Corte di Cassazione, sezione terza civile, sentenza 5 febbraio 2018, n. 2668. Il conduttore e non il proprietario deve risarcire per l’immissione sonore

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Inoltre la Corte di appello avrebbe erroneamente escluso la sussistenza del nesso di causalita’, che risultava invece molto ben esplicitato nelle relazioni dei periti di parte versate in atti, il cui contenuto sarebbe stato travisato dal giudice di secondo grado.

Anche il motivo in esame e’ inammissibile in quanto volto ad ottenere una nuova e diversa valutazione dei dati processuali e a contestare sul piano meramente fattuale – al di la’ della veste formale conferita alla censura – il contenuto della motivazione della sentenza di appello che appare, di converso, immune da vizi logico-giuridici.

6. Con il quinto motivo, i ricorrenti si dolgono, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 della “violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c.”, per non aver concesso alla (OMISSIS) la possibilita’ di dimostrare il danno biologico subito tramite c.t.u. medico legale per la valutazione dello stato di salute psicofisico degli attori, che pure era stata richiesta tempestivamente nell’atto di citazione e ribadita nel corso di entrambi i giudizi di primo grado e di appello.

Il motivo e’ inammissibile.

Il giudice di merito ha escluso il risarcimento del danno biologico per mancata prova dei pregiudizi alla salute lamentati dalla (OMISSIS) e dalla figlia, nonche’ del nesso di causalita’ tra le immissioni e i medesimi pregiudizi, avendo ritenuto inidonea la certificazione medica prodotta in giudizio perche’ alcuni dei medici certificanti avrebbero solamente riportato quanto riferito loro dalla (OMISSIS), e in ogni caso non avrebbero collegato i disturbi con le immissioni sonore.

Tuttavia, i ricorrenti avevano espressamente chiesto l’ammissione di una consulenza tecnica d’ufficio medico-legale proprio per dimostrare l’esistenza, tra gli altri, di danni biologici causalmente riconducibili alle immissioni, sicche’ il rigetto dell’istanza di ammissione della c.t.u. da parte del giudice appare immotivato.

Nella giurisprudenza di questa Corte e’ consolidato l’orientamento secondo cui la decisione di ricorrere o meno ad una consulenza tecnica d’ufficio costituisce un potere discrezionale del giudice, il quale, tuttavia, ha il dovere di motivare adeguatamente il rigetto della istanza di ammissione proveniente da una delle parti, dando adeguata dimostrazione di potere risolvere, sulla base di corretti criteri, i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione, senza potersi limitare a disattendere l’istanza sul presupposto della mancata prova dei fatti che la consulenza avrebbe potuto accertare (v. Cass. civ. Sez. 1, Sent., 01-09-2015, n. 17399; Cass. n. 72/2011, n. 88/2004, n. 10/2002, n. 15136/2000). E’ stato anche precisato che in alcune tipologie di controversie, che richiedono per il loro contenuto che si proceda ad un accertamento tecnico, il mancato espletamento di una consulenza medico legale, specie a fronte di una domanda di parte in tal senso, costituisce una grave carenza nell’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che si traduce in un vizio della motivazione della sentenza (v. Cass. n. 4927/2004).

Tuttavia, i ricorrenti non hanno impugnato la sentenza sotto il profilo motivazionale, l’unico che, secondo la giurisprudenza di legittimita’ poteva essere dedotto nel caso di specie.

Donde l’inammissibilita’ della censura.

7. Con il sesto motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 la “violazione e falsa applicazione degli articoli 1226 e 2056 c.c.”.

La Corte di Milano, dopo aver censurato, senza alcuna reale motivazione, la liquidazione del danno effettuata dal Tribunale – il quale avrebbe invece adottato un criterio chiaro e perfettamente ricostruibile a posteriori, prendendo quale riferimento le tabelle milanesi – avrebbe poi proceduto ad una liquidazione equitativa del danno in misura significativamente ridotta senza esplicitare il criterio adottato, rendendo cosi’ impossibile il controllo sull’iter logico seguito.

Il motivo e’ infondato.

Infatti, ferma la inapplicabilita’ delle tabelle in uso presso il Tribunale di Milano, destinate alla quantificazione del danno biologico – nel caso di specie ritenuto insussistenti – appare corretta la liquidazione del danno non patrimoniale derivante dalla lesione della salubrita’ ambientale, operata dalla Corte di Appello previo apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto (in particolare, durata e modalita’ delle immissioni) secondo un criterio inevitabilmente improntato all’equita’ pura.

8. Con il settimo motivo i ricorrenti censurano, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 la “violazione e falsa applicazione degli articoli 91 e 92 c.p.c.”.

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