Corte di Cassazione, sezione seconda penale, sentenza 6 febbraio 2018, n. 5564. Il delitto di truffa si consuma nel momento del conseguimento, da parte dell’agente, del profitto della propria attivita’ criminosa

Il delitto di truffa si consuma nel momento del conseguimento, da parte dell’agente, del profitto della propria attivita’ criminosa. Ai fini della consumazione del reato di’ truffa e’ necessario che il profitto dell’azione truffaldina entri nella sfera giuridica di disponibilita’ dell’agente, non essendo sufficiente che esso sia fuoriuscito da quella del soggetto passivo

Sentenza 6 febbraio 2018, n. 5564
Data udienza 29 novembre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PRESTIPINO Antonio – Presidente

Dott. RAGO Geppino – Consigliere

Dott. IMPERIALI Luciano – Consigliere

Dott. AGOSTINACCHIO Luigi – Consigliere

Dott. RECCHIONE Sandr – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) nato il (OMISSIS) nel procedimento a carico di quest’ultimo:
avverso l’ordinanza del 13/07/2017 del TRIB. LIBERTA’ di BENEVENTO;
sentita la relazione svolta dal Consigliere SANDRA RECCHIONE;
sentite le conclusioni del PG GABRIELE MAZZOTTA che conclude per l’inammissibilita’.
RITENUTO IN FATTO
1.Il Tribunale di Benevento confermava l’ordinanza di applicazione del sequestro preventivo delle somme ritenute “profitto” della truffa ai danni dell’Unione europea in relazione alla quale era indagato (OMISSIS). Il sequestro era disposto sia in forma diretta, che per equivalente.
2. Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’indagato che deduceva:
2.1. vizio di motivazione: il Tribunale non avrebbe valutato l’eccezione di incompetenza territoriale che deduceva la necessita’ di radicare la competenza presso il Tribunale di Roma, tenuto conto del luogo di erogazione dei fondi;
2.2. vizio di legge e di motivazione relativamente al riconoscimento del fumus commissi delicti: le somme ritenute “profitto” erano destinate alla Confagricoltura della quale il ricorrente era legale rappresentante, tale circostanza impedirebbe di configurare la truffa contestata in ragione della immedesimazione organica tra l’indagato e l’ente che ha beneficiato dei fondi; inoltre: non vi sarebbe inoltre la prova della falsificazione dei documenti con i quali sarebbe stato consumato il raggiro, ne’ sarebbe stato considerato che procedimenti analoghi si erano conclusi con l’archiviazione; si deduceva infine (OMISSIS) non rivestiva alcuna carica nella Confagricoltura alla data della consumazione del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso e’ inammissibile.
1.1. Il primo motivo di ricorso e’ manifestamente infondato.
Il collegio ritiene estensibile anche all’incidente cautelare la giurisprudenza secondo cui il difetto di motivazione della sentenza di appello in ordine a motivi generici, proposti in concorso con altri motivi specifici, non puo’ formare oggetto di ricorso per Cassazione, poiche’ i motivi generici restano viziati da inammissibilita’ originaria anche quando la decisione del giudice dell’impugnazione non pronuncia in concreto tale sanzione (Cass. sez. 3 n. 10709 del 25/11/2014, dep. 2015, Rv. 262700; Cass. sez. 1 n. 7096 del 20/01/1986, Rv. 173343).
Nel rispetto di tale indicazione ermeneutica il Tribunale non ha espressamente trattato l’eccezione di incompetenza territoriale tenuto conto che la stessa era ab origine manifestamente infondata dato non si confrontava con la consolidata giurisprudenza di legittimita’ che individua il luogo di consumazione della truffa in quello in cui l’autore del reato percepisce il profitto.
Si ribadisce infatti che il delitto di truffa si consuma nel momento del conseguimento, da parte dell’agente, del profitto della propria attivita’ criminosa. (Cass. Sez. 2, n. 12795 del 09/03/2011 – dep. 29/03/2011, Beleniuc, Rv. 249861); piu’ precisamente si afferma che ai fini della consumazione del reato di’ truffa e’ necessario che il profitto dell’azione truffaldina entri nella sfera giuridica di disponibilita’ dell’agente, non essendo sufficiente che esso sia fuoriuscito da quella del soggetto passivo (Cass. sez. 5, n. 14905 del 29/01/2009 – dep. 06/04/2009, Coppola e altro, Rv. 243608; orientamento confermato anche quando si proceda per il reato di cui all’articolo 640 bis cod. pen.: Cass. Sez. 1, n. 39193 del 17/07/2017 – dep. 17/08/2017, Confl. comp. in proc. Assenza, Rv. 270990).
1.2. Anche il secondo motivo di ricorso e’ manifestamente infondato.
La immedesimazione organica tra l’ente beneficiario e l’autore dell’azione fraudolenta non impedisce la configurazione del reato dato che nell’area semantica del “se'”, previsto dall’articolo 640 bis cod. pen. nella definizione dei soggetti beneficiari del profitto illecito, deve essere ricompreso anche l’ente di cui l’autore degli artifici e raggiri e’ rappresentante legale: invero la rappresentanza legale rende omogenei gli interessi dell’ente rappresentato con quelli del rappresentante. La giurisprudenza, invero isolata, secondo cui delitto di truffa aggravata ex articolo 640 bis cod. pen. non e’ configurabile qualora le somme, costituenti il profitto del reato, vengano destinate all’ente pubblico di’ cui il soggetto agente faccia parte, in quanto uno degli elementi costitutivi del reato e’ il procurare a se’ o ad altri un ingiusto profitto e nella nozione di “altri” non puo’ essere considerato lo stesso ente per il quale la persona fisica agisca ed operi (Cass. sez. 2, n. 4416 del 14/01/2015 – dep. 30/01/2015, Comune Di Mello, Rv. 262376) non e’ pertinente in quanto la stessa si riferisce all’immedesimazione organica negli enti pubblici.
Peraltro tale pronuncia si fonda sulla importazione nell’area tematica della truffa dei principi di diritto enucleati in materia di concussione quando la Cassazione ha escluso la lesione del bene protetto dal reato (di concussione) nel caso della immedesimazione organica, dato che destinazione del provento del reato all’Ente pubblico escluderebbe la lesione del buon andamento della pubblica amministrazione (Cass. sez. 6, n. 32237 del 13/03/2014 – dep. 21/07/2014, Pg in proc. Novi e altri, Rv. 260427; Cass. sez. 6, n. 31978 del 27/03/2003 – dep. 29/07/2003, Molisso, Rv. 226219; Sez. 6, n. 10792 del 15/02/2011 – dep. 16/03/2011, P.M. in proc. Lastella, Rv. 249589).
Si tratta all’evidenza di una ratio decidendi non applicabile nel caso in cui l’immedesimazione organica si riferisca, come nel caso di specie, ad un ente privato.
Pertanto i giudici di merito hanno legittimamente ritenuto integrato il reato in conseguenza del fatto che la (OMISSIS) aveva beneficiato dei fondi ottenuti con l’attivita’ fraudolenta posta in essere dall’imputato e risalente al periodo in cui lo stesso svolgeva le funzioni di rappresentante legale dell’ente beneficiario.
Il ricorso e’ inammissibile anche laddove contesta la insufficiente dimostrazione della falsificazione dei documenti. Si tratta di rilievi che non incidono sulla efficacia dimostrativa della motivazione e si limitano ad invocare una valutazione alternativa degli elementi indiziari senza indicare fratture logiche manifeste e decisive del percorso motivazionale.
Invero l’attiva fraudolenta veniva individuata nella falsificazione delle attestazioni della (OMISSIS); ne’ e’ riconoscibile la invocata capacita’ destrutturante della tenuta logica della motivazione alle emergenze relative a procedimenti diversi peraltro dedotte in modo generico.
Anche la circostanza che l’indagato aveva dismesso la carica prima del perfezionamento della truffa non incide sulla tenuta logica della motivazione: invero, come rilevato dal Tribunale, le false attestazioni sono riferibili all’epoca in cui il (OMISSIS) era in carica, dato che le stesse venivano allegate alle domande di finanziamento (pag. 3 del provvedimento impugnato).
Contrariamente a quanto dedotto pertanto, non si rileva alcun vizio di omessa motivazione, dato che il Tribunale esaminava le allegazioni difensive, ritenendole tuttavia ininfluenti sulla valutazione del fumus commissi delicti.
2.Alla dichiarata inammissibilita’ del ricorso consegue, per il disposto dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche’ al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in Euro 2000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2000.00 a favore della Cassa delle ammende

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