’articolo 3 del codice autoregolamentazione, appare ora dissonante da quanto ormai affermato dalla giurisprudenza di legittimita’.

Il P.g., inoltre, mette in rilievo l’irragionevolezza della conseguenza di ammettere il rinvio per astensione anche nelle situazioni (come l’udienza camerale) in cui e’ esclusa la possibilita’ per il difensore di chiedere un rinvio per un proprio legittimo impedimento.

Secondo il P.g., peraltro, queste discrasie non sono tali da poter incrinare la consistenza del nuovo indirizzo interpretativo.

Con riferimento specifico alla concreta fattispecie in esame, pero’, il P.g. richiama un altro principio, recentemente affermato (da Sez. 6, n. 43213 del 12/07/2013, Arangio, Rv. 257105), secondo cui l’astensione del difensore di parte civile, pur contemplata dal codice di autoregolamentazione, da diritto al rinvio solo se l’imputato, anche tramite il proprio difensore, non manifesti (come invece e’ avvenuto nella specie) un interesse alla celere definizione del procedimento. Tale soluzione, secondo il P.g., trova conforto anche nell’irrilevanza dell’impedimento del difensore di parte civile, secondo l’interpretazione dell’articolo 420-ter cod. proc. pen. operata dalla giurisprudenza. Nella stessa direzione, inoltre, depongono sia l’articolo 23 disp. att. cod. proc. pen., il quale esclude che l’assenza delle parti private diverse dall’imputato possa determinare la sospensione o il rinvio del dibattimento, sia il rilievo che, in caso di astensione del solo difensore della persona offesa, “non vi sarebbe ne’ la sospensione dei termini di prescrizione ne’ di quelli di custodia cautelare (i contrappesi che bilanciano l’esercizio del diritto del difensore di astenersi) con una ricaduta sulla speditezza del processo e sulla ragionevole durata dello stesso non neutralizzabile”.

7. In data 14 ottobre 2014 i difensori dei ricorrenti avv. (OMISSIS) e avv. (OMISSIS) hanno depositato una nuova memoria ex articolo 611 cod. proc. pen. con cui replicano alle argomentazioni svolte dal Procuratore generale, in relazione sia alle criticita’ riscontrabili aderendo al piu’ recente orientamento, sia alla ritenuta necessita’ di far prevalere, comunque, l’interesse dell’imputato, manifestato anche attraverso il suo difensore, ad una celere definizione del procedimento.

I ricorrenti richiamano innanzitutto i principi espressi dalla recente sentenza delle Sezioni Unite, n. 40187 del 27/03/2014, Lattanzio, sia sulla valenza normativa da riconoscersi alle disposizioni del codice di autoregolamentazione, sia sul bilanciamento, realizzato dal legislatore e dalle fonti secondarie, tra i contrapposti diritti di rilevanza costituzionale che vengono in rilievo (spettando al giudice, normalmente, il solo accertamento della conformita’ dell’esercizio dell’astensione alla predetta normativa). Tali principi rendono ormai indiscutibile il diritto del difensore di aderire all’astensione di categoria anche nelle udienze camerali a partecipazione facoltativa.

Quanto alle criticita’ segnalate dal Procuratore generale, i ricorrenti osservano, per un verso, che proprio le motivazioni della sentenza Lattanzio (secondo cui le norme del codice di autoregolamentazione costituiscono vere e proprie norme di diritto oggettivo e rientrano tra le “norme di legge” cui il giudice e’ soggetto ai sensi dell’articolo 101 Cost.) dovrebbero far ritenere ormai superate le perplessita’ imperniate sull’articolo 127 c.p.p., comma 3.

Per un altro verso, la lamentata irrazionalita’ del diverso trattamento riservato dalla nuova impostazione all’astensione e al legittimo impedimento del difensore, andrebbe superata anch’essa in forza delle argomentazioni della sentenza Lattanzio, soprattutto in relazione all’affermata insussistenza, nell’attuale assetto normativo, di un potere discrezionale del giudice volto a limitare l’esercizio del diritto di astenersi.

Infine, in relazione alla ritenuta necessita’ di far comunque prevalere l’interesse dell’imputato ad una celere definizione del procedimento, i ricorrenti contestano l’applicabilita’, nella fattispecie concreta, dell’indirizzo secondo cui l’esercizio del diritto di astenersi da diritto al rinvio “solo se l’imputato, anche tramite il proprio difensore, non manifesti l’interesse ad una celere definizione del procedimento”. In particolare, ricordano che, nell’udienza del 17 novembre 2011, il difensore degli imputati, dopo il rigetto da parte del G.i.p. della richiesta congiunta di rinvio, aveva “rinunciato” alla propria dichiarazione di astensione ed aveva chiesto di discutere nel merito. Secondo i ricorrenti, in tale “rinuncia” (in realta’ riconducibile piuttosto ad una “revoca”) era impossibile individuare, in modo certo ed inequivoco, l’emersione di un interesse degli indagati alla celere trattazione del procedimento a loro carico, proprio perche’ il difensore si era limitato a “rinunciare” alla propria astensione, senza dire alcunche’ in ordine all’eventuale interesse sotteso a tale dichiarazione. A sostegno di questa opzione interpretativa, i ricorrenti richiamano l’articolo 4 del codice di autoregolamentazione, che vieta l’astensione nei processi in cui l’imputato detenuto chieda “espressamente” che si proceda, nonostante l’astensione del proprio difensore.

Ulteriore memoria dei medesimi difensori e’ pervenuta in cancelleria il 27 ottobre 2014.

8. Con decreto in data 12 maggio 2014, il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite penali.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La questione di diritto sottoposta alle Sezioni Unite e’ stata cosi’ sintetizzata dall’Ufficio del Massimario: “Se, in relazione alle udienze camerali, in cui la partecipazione delle parti non e’ obbligatoria, il giudice sia tenuto a disporre il rinvio della trattazione in presenza della tempestiva dichiarazione di astensione del difensore legittimamente proclamata dagli organismi di categoria”.

2. La questione va esaminata alla luce dei rilevanti mutamenti normativi introdotti dal legislatore – su sollecitazione ed indicazione delle sentenze della Corte costituzionale n. 114 del 1994 e n. 171 del 1996 – con la Legge 11 aprile 2000, n. 83, che ha inserito la Legge 12 giugno 1990, n. 146, articolo 2-bis e dei conseguenti nuovi principi e norme attualmente vigenti nella materia dell’astensione collettiva degli avvocati, di cui le Sezioni Unite hanno gia’ dato atto con la sentenza n. 26711 del 30/05/2013, Ucciero, Rv. 255346 e, ancor piu’ ampiamente e dettagliatamente, con la recente sentenza n. 40187 del 27/03/2014, Lattanzio, Rv. 259926-259927.

Sara’ pertanto qui sufficiente ricordare, fra i principi enunciati dalle suddette sentenze, quelli che piu’ rilevano in relazione alla presente questione, rinviando, per brevita’, alle loro motivazioni per un maggiore approfondimento.

2.1. In riferimento all’evoluzione normativa, la sentenza Lattanzio ha ricordato che la Corte costituzionale, gia’ con la sentenza n. 114 del 1994, aveva sottolineato la situazione di grave disagio derivante dalla mancanza di specifiche norme che regolassero l’incidenza sui procedimenti giudiziari, specialmente penali, dell’astensione della classe forense (non essendo evidentemente sufficienti e soddisfacenti a tal fine le norme dei codici di rito), ed aveva ritenuto necessario ed auspicato un intervento del legislatore, invitandolo a dettare specifiche previsioni sulla falsariga di quelle della Legge 12 giugno 1990, n. 146, recante norme sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali.

Essendo rimasto inascoltato tale invito, la Corte costituzionale intervenne di nuovo con la sentenza di accoglimento n. 171 del 1996 che dichiaro’ l’incostituzionalita’ di alcune disposizioni della Legge n. 146 del 1990, articolo 2, commi 1 e 5, nella parte in cui non prevedevano, in caso di astensione collettiva degli avvocati dall’attivita’ giudiziaria, specifici strumenti e procedure idonei, da un lato, ad individuare quali fossero le prestazioni essenziali e, dall’altro, ad assicurare tali prestazioni. Secondo la sentenza (additiva di principio) della Corte costituzionale, dunque, era il legislatore a dover prevedere (precisamente attraverso i meccanismi gia’ indicati nella Legge n. 146 del 1990, per l’esercizio del diritto di sciopero) nuovi specifici strumenti idonei ad individuare ed assicurare le prestazioni giudiziarie essenziali. La sentenza n. 171, poi, riconobbe che l’astensione degli avvocati, pur non rientrando nell’ambito del diritto di sciopero, costituisce espressione di un diritto costituzionale compreso in un’area connessa alla liberta’ di associazione (piu’ estesa rispetto allo sciopero) e, quindi, manifestazione della dinamica associativa volta alla tutela di quella forma di lavoro autonomo. Si tratta quindi di un vero e proprio diritto costituzionale, che non puo’ essere ridotto “a mera facolta’ di rilievo costituzionale”.

Il legislatore ordinario ha ottemperato alle indicazioni della sentenza n. 171 del 1996 con la Legge 11 aprile 2000, n. 83, che ha introdotto specifiche disposizioni nella Legge n. 146 del 1990. L’articolo 2-bis, tra l’altro, prevede che la Commissione di garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali (istituita in forza della Legge n. 146, articolo 12) promuove l’adozione, da parte degli organismi di rappresentanza delle categorie interessate, di codici di autoregolamentazione che realizzino, in caso di astensione collettiva, il contemperamento con i diritti essenziali della persona relativi al godimento dei servizi pubblici essenziali, di cui all’articolo 1. Questi codici, per acquistare efficacia generale, devono essere valutati e dichiarati idonei dalla Commissione. Se essi manchino o non siano valutati idonei, la Commissione, sentite le parti interessate, “Delib. la provvisoria regolamentazione”. L’articolo 2-bis, comma 1 peraltro, individua il contenuto minimo di garanzie e di prestazioni che i codici di autoregolamentazione devono comunque assicurare e prevede anche un sistema sanzionatorio. Il legislatore del 2000, dunque, seguendo le stringenti e vincolanti indicazioni della sentenza costituzionale di accoglimento, ha dettato una specifica disciplina dell’astensione forense, predisponendo un sistema in cui il contemperamento tra gli interessi di rilevanza costituzionale in gioco e l’individuazione delle prestazioni indispensabili da assicurare in ogni caso nei servizi pubblici essenziali, durante le astensioni collettive dal lavoro di questi professionisti, sono rimessi a codici di autoregolamentazione predisposti dagli organismi rappresentativi di categoria ed approvati dalla Commissione di garanzia o, in mancanza, alla “regolamentazione provvisoria”; cio’ analogamente a quanto accade per gli altri tipi di astensione collettiva dal lavoro nei servizi pubblici essenziali.

Stante il mancato accordo con gli organismi di rappresentanza dell’avvocatura, la Commissione di garanzia adotto’ la regolamentazione provvisoria con Delib. 4 luglio 2002, pubblicata sulla G.U. del 23 luglio 2002.

Con Delib. 13 dicembre 2007, pubblicata sulla G.U. del 4 gennaio 2008, la Commissione valuto’ idoneo il nuovo codice di autoregolamentazione attualmente vigente, ed il meccanismo ordinario di regolamentazione introdotto dalla Legge n. 83 del 2000 e’ diventato finalmente operativo. In ottemperanza alle prescrizioni di tale legge, l’articolo 4 del codice individua le prestazioni indispensabili da assicurare nei procedimenti penali, mentre l’articolo 3 prevede i presupposti e gli effetti di una legittima astensione.

2.2. Per quanto concerne la natura giuridica dell’astensione, la cita sentenza Lattanzio delle Sezioni Unite ha innanzitutto ricordato che la giurisprudenza piu’ risalente aveva assimilato il fenomeno dell’astensione al legittimo impedimento, ma che questa ricostruzione e’ stata risolutamente abbandonata dalla giurisprudenza piu’ recente, consolidatasi nell’escludere radicalmente la riconducibilita’ dell’astensione nell’ambito del legittimo impedimento, essendo del tutto libera la scelta del difensore di aderire o meno alla protesta di categoria, con la conseguenza che nel caso di rinvio per astensione la sospensione della prescrizione non e’ limitata a sessanta giorni ma opera per l’intero periodo di rinvio. Cio’ precisato, la sentenza Lattanzio ha motivatamente condiviso l’orientamento della Corte costituzionale e della quasi unanime dottrina, che qualificano l’astensione forense come esercizio di un vero e proprio diritto costituzionale, e non di una mera liberta’, ricordando anche l’osservazione dottrinale secondo cui in tanto il legislatore ha potuto contemperare l’esercizio di determinate astensioni collettive con una serie di diritti costituzionalmente garantiti della persona, in quanto e’ partito dal necessario presupposto logico e giuridico che anche le prime configurino situazioni giuridiche comparabili con i secondi. Ed ha fermamente sottolineato che, anche se si aderisse alle ricostruzioni dottrinali che individuano il fondamento costituzionale dell’astensione in disposizioni della Costituzione ulteriori rispetto all’articolo 18, resta comunque ferma la qualificazione dell’astensione forense “non gia’ come una mera liberta’, bensi’ come esercizio di un vero e proprio diritto avente un sicuro fondamento costituzionale”. La sentenza ha quindi pienamente confermato il principio, gia’ enunciato dalla sentenza Ucciero, che l’astensione collettiva degli avvocati dall’attivita’ giudiziaria costituisce “un diritto, e non semplicemente un legittimo impedimento partecipativo”. Del resto, se e’ vero che, attesa la qualifica di liberi professionisti, non potrebbe a rigore parlarsi di diritto di sciopero, e’ anche vero che si tratterebbe comunque – almeno per i profili che qui rilevano – di un diritto ad esso assimilabile, tanto che per tutte le astensioni collettive le limitazioni sono previste in relazione ai servizi pubblici ed ai diritti fondamentali su cui incidono e non alla norma costituzionale sui cui si fondano (articolo 40 o articolo 18 Cost. o altro).

2.3. Per quanto concerne la questione della natura giuridica e dell’efficacia (vincolante erga omnes o meno) della regolamentazione provvisoria e del codice di autoregolamentazione valutato idoneo dalla Commissione di garanzia, o, in altri termini, la questione della forza e del valore delle norme poste da questi atti normativi, la sentenza Lattanzio ha sottolineato il radicale mutamento intervenuto con la Legge n. 83 del 2000.

Nel sistema originario della Legge n. 146 del 1990, i codici di autoregolamentazione dell’astensione forense erano uno strumento eventuale ed avevano efficacia meramente endoassociativa, e quindi non vincolavano giudice procedente, che restava soggetto unicamente alle norme dei codici di rito. La stessa sentenza della Corte costituzionale n. 114 del 1994 aveva osservato che una nuova regolamentazione legislativa era ormai indilazionabile proprio perche’ i codici di autoregolamentazione, nel sistema normativo dell’epoca, non avevano efficacia generale. Ed aveva quindi chiaramente auspicato che l’invocato intervento legislativo delineasse un sistema normativo in cui la regolamentazione delle prestazioni essenziali in caso di astensione fosse posta da norme aventi “efficacia generale”, ossia da norme di diritto oggettivo.

La situazione e’ radicalmente mutata con le nuove disposizioni introdotte nel testo della Legge n. 146 del 1990 dalla Legge n. 83 del 2000, che hanno reso ormai legislativamente superato l’indirizzo (fondato su una lettura parziale della sentenza costituzionale n. 171 del 1996 e su precedenti giurisprudenziali anteriori alle riforme legislative, della cui portata non potevano ovviamente tenere conto) secondo cui i codici di autoregolamentazione avevano carattere non vincolante essendo rimasto al giudice procedente un autonomo potere di bilanciamento degli interessi in gioco. Le Sezioni Unite hanno preso atto del nuovo articolato sistema normativo gia’ con la sentenza Ucciero, la quale ha riconosciuto espressamente che le norme dei codici di autoregolamentazione hanno “valore di normativa secondaria” alla quale il giudice deve obbligatoriamente conformarsi, dal momento che la Legge n. 83 del 2000 e’ stata emanata – secondo le indicazioni della Corte costituzionale – proprio al fine di contemperare le esigenze di bilanciamento tra le contrapposte esigenze, prevedendo specificamente, a questo scopo, l’emanazione di appositi codici di autoregolamentazione. Il valore precettivo erga omnes delle norme contenute nel codice di autoregolamentazione, da qualificare come fonte secondaria, e’ stato poi riconosciuto da numerose sentenze successive delle sezioni semplici, e quindi definitivamente e con decisione ribadito dalla sentenza Lattanzio. Quest’ultima ha ulteriormente precisato che il legislatore primario del 2000, dopo aver direttamente fissato con legge la normativa generale sull’astensione dal lavoro dei professionisti che interferisca con pubblici servizi essenziali, “ha previsto che la normativa secondaria e di dettaglio, di rango regolamentare, sia attribuita alla competenza di una specifica fonte, appositamente creata” (i codici di autoregolamentazione dichiarati idonei). Si tratta della “speciale fonte normativa alla quale le norme di rango legislativo sulla produzione hanno attribuito la specifica competenza a porre la disciplina secondaria della materia”, con la conseguenza che le norme da essa poste sono, a tutti gli effetti, vere e proprie norme di “diritto oggettivo”. Ne deriva che la loro violazione puo’ essere oggetto di ricorso per cassazione per violazione di “legge”, mentre la loro interpretazione deve avvenire secondo i canoni di cui all’articolo 12 preleggi.

2.4. Sulla questione dell’esistenza di un residuo potere giudiziale di bilanciamento tra i valori di rilievo costituzionale in gioco, la sentenza Lattanzio ha precisato che il legislatore ha approntato un sistema “idoneo ad operare esaurientemente il bilanciamento” tra il diritto costituzionale all’astensione e gli altri diritti e valori costituzionali individuati da dottrina e giurisprudenza, tra cui il principio di ragionevole durata del processo (il quale, peraltro, e’ stato “chiaramente ritenuto dal legislatore non idoneo di per se solo, a giustificare una valutazione discrezionale del giudice e ad escludere o limitare l’esercizio del diritto costituzionale del difensore all’astensione”). Il giudice, invece, ha il potere di accertare la ritualita’ dell’astensione nonche’ di operare, se occorre, un interpretazione anche in chiave sistematica o adeguatrice delle norme primarie e secondarie rilevanti, “in modo che il risultato della interpretazione sia il piu’ possibile conforme ai principi e valori costituzionali di cui si sta discutendo”, sempre pero’ che l’eventuale interpretazione adeguatrice non si ponga in contrasto con la lettera della disposizione, primaria o secondaria, o con la ratio della soluzione normativa. Un potere giudiziale di bilanciamento potrebbe riemergere solo in situazioni del tutto eccezionali, quali il venir meno della normativa secondaria o l’emersione di ulteriori valori costituzionali, non considerati nell’intervento normativo di bilanciamento.

2.5. Gli enunciati contenuti nelle due ricordate sentenze delle Sezioni Unite chiariscono anche i rapporti tra le norme del codice di autoregolamentazione e quelle dei codici di rito. Difatti, proprio perche’ si e’ riconosciuto che le generali disposizioni dei codici di procedura non disciplinano la speciale materia dell’astensione collettiva degli avvocati e che le stesse non sono nemmeno idonee a regolarla in via analogica, il legislatore ordinario del 2000 (su precisa indicazione della sentenza costituzionale n. 171 del 1996) ha riservato alla specifica fonte secondaria costituita dal codice di autoregolamentazione (o dalla regolamentazione provvisoria) la competenza a porre norme speciali per la disciplina di questa materia?.

Non avrebbe percio’ senso ritenere che le norme del codice di autoregolamentazione non potrebbero trovare applicazione qualora fossero non coerenti con le generali norme del codice di procedura in tema di legittimo impedimento. Innanzitutto perche’ un vero e proprio contrasto, tale da dar luogo ad una antinomia reale, tra i due tipi di norme non e’ logicamente e giuridicamente configurabile, dal momento che le due diverse fonti regolano materie, situazioni e fattispecie diverse. In secondo luogo perche’, a ben vedere, anche il codice di autoregolamentazione contiene norme di procedura, individuando le attivita’ processuali indispensabili ed urgenti e disciplinando la partecipazione al processo di soggetti necessari, quali i difensori, e l’esercizio del diritto di difesa. In ogni caso deve considerarsi che e’ fisiologico che le norme speciali non siano perfettamente sovrapponibili a quelle generali del codice di procedura, dato che la loro finalita’ e’ proprio quella di dettare – nel caso in esame in forza delle previsioni della legge ordinaria n. 83 del 2000 – una disciplina differente da quella ordinaria: per l’ipotesi, appunto, di astensione collettiva degli avvocati legittimamente proclamata. Se tali norme potessero essere disapplicate solo perche’ non contemplate da quelle ordinarie di rito, le stesse finirebbero per non applicarsi mai, il che varrebbe a considerarle di nuovo norme aventi valore meramente endoassociativo, in totale contrasto con i ricordati interventi della Corte costituzionale e del legislatore ordinario.

Come gia’ precisato dalla sentenza Lattanzio, si tratta di norme poste da una fonte, sia pure secondaria, a cui il legislatore ordinario ha attribuito la specifica competenza a disciplinare la particolare materia delle astensioni collettive forensi, nonche’ di norme che, ovviamente, hanno contenuto e natura di norme speciali rispetto alle norme generali dei codici di procedura. Gli eventuali discostamenti rispetto a quest’ultime devono quindi, di regola, trovare soluzione con l’applicazione del criterio di competenza o di quello di specialita’, piuttosto che semplicisticamente di quello gerarchico. Del resto, e’ caratteristica propria ed essenziale delle norme speciali quella di essere non collimanti con le norme generali, tanto che si suole dire che la loro non conformita’ da luogo solo ad una antinomia apparente, che si risolve sul piano della interpretazione.

Invero, se il legislatore ordinario (la Legge n. 83 del 2000) ha ritenuto che una specifica categoria di rapporti (l’astensione collettiva degli avvocati) ha un rilievo tale (esercizio di un diritto costituzionale) da meritare una disciplina speciale (codice di autoregolamentazione) diversa da quella generale (le norme del codice di procedura), e’ evidente che il legislatore ordinario ha voluto che questa fascia di rapporti sia sottratta alla disciplina generale e soggetta a quella speciale. Il che costituisce nient’altro che applicazione del principio costituzionale di eguaglianza, per come costantemente interpretato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale.

Trattandosi peraltro di fonte di rango secondario (ancorche’ di fonte alla quale la legge ordinaria ha attribuito una competenza riservata) le sue norme potranno eventualmente essere disapplicate qualora intervenga un’altro atto avente forza di legge che contenga norme con esse puntualmente ed insanabilmente inconciliabili, ossia una norma di legge che regoli qualche aspetto dell’astensione collettiva forense in modo diverso e incompatibile. Per quanto concerne i rapporti con le preesistenti norme di procedura, la prevalenza di quest’ultime potrebbe essere riconosciuta soltanto nell’ipotesi in cui tra le due norme vi fosse una antinomia reale o propria (e non solo apparente o impropria) talmente puntuale da far si’ che non possano piu’ ritenersi operanti ne’ il criterio di competenza ne’ quello di specialita’. Dovrebbe cioe’ verificarsi che la norma generale di procedura, in puntuale contrasto con quella speciale, sia in modo inequivocabile diretta a disciplinare anche la fascia di rapporti oggetto d disciplina speciale. In altri termini, secondo i principi generali sui rapporti tra le diverse fonti del nostro ordinamento, una norma speciale del codice di autoregolamentazione potra’ essere ritenuta illegittima per contrasto con una generale di procedura, soltanto quando risulti, in modo espresso o inequivoco, che essa sia diretta a disciplinare non solo la generalita’ dei rapporti processuali, ma anche lo specifico rapporto dato dall’astensione collettiva degli avvocati. Deve cioe’ risultare in modo inequivoco che il legislatore ordinario abbia voluto sottrarre quello specifico rapporto dell’astensione forense alla disciplina speciale, per assoggettarlo a quella generale della norma di rito.

3. Alla luce dei ricordati principi e norme integranti il vigente sistema normativo che disciplina l’astensione collettiva forense, la questione proposta con l’ordinanza di rimessione deve trovare soluzione nelle specifiche norme di diritto oggettivo che prevedono e regolano il caso specifico e che le Sezioni Unite, come ogni giudice, sono tenute ad applicare, non prospettandosi nella specie motivi di illegittimita’ delle norme secondarie che vengono in rilievo o dubbi di illegittimita’ costituzionale delle norme di legge ordinaria che ne costituiscono il fondamento.

Ed invero, sin dalle loro prime manifestazioni le fonti secondarie competenti contenevano norme che hanno espressamente previsto e disciplinato il caso. Difatti, l’articolo 2, comma 2, della regolamentazione provvisoria dell’astensione collettiva degli avvocati adottata dalla Commissione di garanzia con Delib. 4 luglio 2002, stabiliva che, nel procedimento penale, il difensore che non intendesse aderire all’astensione era tenuto a comunicare prontamente tale sua decisione all’autorita’ giudiziaria procedente e agli altri difensori costituiti: ponendo quindi una sorta di “presunzione di adesione” alle agitazioni di categoria regolarmente indette. Peraltro, l’articolo 2, comma 4, escludeva l’operativita’ di questa presunzione “per le udienze che possono celebrarsi anche in assenza del difensore”. Questa disposizione, con tutta evidenza – come gia’ ricordato dalla sentenza Lattanzio – presupponeva la possibilita’ ed il diritto del difensore di astenersi anche nelle udienze a partecipazione non necessaria.

Il principio e’ stato ribadito dal vigente codice di autoregolamentazione dichiarato idoneo dalla Commissione di garanzia con Delib. 13 dicembre 2007, pubblicato sulla G.U. del 4 gennaio 2008, il quale all’articolo 3, comma 1, prevede che “la mancata comparizione dell’avvocato all’udienza o all’atto di indagine preliminare o a qualsiasi altro atto o adempimento per il quale sia prevista la sua presenza, ancorche’ non obbligatoria, affinche’ sia considerata in adesione all’astensione regolarmente proclamata ed effettuata ai sensi della presente disciplina” deve essere dichiarata all’inizio dell’udienza o comunicata alla cancelleria ed agli altri avvocati costituiti almeno due giorni prima. E’ quindi indubitabile che anche tale norma prevede la facolta’ per il difensore di astenersi nelle udienze camerali a partecipazione non necessaria.

4. Questa conclusione – normativamente imposta – e’ stata gia’ adottata, sulla base dei principi affermati dalla sentenza Ucciero, da diverse decisioni delle Sezioni semplici (cfr. Sez. 6, n. 1826 del 24/10/2013, dep. 2014, S., Rv. 258336; Sez. 1, n. 14775 del 12/03/2014, Lapresa, Rv. 259438; Sez. 3, n. 19856 del 19/03/2014, Pierri, Rv. 259439-259440; Sez. 1, n. 18133 del 04/03/2014, Albini, non mass.; Sez. 6, n. 18753 del 16/04/2014, Adem, Rv. 259199) e condivisa dalla citata sentenza Lattanzio.

Peraltro, come rileva l’ordinanza di rimessione, non sono mancate – prima delle due ultime sentenze delle Sezioni Unite – decisioni in senso contrario. Deve invero ricordarsi che le Sezioni Unite, con la sentenza n. 7551 del 08/04/1998, Cerroni, Rv. 210795 – in un caso di giudizio abbreviato in appello in cui il difensore aveva chiesto un rinvio per adesione all’astensione di categoria – esclusero che le disposizioni dell’allora vigente articolo 486 c.p.p., comma 5 fossero applicabili ai procedimenti trattati in camera di consiglio con le forme dell’articolo 127 cod. proc. pen. (tra cui il rito camerale d’appello) nei quali assumeva rilievo soltanto l’impedimento dell’imputato che aveva chiesto di essere sentito o manifestato la volonta’ di comparire. Le argomentazioni svolte da questa decisione devono pero’, con riferimento al caso in esame, considerarsi ormai obsolete e non rilevanti, perche’ si riferivano ad un quadro normativo completamente superato, specie a seguito delle riforme introdotte dalla Legge n. 83 del 2000.

La successiva sentenza delle Sezioni Unite, n. 31461 del 27/06/2006, Passamani, Rv. 234146, si e’ invece occupata di una questione diversa, ossia se il legittimo impedimento del difensore, per concomitante impegno professionale, possa costituire causa di rinvio dell’udienza camerale anche dopo la riforma dell’articolo 111 Cost. e dopo l’entrata in vigore della Legge 16 dicembre 1999, n. 479, che ha abrogato l’articolo 486 cod. proc. pen. e introdotto, in suo luogo, l’articolo 420-ter, rendendo applicabili le sue norme all’udienza preliminare. La sentenza non si e’ invece occupata in alcun modo dell’astensione collettiva dei difensori dalle udienze camerali a partecipazione non necessaria, tanto che ha rilevato che, nel caso esaminato, il contraddittorio era stato esaurientemente garantito sia dalla presenza di un sostituto nominato dal giudice sia dalla possibilita’ del difensore di fiducia di officiare un suo sostituto. Proprio perche’ esulavano totalmente dal tema sottopostole, la sentenza non ha ovviamente preso in considerazione le norme della Legge n. 83 del 2000 e quelle della regolamentazione provvisoria all’epoca vigente. Le argomentazioni della sentenza Passamani sono quindi irrilevanti per la questione qui in esame.

5. Nella giurisprudenza delle sezioni semplici, la gran parte delle decisioni che, dopo la riforma legislativa del 2000, hanno escluso la possibilita’, per l’avvocato, di ottenere il rinvio per adesione all’astensione nelle udienze camerali non regolate dall’articolo 420-ter cod. proc. pen. si sono fondate sull’irrilevanza, in tali udienze, del legittimo impedimento del difensore. Cosi’, per l’udienza camerale di appello nel giudizio abbreviato, si e’ detto che, trattandosi di rito disciplinato dagli articoli 599 e 127 cod. proc. pen., la nullita’ del procedimento per mancata comparizione del difensore consegue solo al difetto di notifica dell’avviso di fissazione di udienza (cfr. Sez. 6, n. 40542 del 23/09/2004, Di Gregorio, Rv. 230260; Sez. 5, n. 36623 del 16/07/2010, Borra, Rv. 248435; Sez. 4, n. 33392 del 14/07/2008, Menoni, Rv. 240901; Sez. 4, n. 20576 del 17/03/2005, Arenzani, Rv. 231360). Nello stesso senso, il rinvio derivante da legittimo impedimento o anche da dichiarazione di astensione e’ stato escluso con riferimento agli altri procedimenti camerali disciplinati dall’articolo 127 cod. proc. pen., per la ragione che il contraddittorio e’ assicurato, quanto al difensore, dalla notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza, con la conseguente irrilevanza dell’assenza del difensore stesso, anche se causata da un legittimo impedimento (cfr. Sez. 6, n. 14396 del 19/02/2009, Leoni, Rv. 243263; Sez. 2, n. 8060 del 07/02/2014, Peverelli, non mass.). Per i procedimenti camerali a partecipazione necessaria non disciplinati dall’articolo 420-ter cod. proc. pen., si possono ricordare Sez. 1, n. 32955 del 13/02/2002, Scarlino, Rv. 222236 (per il procedimento di esecuzione); Sez. 2, n. 44357 del 11/11/2005, Vara, Rv. 233166; Sez. 5, n. 7433 del 27/09/2013, dep. 17/02/2014, Canarelli, Rv. 259509 (per il procedimento per l’applicazione di misure di prevenzione); Sez. 1, n. 5722 del 20/12/2012, dep. 2013, Morano, Rv. 254807 (per il procedimento dinanzi al tribunale di sorveglianza). Ovviamente, l’adesione all’astensione e’ stata ritenuta irrilevante nel caso in cui il procedimento dinanzi alla Corte di cassazione si svolga, ai sensi dell’articolo 611 cod. proc. pen., in camera di consiglio in cui non e’ previsto l’intervento delle parti (Sez. 2, n. 9775 del 22/11/2012, dep. 2013, Abbaco, Rv. 255353).

Alcune fra le recenti decisioni, anche successive alla sentenza Ucciero, che hanno escluso la rilevanza dell’astensione forense nelle udienze camerali non disciplinate dall’articolo 420-ter cod. proc. pen., si sono limitate a ribadire il vecchio percorso argomentativo imperniato sulla inapplicabilita’ del legittimo impedimento alle udienze camerali (cfr. Sez. 5, n. 28500 del 27/02/2014, Giovannucci, non mass.; Sez. 6, n. 44958 del 16/05/2013, Signorello, non mass.; Sez. 7, n. 33579 del 28/05/2014, Parise, non mass., che si fonda sul fatto che l’orientamento prescelto risultava “maggioritario”).

Altre decisioni, invece, hanno espressamente disatteso le argomentazioni difensive che si fondavano sulla rilevanza costituzionale dell’astensione forense, ovvero sulla natura vincolante delle disposizioni del codice di autoregolamentazione.

In particolare, con riguardo alla natura di diritto costituzionale dell’astensione forense, si e’ ancora affermato che il diritto di difesa dell’imputato non risulta leso dalla trasmutazione in cartolare del contraddittorio originata dall’adesione del difensore all’astensione, perche’ il diritto di sciopero potrebbe tutt’al piu’ assumere significanza nel rapporto civilistico tra mandante e difensore (Sez. 3, n. 11545 del 05/02/2014, Mbengue, non mass.); che la “liberta’” di astenersi e’ ben diversa dal diritto di sciopero, e trova un limite nei principi posti a tutela della giurisdizione, tra cui quello della ragionevole durata del processo, sicche’ il suo esercizio puo’ avere effetto nel procedimento penale solo quando si traduca in un impedimento a comparire e nei limiti in cui tale impedimento sia legittimo e rilevante (Sez. 5, n. 7433 del 27/09/2013, dep. 2014, Canarelli, Rv 259509); che l’articolo 18 Cost. non e’ pregiudicato dal rigetto dell’istanza di rinvio per adesione all’astensione, perche’ la liberta’ di associazione non e’ in concreto limitata (Sez. 2, n. 44958 del 22/10/2013, Carrara, non mass.); che l’adesione del difensore all’astensione non puo’ costituire causa di rinvio, ne’ sotto il profilo del “legittimo impedimento” ne’ sotto quello dell’esercizio di un “diritto di liberta’” riconducibile all’articolo 18 Cost. (Sez. 5, n. 39463 del 17/05/2013, Gulla’, non mass.).

Con riguardo poi alla natura vincolante delle norme del codice di autoregolamentazione, si e’ detto ancora che tali norme nulla dispongono ne’ potrebbero disporre circa la rilevanza che assume l’assenza del difensore, in occasione di astensione collettiva, nei procedimenti camerali in cui la sua presenza non e’ obbligatoria (Sez. 6, n. 14396 del 19/02/2009, Leoni, Rv. 243263, cit.); che l’indirizzo tradizionale non potrebbe essere contrastato in base alle disposizioni del codice di autoregolamentazione che “si limitano a delineare i casi di legittima astensione da parte dei difensori dall’attivita’ di udienza, esentandoli quindi dalla sottoposizione ad eventuali sanzioni penali e disciplinari, ma che non introducono una specifica disciplina processuale, non impongono il rinvio obbligatorio dell’udienza camerale e non consentono di superare la previsione dell’articolo 127 cod. proc. pen. circa la facoltativita’ della partecipazione del difensore all’udienza” (Sez. 2, n. 8060 del 07/02/2014, Peverelli, non mass.; Sez. 1, n. 5722 del 20/12/2012, dep. 2013, Morano, non mass. sul punto); che, stante l’inapplicabilita’ dell’articolo 420-ter, e’ irrilevante il codice di autoregolamentazione perche’ le sue norme devono ritenersi riferite alle ipotesi nelle quali la presenza del difensore sia indispensabile, si’ che il giudice non puo’ negare al difensore, se presente, il diritto al rinvio (Sez. 7, n. 26282 del 20/12/2012, dep. 2013, Iyen, non mass.).

Non e’ poi mancata qualche decisione che ha motivato il rigetto della richiesta di rinvio per astensione affermando ancora che di fronte, da un lato, ad una mera “liberta’” di astenersi riconducibile al diritto di associazione ex articolo 18 Cost. (e non al diritto di sciopero) e, dall’altro, ai diritti fondamentali degli utenti della funzione giudiziaria ed ai principi fondamentali posti a tutela della giurisdizione (tra cui la ragionevole durata del processo), il giudice potrebbe esercitare la propria discrezionalita’ e contemperare le ragioni di opportunita’ del rinvio derivanti dal legittimo esercizio del diritto di astensione e l’interesse pubblico all’immediata celebrazione del processo (Sez. 4, n. 988 del 17/12/2013, dep. 2014, Adinolfi, Rv. 259437).

6. Da quanto ricordato, emerge che l’orientamento volto ad escludere la rilevanza dell’astensione forense nelle udienze camerali a partecipazione non necessaria si fonda essenzialmente su due cardini argomentativi: da un lato, la ritenuta inapplicabilita’ a tali udienze delle disposizioni sul legittimo impedimento del difensore (con un’implicita riconduzione, evidentemente, dell’astensione forense nell’alveo di tale istituto); dall’altro, la ritenuta irrilevanza delle disposizioni emanate ai sensi della novellata legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali e la ritenuta natura di mera “liberta’” del diritto all’astensione.

Ora, non puo’ essere condivisa nessuna delle varie argomentazioni svolte dalle decisioni che hanno negato la natura dell’astensione forense come esercizio di un vero e proprio diritto costituzionale, pari agli altri diritti e valori costituzionali in gioco (escluso il diritto di liberta’ personale); o hanno negato la natura delle norme del codice di autoregolamentazione quali norme di diritto oggettivo, aventi efficacia obbligatoria e vincolante per tutti, ad iniziare dal giudice; o hanno attribuito ad ogni giudice un generale potere discrezionale di bilanciamento con l’interesse pubblico ad un celere svolgimento del procedimento. Si tratta di decisioni che si fondano su considerazioni che non tengono nel dovuto conto i ricordati principi enunciati dalla Corte costituzionale, dal legislatore ordinario con la Legge n. 83 del 2000 e dalla unanime dottrina, e che sono state definitivamente superate dalle citate sentenze delle Sezioni Unite Ucciero e Lattanzio, con le cui motivazioni – dianzi sommariamente riportate ed alle quali si rinvia – tutte le suddette considerazioni sono state ampiamente e puntualmente disattese.

Ma appaiono non condivisibili, se non altro perche’ ormai non piu’ attuali, anche quelle motivazioni che si basano sulla riconduzione dell’adesione del difensore all’astensione collettiva di categoria nell’ambito di una delle ipotesi di legittimo impedimento del difensore, con conseguente irrilevanza dell’astensione in tutti quei casi in cui il codice di rito considera irrilevante l’assenza del difensore per legittimo impedimento per non essere obbligatoria la sua presenza. Come gia’ prima ricordato, questo orientamento, formatosi soprattutto negli anni precedenti la riforma di cui alla Legge n. 479 del 1999, e’ stato ormai definitivamente superato.

E’ stato rilevato (Sez. 6, n. 1826 del 24/10/2013, dep. 2014, S., Rv. 258334-258336; nonche’ Sez. 3, n. 19856 del 19/03/2014, Pierri, Rv. 259439, 259440), con ampie e condivisibili argomentazioni, che il sicuro fondamento costituzionale del diritto del difensore di astenersi, non consente di equiparare questo fenomeno ad una qualsiasi altra ipotesi di legittimo impedimento partecipativo. La mancata partecipazione del difensore a seguito di dichiarazione di astensione dalle udienze non e’ dovuta ad un impedimento, ma all’esercizio di un diritto costituzionale, che il giudice deve riconoscere e garantire, purche’ avvenga nel rispetto delle condizioni e dei presupposti previsti dalle specifiche norme che lo regolano. Del resto, l’impossibilita’ di ricondurre l’astensione forense nell’alveo del legittimo impedimento e’ stata affermata, con un orientamento ormai pacifico, da una pluralita’ di decisioni di questa Corte concernenti le conseguenze, sul corso della prescrizione, del rinvio ad altra udienza a causa dell’astensione. E’ ormai definitivamente consolidata l’interpretazione secondo cui, nell’ipotesi di astensione dell’avvocato, il corso della prescrizione resta sospeso per l’intero periodo decorrente tra le due udienze, ai sensi dell’articolo 159 c.p., comma 1, n. 3, seconda ipotesi, (rinvio del procedimento “su richiesta” del difensore), e che non trova invece applicazione il limite di sessanta giorni dell’effetto sospensivo che il medesimo l’articolo 159, n. 3 riserva alle ipotesi di rinvio “per ragioni di impedimento”. Questa soluzione trova la sua necessaria premessa nel riconoscimento che la richiesta del difensore di rinvio dell’udienza e’ tutelata dall’ordinamento, quale esercizio di un diritto costituzionale, ma non costituisce impedimento in senso proprio. Gia’ la sentenza Ucciero aveva precisato che l’astensione degli avvocati costituisce “un diritto, e non semplicemente un legittimo impedimento partecipativo”. La nozione di legittimo impedimento indica una situazione in cui non vi e’ alcuna scelta, ma un’oggettiva impossibilita’ del difensore di partecipare all’udienza; al contrario, l’astensione del difensore integra una situazione del tutto diversa, ossia l’esercizio di un diritto costituzionale che costituisce di per se’ la ragione che giustifica il rinvio.

Non si puo’ dunque continuare a sostenere una soluzione chiaramente contraddittoria, giustamente definita come una “evidente discrasia interpretativa”, derivante dal fatto che “da un lato, vista dalla prospettiva del termine di sospensione della prescrizione, l’astensione viene configurata come un “diritto al rinvio”, escludendo espressamente che rientri nell’ambito di un’ipotesi di legittimo impedimento; dall’altro lato, l’irrilevanza dell’astensione nei procedimenti camerali a partecipazione eventuale ex articolo 127 cod. proc. pen., compresi quelli di cui all’articolo 599 cod. proc. pen., viene giustificata proprio con riferimento alla mancata previsione del legittimo impedimento del difensore” (Sez. 6, n. 1826 del 24/10/2013, dep. 2014, S., cit.). Se dunque l’astensione dalle udienze non puo’ essere ricondotta all’interno dell’istituto del legittimo impedimento, deve conseguentemente escludersi che la mancata previsione di una ipotesi di legittimo impedimento del difensore possa giustificare la tesi della irrilevanza dell’esercizio del diritto di astensione.

7. Si e’ a volte detto (cfr. Sez. 6, n. 27842 del 10/06/2009, Nori, non mass.) che sarebbe irrazionale un sistema che riconosca all’astensione del difensore il diritto al rinvio dell’udienza in un procedimento camerale, in cui invece il legittimo impedimento del difensore, ossia una situazione di impossibilita’ oggettiva di partecipare, non riceverebbe tutela. Si e’ pero’ condivisibilmente replicato che l’obiezione prova troppo, e non e’ dunque convincente, perche’ non tiene conto che si tratta di due situazioni profondamente diversificate, che in quanto tali giustificano una diversita’ di trattamento: il legittimo impedimento e’ funzionale al diritto di difesa dell’assistito, il cui esercizio puo’ essere diversamente modulato in considerazione del rito a cui accede, purche’ sia in funzione dello scopo del giudizio; l’astensione per adesione all’agitazione di categoria e’, invece, funzionale all’esercizio di un diritto costituzionale del difensore, che ha valenza pari agli altri diritti costituzionali e fondamentali che vengono in gioco nel procedimento, ma in relazione ai quali il legislatore ha introdotto un autonomo sistema per operare, a monte, il loro bilanciamento. E in tale opera di bilanciamento la fonte secondaria competente, non ha differenziato l’esercizio del diritto da parte del difensore a seconda del rito, ma unicamente in funzione del diritto di liberta’ dell’imputato.

D’altra parte, se veramente la diversita’ di conseguenze non trovasse giustificazione nella diversita’ di situazioni e quindi si fosse davvero in presenza di un sistema irrazionale, si potrebbe semmai porre un dubbio di incostituzionalita’ delle norme di legge che, nell’interpretazione assunta a diritto vivente, escludono rilievo al legittimo impedimento del difensore (come e’ stato piu’ volte prospettato sotto diversi profili) ma non di manifesta irrazionalita’ delle stesse norme di legge nella parte in cui non prevedono lo stesso trattamento per l’astensione del difensore o delle norme secondarie che espressamente prevedono il diritto del difensore al rinvio in tali ipotesi. Inoltre, proprio perche’ una eventuale questione di legittimita’ costituzionale avrebbe ad oggetto la norma codicistica nella parte in cui non prevede che il legittimo impedimento del difensore imponga il rinvio dell’udienza, tale questione sarebbe irrilevante quando, come nel presente giudizio, non si e’ in presenza di un legittimo impedimento ma della diversa situazione costituita dall’esercizio del diritto costituzionale all’astensione collettiva.

8. Si e’ ricordato che l’articolo 3, comma 1, del vigente codice di autoregolamentazione approvato il 13 dicembre 2007, si riferisce esplicitamente alla “mancata comparizione dell’avvocato all’udienza o all’atto di indagine preliminare o a qualsiasi altro atto o adempimento per il quale sia prevista la sua presenza, ancorche’ non obbligatoria”. Esso dunque non opera, evidentemente, alcuna distinzione tra udienze a cui il difensore deve partecipare in via obbligatoria ovvero in via facoltativa. Di conseguenza, il fatto che in alcuni procedimenti non sia prevista come obbligatoria la presenza del difensore non puo’ condizionare l’esercizio del diritto di astensione, la quale, se ricorrono le condizioni di legge, da diritto al rinvio dell’udienza, purche’ il difensore comunichi, nelle forme e nei termini stabiliti dal medesimo articolo 3, comma 1, la volonta’ di astensione, manifestando in questo modo anche la sua volonta’ di essere presente all’udienza a partecipazione facoltativa. La norma si riferisce a tutti gli atti o procedimenti in cui e’ prevista la presenza del difensore, ancorche’ non obbligatoria, e quindi non solo – come nella specie – ai giudizi di opposizione avverso le richieste di archiviazione (articoli 409 e 410 cod. proc. pen.) ma anche a tutti gli altri procedimenti a partecipazione facoltativa aventi le medesime caratteristiche (come i giudizi di appello nei procedimenti definiti in primo grado con rito abbreviato). D’altra parte, la norma si fonda su una evidente giustificazione logica, perche’ se cosi’ non fosse il diritto di astensione del difensore subirebbe un pesante condizionamento, trovandosi il difensore costretto a scegliere tra l’esercizio del proprio diritto e l’esigenza di non lasciare privo di difesa tecnica il suo assistito.

Cio’ mostra anche come non sia ipotizzabile alcuna ragione che possa giustificare una disapplicazione dell’articolo 3, comma 1, del codice di autoregolamentazione. Una giustificazione non potrebbe certamente essere rinvenuta in una presunta difformita’ con norme del codice di rito come gli articoli 127 e 599 che danno rilievo soltanto al legittimo impedimento dell’imputato e non anche a quello del difensore. E difatti – oltre a quanto gia’ prima osservato sulla prevalenza che dovrebbe comunque accordarsi al norma del codice di autoregolamentazione in quanto norma speciale e norma posta dalla fonte competente in materia e sulla insussistenza di un insanabile contrasto (di una antinomia reale assoluta) giacche’ le due norme hanno un oggetto diverso – non vi e’ alcun elemento che indichi in modo inequivoco che la norma generale di rito sia diretta a sottrarre lo specifico rapporto dell’astensione collettiva alla norma speciale per assoggettarlo alla disciplina generale sul legittimo impedimento.

Questa eventualita’ e’ anzi pacificamente esclusa dalla giurisprudenza che nega la riconducibilita’ dell’astensione ad una ipotesi di legittimo impedimento.

9. Deve dunque affermarsi il seguente principio di diritto:

“In relazione alle udienze camerali, in cui la partecipazione delle parti non e’ obbligatoria, il giudice e’ tenuto a disporre il rinvio della trattazione in presenza di una dichiarazione di astensione del difensore, legittimamente proclamata dagli organismi di categoria ed effettuata o comunicata nelle forme e nei termini previsti dall’articolo 3, comma 1, del vigente codice di autoregolamentazione”.

Trattandosi di una ipotesi in cui l’assistenza del difensore non e’ obbligatoria, il mancato accoglimento della richiesta di rinvio comporta una nullita’ della sentenza per mancata assistenza dell’imputato ai sensi dell’articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c), e articolo 180 cod. proc. pen.: nullita’ da considerarsi a regime intermedio e non assoluta ex articolo 179 c.p.p., comma 1, dal momento che l’assistenza del difensore non e’ prevista come obbligatoria.

10. Venendo poi piu’ specificamente al caso di specie, il Procuratore generale, nell’integrazione della sua requisitoria scritta, pur aderendo al principio qui ribadito, secondo cui l’adesione del difensore all’astensione di categoria regolarmente proclamata e’ ammissibile ed obbliga il giudice al rinvio dell’udienza anche quando la sua partecipazione non sia obbligatoria, ha tuttavia chiesto il rigetto del ricorso proposto dalle parti offese (OMISSIS) e (OMISSIS) per un diverso motivo. Ossia perche’ – dopo l’ordinanza del G.i.p. che aveva rigettato la prima richiesta di rinvio proposta dai difensori di entrambe le parti private – all’udienza in camera di consiglio del 17 novembre 2011 il difensore delle persone offese aveva insistito nella richiesta di rinvio per adesione all’astensione, mentre il difensore degli indagati aveva rinunciato alla precedente dichiarazione di astensione ed aveva invece chiesto, a nome del suoi assistiti, di discutere nel merito.

Il caso e’ gia’ stato risolto in via interpretativa dalla giurisprudenza di questa Corte nel senso che l’articolo 3, comma 2, del vigente codice di autoregolamentazione non puo’ essere interpretato nel senso della prevalenza della dichiarazione di astensione del difensore della parte civile sulla contraria volonta’ espressa, tramite il proprio difensore, dall’imputato, dovendo invece essere privilegiato l’interesse dell’imputato ad una celere definizione del procedimento. La dichiarazione di astensione del difensore della parte civile, pertanto, non legittima il rinvio in presenza di una contraria volonta’ manifestata dal difensore dell’imputato (Sez. 6, n. 43213 del 12/07/2013, Arangio, Rv. 257205). La citata sentenza delle Sezioni Unite Lattanzio non ha contraddetto questa soluzione, ma solo precisato che la sentenza Arangio aveva operato non tanto un bilanciamento tra valori costituzionali confliggenti, quanto piuttosto una interpretazione estensiva ed adeguatrice della disposizione di cui al detto articolo 3, comma 2, nel senso che “prevale in ogni caso l’eventuale contraria volonta’ formalmente espressa dall’imputato di procedere, in considerazione del suo interesse ad una celere definizione del procedimento”.

Ritiene tuttavia il Collegio che questa eccezione del Procuratore generale colga solo un aspetto della questione rimessa alle Sezioni Unite.

Va premesso che non vi e’ dubbio che anche il difensore della parte offesa o della parte civile puo’ esercitare il proprio diritto costituzionale di aderire all’astensione collettiva di categoria, diritto attribuito al difensore in quanto soggetto appartenente a quella categoria di professionisti in agitazione e non in quanto patrocinante di una determinata parte. Non avrebbe ragionevole giustificazione e sarebbe illegittima una differenziazione di trattamento, in via generale ed astratta, tra i diversi difensori solo in ragione della diversa posizione processuale del loro assistito.

E difatti, il codice di autoregolamentazione riconosce il valore dell’astensione qualunque sia la parte processuale in rappresentanza della quale il difensore e’ presente nel processo, senza porre alcuna distinzione fra la parte civile o la persona offesa, e l’imputato o l’indagato. L’articolo 3, comma 2, del codice di autoregolamentazione invero dispone che la regolare dichiarazione di astensione produce i suoi propri effetti “anche qualora avvocati del medesimo procedimento non abbiano aderito all’astensione stessa. La presente disposizione si applica a tutti i soggetti del procedimento, ivi compresi i difensori della persona offesa, ancorche’ non costituita parte civile”.

Ritiene pero’ il Collegio che tale disposizione si limiti ad enunciare il principio della sussistenza del diritto di astenersi anche in capo al difensore della parte civile o della persona offesa, ma non regola direttamente, sotto il profilo processuale, altresi’ il caso in cui vi sia una diversita’ di posizioni, rispetto alla richiesta di rinvio per astensione, fra difensore dell’imputato o dell’indagato, da una parte, e difensore della persona offesa o della parte civile, dall’altra. Si e’ in presenza, in altri termini, di una lacuna del codice di autoregolamentazione, che deve quindi essere colmata in via interpretativa. Alla stregua dell’esegesi accolta dalla citata sentenza Arangio e richiamata dal Procuratore generale, il Collegio ritiene che una interpretazione adeguatrice delle disposizioni del codice di autoregolamentazione consenta di ritenere che, nel caso di udienze camerali a partecipazione facoltativa dei difensori, qualora il difensore dell’imputato o dell’indagato non sia comparso (non esprimendo quindi alcun consenso al rinvio, nemmeno implicito) o comunque non abbia a sua volta proposto analoga richiesta di rinvio per astensione, la manifestazione di volonta’ di astenersi e di ottenere un rinvio avanzata esclusivamente dal difensore della persona offesa (o di altro soggetto del procedimento diverso dall’indagato, dall’imputato, dal civilmente obbligato per la pena pecuniaria o dal responsabile civile), seppure perfettamente aderente alla previsione del codice di autoregolamentazione (e quindi idonea a giustificare sotto il profilo deontologico una simile presa di posizione) non implichi anche il diritto di ottenere dal giudice il rinvio dell’udienza camerale.

Tale interpretazione trova conforto nel diverso trattamento della rilevanza dell’impedimento del difensore di parte civile, ai sensi dell’articolo 420-ter cod. proc. pen., pacificamente esclusa dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra molte, Sez. 5, n. 39334 del 13/07/2011, Boschi, Rv. 251530); diversita’ di trattamento che non e’ stata ritenuta irragionevole dalla sentenza n. 217 del 2009 della Corte costituzionale per la ragione che “il differente rilievo degli interessi di cui l’imputato e la parte civile sono portatori, e la diversa natura degli scopi perseguiti, si riflettono anche sulla disciplina prevista in relazione al diritto di partecipazione al processo e, quindi, alla presenza del difensore”.

Ulteriore elemento a sostegno della interpretazione in esame il Collegio rinviene – come prospettato dal Procuratore generale – nell’articolo 23 disp. att. cod. proc. pen., secondo cui l’assenza delle parti private diverse dall’imputato non determina la sospensione o il rinvio del dibattimento a norma degli articoli 420-bis e 420-ter cod. proc. pen. Sebbene tale disposizione, che regola la mancata presenza di dette parti nel dibattimento e non la diversa materia dell’esercizio del diritto di astensione da parte dei loro difensori, non si ponga, per questo motivo, in puntuale contrasto con l’articolo 3, comma 2, del codice di autoregolamentazione, che riconosce espressamente il diritto di astenersi anche ai difensori della persona offesa o della parte civile, tuttavia la disposizione stessa vale come elemento di conforto dell’interpretazione in base alla quale ricavare la norma per regolare il caso, non previsto, di una dichiarazione di astensione del difensore della persona offesa o della parte civile non accompagnata da una analoga dichiarazione del difensore dell’indagato o imputato.

Decisiva appare infine la considerazione che, come rileva il Procuratore generale, in caso di astensione del solo difensore della persona offesa o della parte civile, cui non abbia aderito il difensore dell’imputato, non opererebbe la sospensione dei termini di prescrizione e di custodia cautelare, ossia non opererebbero i “contrappesi” (gli istituti e le disposizioni in grado di salvaguardare gli altri diritti e principi suscettibili di essere lesi dall’astensione, a cui si pure e’ fatto riferimento nella sentenza Lattanzio, secondo quanto sottolineato al par. 2.4.) che bilancerebbero l’esercizio del diritto del difensore ad astenersi.

11. In conclusione, deve anche affermarsi il seguente principio di diritto:

“Nelle udienze penali, a partecipazione del difensore facoltativa, l’astensione del difensore della parte civile o della persona offesa, prevista dall’articolo 3, comma 2, del codice di autoregolamentazione degli avvocati pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 4 gennaio 2008, non da diritto al rinvio qualora il difensore dell’imputato o dell’indagato non abbia espressamente o implicitamente manifestato analoga dichiarazione di astensione, cosi’ mostrando un proprio interesse ad una celere definizione del procedimento”.

Nel caso in esame, il difensore degli indagati aveva revocato la dichiarazione di astensione precedentemente rigettata dal G.i.p. ed aveva espressamente chiesto la trattazione del processo nel merito. A fronte di questa manifestazione di volonta’ degli indagati, a mezzo del loro difensore, la riproposizione della dichiarazione di astensione da parte dei soli difensori delle persone offese, non dava diritto al rinvio.

I ricorsi delle persone offese (OMISSIS) e (OMISSIS), in proprio e nelle rispettive qualita’, devono pertanto essere rigettati, con conseguente condanna dei medesimi ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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