Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 23 gennaio 2018, n. 2741. In caso di omesso versamento delle ritenute la responsabilità all’interno dell’azienda non è limitata al rappresentante legale

segue pagina antecedente
[…]

3. Il primo motivo pone il tema della responsabilita’ del componente del consiglio di amministrazione della societa’ (nel caso di specie) di capitali per l’omesso versamento delle ritenute operate sulle retribuzioni corrisposte ai dipendenti, certificate e dichiarate dal presidente del consiglio.
3.1.Innanzitutto deve essere esclusa la fondatezza della tesi difensiva secondo la quale obbligato al versamento delle ritenute e’ solo colui che le ha certificate e/o dichiarate. Il tenore letterale della fattispecie incriminatrice non legittima tale conclusione posto che la certificazione delle ritenute (ovvero la loro dichiarazione) rileva solo quale fatto che qualifica l’oggetto materiale della condotta omissiva (le ritenute, appunto), non essendo richiesta l’identita’ soggettiva tra il sottoscrittore della certificazione/dichiarazione e l’autore dell’omissione. Cio’ costituisce, del resto, la inevitabile conseguenza dello scollamento tra il “termine lungo”, penalmente rilevante ai sensi del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10-bis, e quello “ordinario/periodico” (il giorno 16 del mese successivo alla corresponsione della retribuzione) previsto dal Decreto Legislativo n. 241 del 1997, articolo 18. Ne consegue che pena/mente responsabile dell’omesso versamento e’ il legale rappresentante in carica al momento della scadenza del termine “lungo” previsto dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10-bis, a prescindere dal fatto che ricoprisse o meno tale carica al momento della presentazione della dichiarazione di sostituto di imposta ovvero della sottoscrizione e del rilascio delle certificazioni ai sostituiti. Cio’ deriva, come esattamente osservato nell’ordinanza impugnata, dalla natura istantanea ed unisussistente del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10-bis, che si consuma alla data di scadenza del cd. “termine lungo” previsto dalla norma, non un momento prima. Come gia’ autorevolmente insegnato da questa Corte, infatti, “fino alla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno precedente, il comportamento omissivo del contribuente non e’ penalmente rilevante, e la condotta criminosa si realizza e consuma solo nell’istante in cui, alla detta scadenza, si registri un’omissione del versamento che (indipendentemente dalle modalita’ del suo formarsi) superi la soglia minima prevista”, cio’ perche’ “la condotta penalmente rilevante non e’ l’omesso versamento delle ritenute nel termine previsto dalla normativa tributaria, ma il mancato versamento delle ritenute certificate nel maggiore termine stabilito per la presentazione della dichiarazione annuale relativa al periodo di imposta dell’anno precedente” (Sez. U. n. 37425 del 28/03/2013, Favellato).
3.2.Deve altresi’ essere esclusa la fondatezza dell’impostazione difensiva che fa leva sulla inesistenza, a carico dell’amministratore, dell’obbligo indiscriminato di impedire la consumazione del reato da parte dell’altro amministratore che agisca nell’ambito del settore di specifica competenza. Nel caso in esame, infatti, i singoli componenti del consiglio di amministrazione non sono chiamati a rispondere del reato omissivo in conseguenza dell’applicazione dell’articolo 40 cpv. c.p., e dunque quali garanti dell’adempimento altrui, bensi’ quali destinatari diretti dell’obbligo di versamento. Trattandosi di societa’ a responsabilita’ limitata, se, come nel caso di specie, l’ordinaria amministrazione e’ affidata a piu’ persone disgiuntamente, ciascun amministratore e’ autonomamente e singolarmente in grado di porre in essere gli atti estintivi delle obbligazioni che impegnano la societa’ (arg. ex articolo 2475 c.c., comma 3, e articolo 2257 c.c.). Il pagamento dell’obbligazione tributaria, peraltro, costituisce atto giuridico che qualunque amministratore puo’ validamente compiere, non trattandosi di atto di gestione in senso stretto. La suddivisione interna di competenze, dunque, oltre a non essere opponibile ai terzi, non limita la capacita’ del singolo amministratore di compiere atti giuridici estintivi delle obbligazioni, a maggior ragione se – come deducono gli stessi ricorrenti – al presidente del consiglio di amministrazione non era stata conferita alcuna specifica delega tributaria. Il riparto interno di competenze, effettuato nel caso di specie con delibera assembleare, non limita, ne’ esclude il potere di ciascun amministratore, titolare, come gia’ detto, del “potere di firma libera e disgiunta” (cosi’ il ricorso), di compiere atti di ordinaria amministrazione di qualsiasi genere, anche, in ipotesi, estranei allo specifico settore tecnico di competenza. La divisione di compiti ha natura esclusivamente organizzativa e interna ma non si traduce in un limite al potere di rappresentanza generale della societa’ (articolo 2475-bis c.c.) che spetta a ciascun amministratore in quanto tale. Ne’ puo’ avere alcuna rilevanza, ai fini della pretesa limitazione della responsabilita’ omissiva, il fatto che i singoli amministratori/ricorrenti non abbiano mai amministrato la societa’ in modo paritetico e congiunto. Non si tratta di responsabilita’ oggettiva, come lamentano i ricorrenti, ne’ fondata su un rapporto di causalita’ omissivo presunto poiche’ ai fini della integrazione del reato e’ pur sempre necessario il dolo la cui insussistenza, in questa fase cautelare, oltre a poter esser affermata quando appaia evidente (il che non e’), non e’ comunque motivo di ricorso.
4. Il secondo motivo e’ infondato.

segue pagina successiva in calce all’articolo
[…]

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *