Corte di Cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 10 gennaio 2018, n. 392. Se il giudice di merito ha liquidato il danno non patrimoniale da lesione della salute senza applicare i criteri c.d. “milanesi”, la ricorribilità per cassazione della sentenza d’appello è subordinata a due condizioni

segue pagina antecedente
[…]

CONSIDERATO
che:
col primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, (si lamenta, in particolare, la violazione degli articoli 3 e 24 Cost.; articoli 1226, 2043, 2056 e 2059 c.c.; articoli 99, 112, 163, 167 e 342 c.p.c.); sia dal vizio di omesso esame d’un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, (nel testo modificato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54 convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134);
ad onta di tali riferimenti normativi, come si vedra’ non tutti pertinenti, il motivo contiene una censura cosi’ riassumibile:
(a) (OMISSIS) impugno’ la sentenza di primo grado ritenendo che il Tribunale avesse sottostimato l’entita’ del danno non patrimoniale in ogni suo aspetto;
(b) la Corte d’appello ha male interpretato questa doglianza, ritenendo che (OMISSIS) avesse inteso impugnare soltanto “la quantificnione del danno morale ed esistenziale”;
(c) pertanto, se pure la Corte d’appello ha incrementato la misura del risarcimento, lo ha fatto in modo parziale, esaminando solo alcune delle conseguenze patrimoniali patite dalla vittima, ma non tutte;
(d) infine, la Corte d’appello ha adottato questa decisione senza adeguatamente motivare questa sua interpretazione dell’atto d’appello; il motivo nella parte in cui lamenta che la motivazione della sentenza impugnata sia “omessa od apparente” (pp. 22-24 del ricorso) e’ inammissibile, per plurime ragioni: sia perche’ il vizio di omessa motivazione puo’ riguardare solo gli accertamenti di fatto, e non e’ concepibile con riferimento agli errores in procedendo (tra le tante, in tal senso, Sez. L, Sentenza n. 8069 del 21/04/2016); sia, in ogni caso, perche’ il novellato articolo 360 c.p.c., n. 5, non consente piu’ di prospettare come motivo di ricorso per cassazione il vizio motivazionale; tale vizio, per effetto delle modifiche introdotte dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54 convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134, potrebbe oggi essere fatto valere in sede di legittimita’ solo in casi estremi, ovvero quando la motivazione manchi del tutto o sia totalmente inintelligibile, e comunque deducendo l’error in indicando, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, per violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4;
nella parte in cui il motivo lamenta la violazione di legge, in via preliminare deve rilevarsi come tale intitolazione del motivo di ricorso non sia coerente col suo contenuto;
il ricorrente infatti, pur lamentando formalmente un “vizio di violazione di legge”, di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 3, nell’illustrazione del motivo prospetta un tipico error in procedendo, consistito nell’erronea valutazione ed interpretazione dell’atto d’appello, che avrebbe a sua volta prodotto uno iato tra petitum e decisum; un errore, dunque, che si sarebbe dovuto far valere ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4;
questo errore nell’inquadramento della censura, tuttavia, non e’ di ostacolo all’esame del primo motivo di ricorso;
infatti, nel caso in cui il ricorrente incorra nel c.d. “vizio di sussunzione” (e cioe’ erri nell’inquadrare l’errore commesso dal giudice di merito in una delle o’cinque categorie previste dall’articolo 360 c.p.c.), il ricorso non puo’ per cio’ solo dirsi inammissibile, quando dal complesso della motivazione adottata dal ricorrente sia chiaramente individuabile l’errore di cui si duole, come stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013);
nel caso di specie, l’illustrazione contenuta nelle pp. 17-34 del ricorso e’ sufficientemente chiara nel prospettare un misunderstanding, da parte della Corte d’appello, delle censure formulate da (OMISSIS) con la propria impugnazione, e dunque il motivo puo’ dirsi sotto questo profilo ammissibile;
nel merito, tuttavia, il motivo e’ infondato;
il giudice di primo grado liquido’ il danno non patrimoniale patito da (OMISSIS) monetizzando, con i criteri usualmente seguiti da quel tribunale, l’invalidita’ permanente del 67 o, secondo il suggerimento del consulente medico legale; ritenne tuttavia che il risultato ottenuto non fosse adeguato alla reale entita’ del danno, e lo aumento’ del 30% per tenere conto:
(a) del “dolore di elevata intensita’” patito dalla vittima nei primi sei mesi dopo l’infortunio;
(b) del “cambiamento in peggio del tenore di vita” della vittima;
(c) dell’abbandono forzoso delle “attivita’ ludiche e sportive cui la vittima era dedita prima del sinistro”;
(d) del “danno alla vita di relazione” (cosi’, testualmente, la sentenza di primo grado);
(OMISSIS) impugno’ tale statuizione sostenendo – questo il senso della doglianza contenuta alle pp. 12-18 dell’atto d’appello – che correttamente il Tribunale ritenne di dovere aumentare il criterio equitativo di liquidazione standard del danno non patrimoniale per adattarlo al caso concreto, ma che tuttavia un aumento solo del 30% non fosse sufficiente a ristorare il pregiudizio effettivo patito dalla vittima; e non lo fosse perche’ il Giudice del Tribunale si era trovato dinanzi ad un caso nel quale avrebbe dovuto tenere conto che la vittima:
(a) pati’ un’invalidita’ temporanea di 14 mesi;
(b) si sottopose a diversi e dolorosi interventi chirurgici;
(c) dovette rinunciare, a causa dei postumi permanenti, alle proprie passioni; ovvero lo sci, il motociclismo e le “attivita’ ricreative serali” (cosi’ l’atto di appello, p. 17, penultimo capoverso);
oltre questi tre fatti specifici (durata della malattia, intensita’ del dolore, perdita delle attivita’ ricreative) l’appello non contiene nessuna specifica deduzione di circostanze idonee a giustificare un aumento del risarcimento del danno non patrimoniale, limitandosi a generiche ed astratte disquisizioni sulla differenza tra danno biologico, danno “morale” e danno “esistenziale”;
a fronte di un appello siffatto, la Corte d’appello ha condiviso la censura, ed ha incrementato il quantum debeatur gia’ liquidato dal Tribunale di ulteriori 70.000 Euro circa, per tenere conto delle seguenti circostanze:
(a) “durata dell’invalidita’ temporanea, di 14 mesi”;
(b) “molteplicita’ degli interventi chirurgici cui la vittima dovette sottoporsi”;
(c) “cambiamento delle abitudini di vita e di relazione, e la sofferenza conseguente” (cosi’, testualmente, la sentenza d’appello, foglio 12, terzo capoverso);
non vi e’ stato, dunque, nessun fraintendimento dell’atto d’appello da parte della Corte veneta, ne’ alcuno scarto tra chiesto e pronunciato: l’appellante si dolse che non si fosse tenuto conto della durata dell’invalidita’, degli interventi chirurgici e della perdita delle attivita’ ludiche, e fu tenendo conto di tali circostanze che la Corte d’appello incremento’ il risarcimento del danno non patrimoniale, gia’ liquidato dal Tribunale;

segue pagina successiva
[…]

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *