Corte di Cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 2 febbraio 2018, n. 2647. L’atto di citazione proposto nei confronti di una persona già deceduta non può dar luogo all’instaurazione del contraddittorio nei confronti di tale soggetto, né alla costituzione di un regolare rapporto processuale.

L’atto di citazione proposto nei confronti di una persona già deceduta non può dar luogo all’instaurazione del contraddittorio nei confronti di tale soggetto, né alla costituzione di un regolare rapporto processuale. In tale caso, si ha la nullità della citazione, e diversamente dalla ipotesi in cui la nullità investa la notifica e non la sostanza dell’atto introduttivo del giudizio, l’art 354 c.p.c. non consente al giudice di appello di rimettere la causa al giudice di primo grado.

Ordinanza 2 febbraio 2018, n. 2647
Data udienza 22 novembre 2017

Integrale

CASSAZIONE – RICORSO

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28562-2016 proposto da:

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 1908/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 17/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 22/11/2017 dal Consigliere Dott. ROSSETTI MARCO.

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2005 (OMISSIS) convenne dinanzi al Tribunale di Milano la societa’ (OMISSIS) s.n.c., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patiti in conseguenza di un incendio, che l’attore ascriveva la responsabilita’ della convenuta.

Il processo si svolse in contumacia della (OMISSIS).

2. Con sentenza 23 maggio 2012 n. 6061 il Tribunale di Milano rigetto’ la domanda.

La sentenza fu appellata dal soccombente, il quale notifico’ l’atto di gravame ad (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), ovvero gli ex soci della societa’ (OMISSIS), nel frattempo estinta.

3. Con sentenza 17 maggio 2016 n. 1908 la Corte d’appello di Milano accolse la domanda e condanno’ gli appellati in solido al pagamento di circa 281.000 Euro, a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, oltre accessori e spese di lite.

Per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte d’appello ritenne che: (-) la notificazione dell’atto introduttivo del primo grado di giudizio fosse nulla, perche’ effettuata nelle mani dell’amministratore della (OMISSIS) (in tale qualita’) due mesi dopo che la societa’ si era disciolta ed era stata cancellata dal registro delle imprese;

(-) il giudizio, di conseguenza, era stato incardinato nei confronti di un soggetto non piu’ esistente;

(-) tale circostanza, tuttavia, pur comportando una nullita’ processuale, v non imponeva la rimessione della causa al Tribunale, in quanto non rientrante tra i vizi tassativamente elencati dagli articoli 353 e 354 c.p.c., i quali soltanto possono giustificare la regressione del processo d’appello al primo grado;

(-) nel merito, la Corte d’appello ritenne sussistente la responsabilita’ ex custodia della (OMISSIS), e liquido’ i danni come sopra indicati.

4. La sentenza d’appello e’ stata impugnata per cassazione con un ricorso unitario, fondato su un solo motivo, da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).

Con istanza depositata il 20 gennaio 2017; (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno dichiarato di voler rinunciare al ricorso.

La suddetta dichiarazione risulta notificata a mezzo PEC al difensore di (OMISSIS).

Con Decreto 27 febbraio 2017 n. 4981 il Presidente della sesta sezione civile di questa Corte ha dichiarato estinto il giudizio con compensazione delle spese, ai sensi degli articoli 390 e 391 c.p.c..

5. Con successiva istanza in data 28 febbraio 2017 il solo (OMISSIS), premesso che egli non aveva affatto rinunciato al ricorso, chiese la discussione della causa, ai sensi dell’articolo 391 c.p.c., comma 3.

Infine, con provvedimento del 7 giugno 2017, il consigliere relatore ha proposto ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c., comma 1, la decisione del ricorso in camera di consiglio.

6. (OMISSIS) non si e’ difeso in questa sede.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Questioni preliminari.

1.1. Prima di esaminare nel merito i motivi di ricorso, questo Collegio deve affrontare due questioni di rito:

(a) quale sia l’effetto e l’estensione del decreto presidenziale. di estinzione del giudizio n. 4981 del 27.2.2017;

(b) se l’istanza di “discussione della causa”, proposta ai sensi dell’articolo 391 c.p.c., comma3, consenta la trattazione del ricorso in camera di consiglio, con le forme previste dall’articolo 380 bis c.p.c..

1.2. La prima questione e’ di agevole soluzione: il provvedimento presidenziale che dichiara l’estinzione del processo, pronunciato ai sensi dell’articolo 391 c.p.c., comma 1, ultimo periodo, si correla alla relativa dichiarazione di rinuncia. Pertanto nel caso di domande cumulate o concesse, simultanei processus, giudizi litisconsortili, la dichiarazione di estinzione non puo’ che riguardare unicamente la posizione di quelle, tra le parti, che hanno manifestato la volonta’ di rinuncia, e comporta di per se’ un implicito giudizio di separazione delle domande cumulate.

Nel caso di specie, pertanto, il decreto presidenziale n. 4981 del 27.2.2017 non ha prodotto effetti di sorta sul ricorso proposto da (OMISSIS).

1.3. Quanto alla seconda questione preliminare (se sia possibile trattare il ricorso in camera di consiglio, quando vi sia stata una istanza di discussione, ex articolo 391 c.p.c., comma 3), ad essa deve darsi risposta affermativa, per due ragioni.

1.3.1. La prima ragione e’ che l’istanza prevista dall’articolo 391 c.p.c., comma 3, dal punto di vista soggettivo e’ accordata alle parti rinuncianti, od a quelle controinteressate; dal punto di vista oggettivo ha lo scopo di consentire il contraddittorio sulla, e il riesame della, liquidazione delle spese compiuta nel decreto di estinzione.

Ma nel nostro caso per un verso (OMISSIS) non ha rinunciato al ricorso, ne’ e’ controinteressato alla rinuncia; per altro verso non v’e’ questione sulle spese, essendo l’intimato indefensus: Mancano, dunque, sia i presupposti oggettivi, sia quelli soggettivi, per qualificare l’istanza depositata da (OMISSIS) in data 28.2.2017 come “richiesta di fissazione dell’udienza”, ex articolo 391 c.p.c., comma 3.

1.3.2. La seconda ragione per la quale deve’ ritenersi consentita la trattazione del ricorso in camera di consiglio, ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c., e’ che l’attuale testo dell’articolo 391 c.p.c., comma 3, e’ stato introdotto dal Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, articolo 15.

Con l’articolo 10 -del medesimo provvedimento normativo venne, altresi’, inserito nel codice di rito l’articolo 380 bis, il quale nella sua originaria versione prevedeva, quale forma semplificata di definizione dei ricorsi per cassazione, in alternativa all’udienza, la decisione in camera di consiglio, nella quale pero’ i difensori della parti avevano facolta’ di “chiedere di essere sentiti, se compaiono”.

E’ dunque evidente che, quando venne introdotta la previsione dell’istanza (articolo 391 c.p.c., comma 3), il codice non prevedeva in nessun caso che il ricorso per cassazione potesse essere deciso in camera di consiglio senza la partecipazione tisica dei difensori, e dunque non vi era necessita’ di distinguere tra udienza e camera di consiglio: nell’uno, come nell’altro caso, la discussione orale era sempre garantita.

Quando, poi, venne soppressa la possibilita’ della discussione orale nel caso di ricorsi trattati col rito camerale (per effetto del Decreto Legge 31 agosto 2016, n. 168, articolo 1 – bis, comma 1, lettera (e), convertito dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197), l’articolo 391 c.p.c., comma 3, non venne modificato: ma e’ ovvio che tale norma va ora coordinata col mutato quadro normativo, ed il coordinamento non puo’ che essere il seguente: che anche quando vi- sia stata istanza ex articolo 391 c.p.c., comma 3, resta ferma la facolta’ del presidente della Corte di fissare per la discussione del ricorso l’adunanza camerale, invece che l’udienza pubblica.

Il Decreto Legge n. 168 del 2016, cit., ha infatti elevato da due a tre le possibili forme di definizione del ricorso per cassazione che non sia di competenza delle Sezioni Unite:

(a) con decisione in camera di consiglio da parte della sezione “filtro”, ex articoli 375 e 380 bis c.p.c., quando il ricorso sia:

(a1) inammissibile;

(a2) manifestamente infondato;

(a3) manifestamente fondato;

(b) con decisione in camera di consiglio da parte della sezione semplice, ex articolo 375 c.p.c., comma 2, e articolo 380 bis c.p.c., comma 1, come ipotesi “ordinaria”;

c) con decisione in pubblica udienza da parte della sezione semplice, ex articolo 375 c.p.c., comma 2, secondo periodo, e articolo 379 c.p.c., quando:

(c1) il ricorso ponga una questione di diritto di particolare rilevanza;

(c2) il ricorso le sia stato rimesso dalla sezione “filtro” in esito alla camera di consiglio.

La riforma, in definitiva, ha modulato il rito applicabile in base all’apparente contenuto del ricorso: per i ricorsi di pronta soluzione e’ previsto il rito camerale dinanzi alla sezione, filtro; per i ricorsi,non di pronta soluzione, ma che nemmeno pungano questioni di rilievo nomofilattico, e’ previsto il rito camerale dinanzi alla sezione semplice; per i ricorsi che pongono questioni di rilievo nomofilattico e’ prevista la pubblica udienza dinanzi alla sezione semplice.

La legge ha poi previsto una possibilita’ di conversione del rito, ma solo unidirezionale: mentre, infatti, i ricorsi assegnati alla sezione semplice non possono da questa essere trasferiti alla sezione filtro (ad esempio, perche’ privi di rilievo nomofilattico o manifestamente infondati), non e’ vero il contrario: la sezione filtro puo’ infatti spogliarsi del ricorso assegnatole, evidentemente quando lo ritenga non inammissibile, ne’ manifestamente fondato od infondato.

La riforma appena riassunta e’ stata dichiaratamente voluta dal legislatore allo scopo di snellire e razionalizzare il lavoro della Corte di cassazione.

E poiche’ le norme di legge vanno interpretate in modo coerente col loro scopo, non e’ possibile interpretare l’articolo 391 c.p.c., comma 3, nel senso che ogni a qualsiasi istanza proposta ai sensi di tale norma debba essere trattata in pubblica udienza.

Se cosi’ fosse, infatti, la trattazione in pubblica udienza non solo non si giustificherebbe razionalmente, ma sarebbe incoerente con la ratio che e’ quella di riservare alla pubblica udienza le sole questioni di diritto che abbiano interesse generale dal punto di vista nomofilattico.

In conclusione, la circostanza che il ricorrente abbia presentato una istanza di discussione in pubblica udienza, formalmente richiamando l’articolo 391, comma terzo, c.p.c., non impedisce la trattazione del ricorso in camera di consiglio, ai sensi dell’articolo 380 – bis c.p.c..

2. Il motivo di ricorso.

2.1. Con l’unico motivo di ricorso, (OMISSIS) lamenta che la sentenza impugnata- sarebbe moffetta da una nullita’ processuale, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4; e’ denunciata, in particolare, la violazione dell’articolo 354 c.p.c..

Deduce il ricorrente che la Corte d’appello di Milano, una volta rilevata la nullita’ della. notifica dell’atto di citazione introduttivo del primo grado di giudizio, non avrebbe dovuto procedere a rinnovare dinanzi a se’ l’istruttoria, ma avrebbe dovuto annullare la sentenza del Tribunale e rimettere a questo la causa, ai sensi dell’articolo 354 c.p.c..

Ricorda, in punto di fatto, che (OMISSIS) notifico’ il proprio atto di citazione due volte: la prima volta in un luogo diverso dalla sede sociale; la seconda volta nella sede sociale, ma due mesi dopo l’estinzione’ della societa’. Ambedue le notifiche, pertanto dovevano ritenersi nulle; e l’atto introduttivo si sarebbe dovuto notificare ai soci personalmente.

Soggiunge, infine, che la Corte d’appello, omettendo di rimettere la causa al primo giudice, aveva violato il principio del doppio grado di giurisdizione, vulnerando il loro diritto di difesa.

2.2. Il motivo e’ infondato.

E’ lo stesso ricorrente ad allegare che la notifica dell’atto di citazione in primo grado, dopo un primo tentativo) viziato, venne rinnovata per ordine del Tribunale, ma eseguita dopo l’estinzione della societa’ che ne era destinataria.

Ci troviamo dunque dinanzi al caso d’un atto di citazione notificato ad un soggetto inesistente.

Se un atto di citazione e’ notificato a un soggetto inesistente ad essere nulla non e’ la notificazione, ma l’atto di citazione, perche’ totalmente inidoneo ad instaurare un valido rapporto processuale, come gia’ ritenuto da questa Corte (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 532 del 14/03/1962, secondo – cui “l’atto di citazione proposto nei confronti di una persona gia’ deceduta non puo’ dar luogo alla instaurazione del contraddittorio nei confronti di tale soggetto, ne’ alla Costituzione di un regolare rapporto processuale. In tale caso, si ha la nullita’ della citazione, e diversamente dalla ipotesi in cui la nullita’ investa la notifica e non la sostanza dell’atto introduttivo del giudizio, l’articolo 354 c.p.c., non consente al giudice di appello di rimettere la causa al giudice di primo, grado).

L’articolo 354 c.p.c., impone la regressione del processo al primo grado di giudizio non al cospetto di ogni e qualsiasi nullita’ processuale, ma solo in presenza delle ipotesi di nullita’ ivi previste: e tra queste non rientra l’ipotesi della nullita’ dell’atto di citazione. E giustamente, dal momento che la nullita’ della citazione dovrebbe essere sanata dal giudice di primo grado con i rimedi previsti dall’articolo 164 c.p.c..

Ne consegue che la Corte d’appello, avendo rilevato si’ una nullita’ processuale, ma non rientrante nell’elenco di cui all’articolo 354 c.p.c., correttamente ha proceduto alla rinnovazione degli atti nulli (l’istruttoria), senza rimettere la causa al Tribunale.

Resta solo da aggiungere come nessuna violazione del diritto di difesa possa essere legittimamente invocata nel caso di specie da parte del ricorrente: egli, infatti, in grado di appello ha avuto ogni agio di sollevare le proprie eccezioni e chiedere le prove. La circostanza che, a causa del rilievo in appello della nullita’ della citazione, egli abbia potuto difendersi nel merito solo in un grado di giudizio invece che in due, e’ una eventualita’ che l’ordinamento ammette in molti casi (ad esempio, allorche’ il giudice d’appello ritenga sussistente la competenza negata dal primo giudice), e non vulnera alcun precetto costituzionale, dal momento che il principio del doppio grado di giurisdizione di merito non ha copertura costituzionale (come ripetutamente affermato dalla Consulta: ex multis, in tal senso, Corte cost., 28-10-2014, ti. 243; Corte cost., 30-07-1997, n. 288; Corte cost., 03-10-1990, n. 433; Corte cost. (ord. 1, 31-03-1988, n. 395; Corte cost., 31-12-1986, n. 301).

3. Le spese.

3.1. Non e’ luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio dell’intimato.

3.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si da’ atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dal L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17).

P.Q.M.

La Corte di cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) da’ atto che sussistono i presupposti previsti dal Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di (OMISSIS) di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

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