segue pagina antecedente
[…]
Il padre del ricorrente ha stipulato con (OMISSIS) S.p.A. un contratto del tipo “Unit Linked” (si tratta in sostanza di un investimento finanziario in forma di polizza vita), indicando in esso come “assicurato” il figlio e come beneficiari della polizza gli eredi legittimi e testamentari di quest’ultimo. Secondo il ricorrente (che ha agito in giudizio dopo la morte del padre), nella fattispecie avrebbe dovuto applicarsi il disposto dell’articolo 1919 c.c., comma 2, onde il contratto stipulato dal padre non poteva ritenersi valido, in mancanza del proprio consenso scritto, e non poteva essere ricondotto alla previsione di cui all’articolo 1891 c.c., come erroneamente ritenuto dalla corte di appello.
Orbene, la ratio della disposizione di cui all’articolo 1919 c.c., comma 2, che, in caso di assicurazione sulla vita di un terzo, richiede il consenso scritto di quest’ultimo ai fini della validita’ del contratto, viene tradizionalmente ricollegata a ragioni di ordine pubblico, e precisamente all’opportunita’ di tutelare la vita del terzo e di evitare che l’assicurazione divenga incentivo all’omicidio; secondo altra tesi che attribuisce funzione indennitaria anche all’assicurazione sulla vita e ravvisa quindi la necessita’ di un interesse del contraente alla base della relativa stipulazione, essa si spiegherebbe in quanto il consenso del terzo sostituirebbe la prova dell’interesse del contraente all’esistenza in vita del terzo stesso.
In ogni caso, secondo la giurisprudenza (non recente, ma mai contraddetta), di questa Corte, in sintonia con la prevalente dottrina, tale ratio sussiste esclusivamente nel caso in cui il terzo si venga a trovare nella posizione di “mero portatore del rischio”, mentre i benefici del contratto assicurativo spettano esclusivamente al contraente o a persona da questi designata nel proprio interesse. Tale necessita’, dunque, non sussiste, laddove, nella sostanza, il beneficiario dell’assicurazione non sia il contraente ma il terzo stesso, ovvero i suoi eredi, o comunque soggetti da lui indicati; in tal caso, secondo questa impostazione, sarebbe semplicemente stipulata un’assicurazione sulla vita a favore di un terzo, e la disciplina giuridica sarebbe quindi quella dettata in via generale dall’articolo 1891 c.c. (in tal senso: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 1846 del 26/06/1973, Rv. 364854 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 1883 del 13/05/1977, Rv. 385597 – 01; cfr. altresi’, nel medesimo senso, Cass., Sez. 1, Sentenza n. 2393 del 10/06/1977, Rv. 386100 – 01, la quale ha espressamente escluso la necessita’ del consenso del terzo richiesto dell’articolo 1919, comma 2, c.c., nel caso dell’assicurazione che il datore di lavoro stipuli per il caso di morte del proprio dipendente, in favore degli eredi di quest’ultimo, ritenendola valida ed efficace a prescindere dall’indicato consenso).
La sentenza impugnata ha correttamente applicato i suddetti principi di diritto, osservando che nella specie l’assicurato era il figlio del contraente ed i beneficiari della somma assicurata, in caso di sua morte, erano gli eredi legittimi e testamentari di quest’ultimo (quindi, in definitiva, soggetti non indicati dal contraente nel proprio interesse, bensi’ nell’interesse del terzo, e nella sostanza determinati da quest’ultimo, per il tramite della designazione testamentaria), ed ha concluso che il contratto era disciplinato dall’articolo 1891 c.c., e non richiedeva il consenso scritto del terzo di cui all’articolo 1919 c.c., comma 2. Orbene, anche a prescindere dalla (invero discussa) applicabilita’ dell’articolo 1891 c.c., al contratto di assicurazione sulla vita (che dipende dalla ricostruzione teorica dello stesso come avente o meno natura indennitaria e quindi dal riconoscimento della necessaria sussistenza di un interesse alla sua base, con la conseguente possibilita’ o meno di ammettere che esso sia stipulato “per conto altrui”, possibilita’ esclusa da chi nega il rilievo di un siffatto interesse e quindi la stessa possibilita’ di ricostruire la figura di un “assicurato” in tale contratto), e’ assorbente il rilievo che nella specie la disposizione dell’articolo 1919 c.c., comma 2, non era comunque applicabile, in quanto, come sin qui osservato, mancava in concreto il presupposto per la sua operativita’, in relazione alla sua stessa ratio (a prescindere dalle ricostruzioni teoriche), non essendo affatto il terzo un “mero portatore del rischio”, ma il sostanziale destinatario dei benefici del contratto assicurativo.
La decisione impugnata si sottrae dunque certamente alle censure di cui al ricorso.
2. Con il quarto motivo si denunzia “Sulle spese di giudizio Violazione dell’articolo 91 c.p.c., ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Il motivo – che rappresenta la conseguenza dell’auspicato accoglimento dei primi tre – risulta infondato, in conseguenza del mancato accoglimento dei precedenti.
3. Il ricorso e’ rigettato.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.
Dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte:
– rigetta il ricorso;
– condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimita’ in favore della societa’ controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 5.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonche’ spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
Leave a Reply