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Detta sentenza, nella sua motivazione, ha affermato che “in fatto”, cioe’ sul piano dell’accertamento del modo di essere della vicenda, i giudici di merito avevano “evidenziato” le circostanze della pattuizione all’atto della stipulazione del contratto di un maggior canone anticipato a scadenza biennale per il primo quadriennio e della consegna di tre assegni. La sentenza, dunque, ha riferito che erano stati i giudici di merito ad accertare sul piano fattuale la verificazione di dette circostanze.
Viceversa la ricorrente, in modo del tutto privo di corrispondenza con il reale contenuto della motivazione della sentenza parla “di simili presupposti fattuali rilevati come sussistenti e/o accertati”, ma anziche’ evidenziare – come avrebbe richiesto la prospettazione presente nella riferita affermazione della sentenza impugnata – che invece i giudici di merito e, quindi, sia la sentenza di primo grado, sia la sentenza di secondo grado, non contenevano l’accertamento di quelle circostanze, non solo non si preoccupa di individuare il contenuto di dette sentenze, dal quale si evincerebbe il contrario, cioe’ l’inesistenza dell’accertamento di quelle circostanze fattuali, ma: a) allude del tutto genericamente a “dati obiettivi emergenti da atti e documenti di causa” e ad altrettanti atteggiamenti processuali tenuti nelle sue difese e nella formulazione della domanda; b) parla di errore “in punto di fatto” nel ritenere un certo modo di essere del regolamento pattizio di fatto e nel ritenere un certo fondamento dell’azione risolutoria; c) fa riferimento ad una “distorta percezione del contenuto meramente materiale di atti e documenti del giudizio”.
In tale modo risulta palese che la prospettazione del motivo appare del tutto sganciata dalla motivazione effettiva della sentenza, che ha fatto riferimento ad un “fatto” accertato dai giudici di merito, cioe’ a circostanze di fatto ritenute dai giudici di merito e consacrate nelle rispettive decisioni e segnatamente in quella di secondo grado.
Ne consegue che il motivo risulta – al di la’ della sua generica e assertoria prospettazione, posto che si allude a non meglio identificati atti e documenti – assolutamente privo di correlazione con la motivazione della sentenza impugnata.
Tanto comporta l’inammissibilita’ del ricorso, in quanto il preteso errore di fatto e’ denunciato non solo in modo generico, ma in ogni caso senza che esso trovi, sebbene anche al solo livello della prospettazione, corrispondenza nella motivazione della sentenza di questa Corte (in termini sull’inammissibilita’ del motivo che si presenti con queste caratteristiche, di recente Cass., Sez. Un., n. 7074 del 2017).
5. Per le ragioni sopra esposte, il ricorso per revocazione e’ dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato articolo 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso per revocazione. Condanna parte ricorrente alla rifusione alla resistente delle spese giudiziali in euro quattromila, oltre duecento per esborsi, le spese generali al 15% e gli accessori come per legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato articolo 13, comma 1-bis.
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