Corte di Cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 15 febbraio 2018, n. 3767. L’uccisione di una persona fa presumere da sola, ex articolo 2727 c.c., una conseguente sofferenza morale in capo ai genitori, al coniuge, ai figli od ai fratelli della vittima

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2.2. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del primo e, per quanto si dira’, del terzo motivo di ricorso.
I ricorrenti infatti lamentano in sostanza (al di la’ dell’erroneo richiamo all’articolo 1224 c.c., inapplicabile alle obbligazioni di valore qual e’ quella avente ad oggetto il risarcimento del danno da fatto illecito) che non sia stato loro liquidato il danno da mora ex articolo 1219 c.c., convenzionalmente liquidato in casi simili nella forma dei c.d. interessi compensativi.
Nelle obbligazioni di valore, tuttavia, i cc.dd. interessi compensativi non costituiscono dei frutti civili, e quindi una obbligazione accessoria rispetto al capitale, ma rappresentano una delle possibili voci di danno causate dall’illecito, che va accertata e liquidata anche d’ufficio (ex permultis, da ultimo, Sez. 1 -, Sentenza n. 4028 del 15/02/2017). Pertanto il giudice di rinvio, dovendo provvedere a liquidare i danni patiti dagli odierni ricorrenti (ex novo per la madre ed i fratelli della vittima; e previa eliminazione dell’abbattimento praticato agli altri congiunti per tenere conto della loro realta’ socioeconomica), dovra’ necessariamente provvedere, oltre che alla aestimatio, anche alla taxatio del credito risarcitorio, secondo i criteri stabiliti dalle Sezioni Unite di questa Corte con la nota sentenza pronunciata da Sez. U, Sentenza n. 1712 del 17/02/1995.
3. Il terzo motivo di ricorso.
3.1. Col terzo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, che la Corte d’appello avrebbe violato gli articoli 2043, 2059 e 2727 c.c.; articoli 115 e 116 c.p.c., nel rigettare la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale proposta dalla madre e dai fratelli della vittima.
Espongono che la Corte d’appello ha rigettato tale domanda sul presupposto che non fosse provata l’esistenza d’un vincolo affettivo tra la vittima da un lato, la madre ed i fratelli dell’altro. Sostengono tuttavia che:
(a) l’esistenza di tale vincolo affettivo non era stata contestata dalla societa’ convenuta, che anzi l’aveva ammessa;
(b) in ogni caso, la semplice esistenza del rapporto di filiazione o di fratellanza era di per se’ idonea a far presumere, ex articolo 2727 c.c., l’esistenza d’un vincolo affettivo tra la vittima da un lato, la madre ed i fratelli dall’altro.
3.2. Il motivo e’ fondato.
La Corte d’appello ha rigettato la domanda proposta da (OMISSIS) (madre della vittima), (OMISSIS) e (OMISSIS) (fratelli della vittima) affermando che la vittima si era trasferita dalla Romania in Italia sin dal 1992, e “non vi e’ prova alcuna del permanere di rapporti con la famiglia di origine”.
Cosi’ giudicando, la Corte d’appello ha addossato ad una madre l’onere di provare di avere sofferto per la morte d’un figlio, ed altrettanto ha fatto per i fratelli.
3.3. Questa statuizione non e’ conforme a diritto.
In linea generale, non v’e’ dubbio che spetti alla vittima d’un fatto illecito dimostrare i fatti costitutivi della sua pretesa, e di conseguenza l’esistenza del danno.
Tale prova tuttavia puo’ essere fornita anche attraverso presunzioni semplici, ovvero invocando massime di esperienza e l’id quod plerumque accidit.
Nel caso di morte di un prossimo congiunto (coniuge, genitore, figlio, fratello), l’esistenza stessa del rapporto di parentela deve far presumere, secondo l’id quod plerumque accidit, la sofferenza del familiare superstite, giacche’ tale conseguenza e’ per comune esperienza e’, di norma, connaturale all’essere umano.
Naturalmente si trattera’ pur sempre d’una praesumptio hominis, con la conseguente possibilita’ per il convenuto di dedurre e provare l’esistenza di circostanze concrete dimostrative dell’assenza di un legame affettivo tra la vittima ed il superstite.
Ne consegue che, nel presente giudizio, non spettava alla madre ed ai fratelli della vittima provare di avere sofferto per la morte del rispettivo figlio e fratello, ma sarebbe stato onere dei convenuti provare che, nonostante il rapporto di parentela, la morte di (OMISSIS) lascio’ indifferente la madre ed i fratelli della vittima.
3.4. La semplice lontananza, tuttavia, non e’ una circostanza di per se’ idonea a far presumere l’indifferenza d’una madre alla morte del figlio.
Lo insegna la psicologia (dalla quale apprendiamo che la lontananza, in determinati casi, rafforza i vincoli affettivi, a misura che la mancanza della persona cara acuisce il desiderio di vederla); lo testimonia la storia (qui gli esempi sono sterminati: dal carteggio di Abelardo ed Eloisa alle lettere dei condannati a morte della Resistenza); e lo attesta sinanche il mito: quello di Penelope ed Ulisse non sarebbe certo sopravvissuto intatto per ventotto secoli, se non rispondesse ad una costante dell’animo umano la conservazione degli affetti piu’ cari anche a distanza di tempo e di spazio.
La Corte d’appello ha dunque effettivamente violato sia l’articolo 2727 c.c., perche’ ha negato rilievo ad un fatto di per se’ sufficiente a dimostrare l’esistenza del danno (il rapporto di filiazione e di fratellanza); sia le regole sul riparto dell’onere della prova, addossando agli attori l’onere di provare l’assenza di fatti impeditivi della propria pretesa.
3.5. La sentenza impugnata va dunque cassata anche su questo punto, in virtu’ del seguente principio di diritto cui si atterra’ il giudice di rinvio: “L’uccisione di una persona fa presumere da sola, ex articolo 2727 c.c., una conseguente sofferenza morale in capo ai genitori, al coniuge, ai figli od ai fratelli della vittima, a nulla rilevando ne’ che la vittima ed il superstite non convivessero, ne’ che fossero distanti (circostanze, queste ultime, le quali potranno essere valutate ai fini del quantum debeatur). Nei casi suddetti e’ pertanto onere del convenuto provare che vittima e superstite fossero tra loro indifferenti o in odio, e che di conseguenza la morte della prima non abbia causato pregiudizi non patrimoniali di sorta al secondo”.
4. Le spese.
Le spese del presente grado di giudizio saranno liquidate dal giudice del rinvio.
P.Q.M.
la Corte di cassazione:
(-) accoglie il primo ed il terzo motivo di ricorso; dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

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